“Verità di famiglia” di Sebastiano Mondadori
Sogni e sconfitte di un editore illuminato
Sebastiano Mondadori ricrea in un libro la vita di suo nonno Alberto, figlio di Arnoldo. Tra realtà e immaginazione lo descrive, «avido di letteratura e di filosofia», nei luoghi amati, tra gli amici poeti, scrittori, artisti, protagonisti della cultura del '900
«Raccontare è quasi sempre un regalo» suggerisce l’epigrafe da Javier Marías. Un regalo è ora quello che Sebastiano Mondadori fa a sé stesso e a noi lettori, ricreando la vita del nonno in Verità di famiglia. Riscrivendo la storia di Alberto Mondadori (La nave di Teseo, Milano 2022). È Alberto, intellettuale figlio di Arnoldo, il grande editore venuto da umili origini, a occupare la scena, quasi in un dramma teatrale che attinge alla vita, ma dalla vita si allontana per la forza della scrittura, la qualità alta e originale della struttura, la capacità fantastica di nutrire la memoria familiare. Memoria che si apre sulla strada delle Silerchie, bastoncelli magici di buon auspicio per un sogno hollywoodiano, la Villa Medusa di Camaiore, sorta al posto di una vecchia casa colonica di fine Ottocento. Il padre la disapproverà irritato, ma per Alberto sarà luogo privilegiato di amicizie e incontri con poeti, filosofi, artisti, Montale e Ungaretti, Gatto e Sereni, Garboli e Debenedetti, Paci e Cantoni, Gassman e Antonioni e altri, altri ancora, che l’autore muove in ritrovi festosi di brindisi e musiche tra villa e giardino, cogliendo d’ognuno un carattere, un volto, un gesto sul filo di un tempo trasfigurato dalla finzione narrativa, ma quanto mai reale. Come reale e immaginata è l’incantevole Nica «ragazzina, sprofondata in un divano che spia i discorsi, le battute, le risate smisurate fino all’alba e si stupisce di conoscere suo padre spensierato» oppure, nello studio di Milano e in quello di Camaiore, apre sorpresa l’armadietto pieno di bottiglie vuote di whisky o, dodicenne, incontra un Montale con la faccia di cane arrabbiato, ma compiaciuto quando la scopre lettrice degli Ossi di seppia. Come immaginata e reale è la moglie di Alberto, la luminosa Virginia «creatura di vento e di sole», bellissima “zarina” capricciosa, ospite multilingue di Thomas Mann, Hemingway, Orson Welles, Sartre e de Beauvoir, nostalgica della propria giovinezza e già lontana.
Ma è sempre lui, Alberto, il primogenito ed “erede”, che lo sguardo affettuoso e insieme lucido del nipote scrittore fa apparire in primo piano, gigante e fragile, avido di letteratura e di filosofia che lo avvicina alle lezioni e al gruppo di allievi di Antonio Banfi, aperto alle amicizie, autore di riviste a partire da “Camminare” del ‘32, appassionato di cinema con il cugino Mario Monicelli. È questo un capitolo vivace di giovinezza e di slanci, di «fantasia e cultura non ortodossa», dove agiscono, oltre a Mario e Alberto, Cesare Civita e Lattuada, dapprima girando un cortometraggio, bollato ai Littoriali del ’34 come «opera paranoica, contraria allo spirito fascista»; poi il film I ragazzi di via Pal, premiato a Venezia; infine attraversando un deludente soggiorno da assistente tra Roma e Tirrenia. Alle spalle c’è sempre il padre, che, complice la madre Andreina, lo finanzia, lo riconduce a Milano nell’Azienda periodici italiani diretta dall’amico Zavattini, lo fa direttore della testata “Tempo”, cui seguì “Epoca”; lo coinvolge nella conduzione della casa editrice, dove ha modo, con Vittorio Sereni, di inventare la collana “Lo Specchio” e gli Oscar.
Ma il nodo del rapporto tra il solido imprenditore Arnoldo e Alberto, creativo e illuminista, poeta e generatore di sogni, ma anche di visione politica (fare libri ha per lui funzione civile ed educativa) non si scioglie: nasce nel ‘58 il Saggiatore come casa editrice indipendente, di raffinate pubblicazioni sotto l’egida letteraria di Giacomo Debenedetti (indimenticabile nella collana delle Silerchie Gli immediati dintorni di Sereni con la preziosa Nota introduttiva di Giacomino!), di scoperte internazionali rivolte a un «pubblico intellettualmente moderno». Eppure questa impresa lentamente, malgrado gli sforzi e la generosità del suo geniale editore, verrà meno, per dissesto economico, nel 1970 e sarà riassorbita dalla Casa madre. Non resta, dopo aver attraversato questo libro vario e coinvolgente e aver ritrovato il ricco, per nomi e opere, panorama culturale di gran parte del secolo, chiudere il destino del suo protagonista con la morte, amara e improvvisa, a Venezia nel 1976 e con le parole della figlia amatissima: «Era inutile aspettarsi da lui risposte ovvie, gesti rituali, affetti legati alla consuetudine: sapeva disorientare con quella massa di atti d’amore e di lacerazioni che accompagnavano il suo coraggio e la sua vulnerabilità. È rimasto un uomo solo». Un uomo “solo” nel naufragio, al quale Sebastiano Mondadori ha restituito la statura di uomo libero.