Ceppo Poesia 2023 in tre parole /1
Assedio, Materia Vuoto
Il 67° Premio Ceppo dedicato quest’anno alla Poesia rilancia la propria “missione culturale”. Sei i finalisti scelti tra i molti partecipanti. Ecco come sintetizzano in tre parole-chiave il loro “centro di gravità” poetico. Si inizia oggi con il primo vincitore del Premio Ceppo Selezione Poesia Under 35
Al via il 5 maggio il Premio Internazionale Ceppo, presieduto e diretto da Paolo Fabrizio Iacuzzi. È un premio-laboratorio che mette a fuoco le radici della letteratura, anche nel nome di Leone Piccioni, fondatore del premio. Francesco Brancati con L’assedio della gioia (Le Lettere) è uno dei tre finalisti al Ceppo Poesia Under 35, che il 7 maggio vengono votati dalla Giuria dei Giovani lettori, «per aver scritto un’opera profonda e matura» con una struttura organica «studiatissima» (info: www.iltempodelceppo.it).
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Assedio
L’assedio è una condizione di minaccia: in genere chi si trova a essere assediato prova una serie di emozioni legate al timore e alla paura di perdere qualcosa di fondamentale: una casa, una città, la sua stessa vita o quella dei propri cari. La reazione all’assedio costringe a un’inevitabile alterazione delle coordinate principali che regolano l’esistenza: il tempo e lo spazio. Come i soldati del civico sei barra uno che resistono all’avanzata nazista durante l’assedio di Stalingrado nel bellissimo Vita e destino di Vasilij Grossman e come ci dicono le terribili notizie di cronaca dell’ultimo anno, l’assediato subisce un ripiegamento dei luoghi, gli spazi diventano più piccoli, più adatti per essere difesi mentre le abitudini che scandivano le sue giornate si sgretolano: il tempo di pace non è il tempo di guerra. Cosa succede, però, quando ad assediare è un sentimento solitamente associato a uno stato positivo come la gioia? Qualcosa di simile, io credo, a quanto abbiamo continuamente sotto i nostri occhi (occhi occidentali, va da sé): TikTok, Instagram e Facebook invadono le nostre retine promuovendo stili di vita e comportamenti che sarebbero parsi eccessivi persino al liberale del secolo scorso. Per milioni di persone, oggi, la gioia coincide con il raggiungimento di ciò che viene percepito come successo (individuale, mai di una comunità): una soddisfazione materiale, quantificabile in denaro o in capitale simbolico; nulla a che vedere con la semantica provenzale del termine. In che modo la poesia e, in generale, l’arte e la scrittura possono reagire a questo tipo di assedio? Vista l’impossibilità, pure ragionevole, di fare con Dubai quello che è stato fatto con Cartagine, la poesia, proprio per la sua marginalità nel complessivo sistema economico-culturale, può essere uno spazio di resistenza alla banalizzazione delle coscienze, il luogo idoneo a una riflessione articolata e sincera, dove l’inermità e la paura acquistano forza, si fanno suono. Come in una canzone shoegaze.
Materia
Chi scrive, legge o studia poesia contemporanea è abituato a ragionare con concetti come «io lirico”, “soggetto poetico” e simili categorie critiche. Mettendo da parte quelle scritture che predicando la scomparsa del soggetto in realtà ne aggirano il problema, la tendenza maggiormente praticata è quella di leggere una poesia raffigurandosi il suo estensore essenzialmente come un flatus vocis, un qualcosa di indefinito e di immateriale. Per certi aspetti, questo modo di pensare può essere condivisibile, nella misura in cui la lirica moderna è per tradizione il genere letterario deputato all’espressione del sé e della propria individualità. Mi sembra tuttavia che la poesia contemporanea abbia raggiunto un grado di autoconsapevolezza delle proprie potenzialità espressive tale da mettere in atto configurazioni testuali più avventurose e, insieme, più vicine alla rappresentazione del circostante. Inoltre, come ci ricorda Adorno («scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie»), le esperienze poetiche della seconda metà del Novecento ci hanno reso sufficientemente consapevoli dei rischi di derive narcisistiche causate da una narrazione ego-riferita. Un tentativo per superare questa impasse può risiedere nel livellamento visivo dell’esperienza e nell’estroflessione della psicologia: esplicitare la parzialità fragile del corpo e, insieme, appuntare l’attenzione sull’esterno, sull’ambiente e sul paesaggio che il poeta condivide con il lettore. Partire dalla materia, da quanto può essere visto e percepito fisicamente, per poi confondere i piani e non distinguere più tra “interno” (le sensazioni e i sentimenti dell’io) ed “esterno” (la realtà osservata nella sua grana materica e cellulare). Si tratta, in fondo, di un procedimento antico (se si pensa a Leopardi e, più recentemente, a Fortini) e insieme ipercontemporaneo, come testimoniano le opere di scrittori visionari come Antoine Volodine o Mircea Cărtărescu: nella materia si ricerca l’illusione di un’oggettività che lo sguardo trattiene sulla pagina, il percorso per raggiungere questa “verità” diventa la poesia.
Vuoto
Soltanto a posteriori, a libro già concluso, mi sono accorto che il sentimento di vuoto è preponderante in diversi testi di Assedio alla gioia. Riflettere sul vuoto equivale a riflettere sulla perdita e sulla mancanza, parole che intendo come sinonimi. Nell’arco di un’esistenza il vuoto può assumere diverse forme, si può percepire l’assenza di una persona amata oppure la carenza può essere quella del corpo malato che avverte la mancanza in termini di cambiamento di status: ciò che poteva fare quando era in salute adesso, dopo l’alterazione, gli è precluso. Per certi versi, dal momento che il concetto di vuoto presuppone quello di pieno, il vuoto può essere considerato una conseguenza dell’assedio, come abbiamo avuto modo di sperimentare durante il lockdown causato dalla pandemia. Non serve scomodare mistici e filosofi, però, per accorgersi che il vuoto ha anche una valenza positiva, se non altro perché il vuoto e il silenzio possono essere le condizioni adatte per una ripartenza, per fare ordine e per distinguere cosa davvero è essenziale da cosa non lo è. Nella scrittura, specialmente in quella poetica, gli spazi vuoti tra le strofe e la verticalità del vuoto a fine verso (o a fine prosa) diventano poi ritmo, scandiscono il “pieno” delle sillabe e degli accenti e consentono il movimento: uno spazio interamente occupato sarebbe impossibile da percorrere. In modo simile funziona il pensiero, le assenze invocano i ricordi e attivano il processo memoriale di valutazione a posteriori di un’esperienza individuale o collettiva. L’immaginario contemporaneo, al contrario, tende a saturare eventi, tempi e luoghi in maniera frenetica e compulsiva; impedire al vuoto di raggiungerci è una panacea momentanea che dà l’illusione di essere scampati alla esposizione al dolore, al momento terribile in cui generalmente si fa i conti con se stessi e con le proprie miserie, ma che, proprio per questo suo carattere artificiale, produce un male più grande e più grave: il livellamento e il progressivo azzeramento di una coscienza.
Nella foto vicino al titolo: Wassily Kandinsky (dopo), “Composizione”, 1965