Alla Fondazione Ebris di Salerno
Inseguendo Penelope
“Le tele di Penelope" è il titolo di una mostra di opere di Danilo Maestosi che inseguono il mito della donna che continuamente costruisce una prigione intorno a sé per poi poterla aprire. In un eterno movimento vitale
Il mare che bagna Salerno, al tramonto, è di un blu cobalto intenso. A guardarlo dall’alto di via De Renzi non può che essere l’ideale bagno di colore nel quale lasciarsi andare prima di perdersi tra i giochi cromatici che Danilo Maestosi ha scelto per dire la sua su Penelope. Ha scelto tele bianche, ne ha rispettato i contorni per poi lasciare spazio a geometrie e colori che narrano del tempo (simboleggiato dall’ordito della tela e dall’ossessione che si rincorre tra le tele), delle donne (quelle del passato che sembrano dialogare con quelle del presente a pochi giorni da una data simbolica come l’8 marzo) e della guerra (intesa come conflitto geopolitico ma anche come ferita non rimarginabile dell’umanità). Le tele di Penelope – “Dietro le quinte in 4 atti” è il titolo della mostra dell’artista romano in esposizione negli spazi della Fondazione Ebris di Salerno (via Salvatore De Renzi, appunto) fino a fine aprile. Una data da segnare, invece, è quella del 31 marzo, alle ore 18, quando al silenzio del dedalo di corridoi e stanze di un tempo antico assai si faranno largo le voci di Rosa Grillo, Carmen Guasco, Giulio Corrivetti, Gina Tomay, Stefania Zuliani, Pina De Luca e Alfonso Amendola per un talk tra mito e immaginario. A tessere la trama di questa tela di parole sarà il reading a cura dell’attrice e regista Brunella Caputo e lo storytelling per immagini di Armando Cerzosimo. L’evento è realizzato in collaborazione con Feltrinelli Salerno.
A chi in questi giorni decide di oltrepassare la soglia del civico 50 dell’antico Plaium Montis con vista sull’orizzonte che profuma di sale e limoni il tempo diventa un compagno di viaggio. Agli occhi il compito di cedere alla meraviglia di una nuova declinazione della “Notte”, per mostrarsi “Alla Luce” e ascoltare nei luoghi della mente come “Torna la Notte Armata” e “Com’è profondo il mare”, citando i quattro capitoli che si susseguono negli spazi di quello che fu l’ex convento di San Nicola della Palma (XII secolo) e che oggi ospita la Fondazione Ebris, dedita alla ricerca medica e inclusa dal MiBACT tra i Luoghi del Contemporaneo. Un connubio tra scienza e arte che si rafforza di giorno in giorno.
«Arrivare alla Fondazione Ebris in qualche modo è come trovare Itaca, un posto che tutti continuano a cercare. Quando ti affacci all’esterno ti rendi conto che è simile all’Itaca vera, uno sperone di roccia affacciato su un abbraccio di mare straordinario. C’è una seconda similitudine che ritrovo con il palazzo di Itaca: quella sorta di labirinto costruito su più piani che riaccende la fantasia. E poi c’è il discorso del mito: i miti non finiscono mai».
E qui che si snoda uno dei temi della mostra. «La bellezza del mito sta nel fatto che è un racconto in cui si deposita un sapere collettivo che prosegue. Una delle cose che mi ha incantato durante il vernissage è che l’attrice Brunella Caputo alla quale avevo consegnato il testo di presentazione del catalogo ha scritto un’altra storia, ha continuato ad arricchire la voce di Penelope con altre voci, altre emozioni, altre sensazioni». Per Danilo Maestosi l’importante è che la gente nel porsi di fronte alle sue opere possa «trovare quello che cerca».
Ma chi è Penelope per l’artista romano che da giornalista, per anni, si è occupato di archeologia, architettura, spettacolo, ambiente e arte: «È una parte del mio femminile ed è ciò che mi ha costretto a riflettere su qualcosa su cui da tempo mi arrovello. Fare arte è un continuo costruire e disfare prigioni, noi tutti raggiungiamo delle certezze e intorno a queste costruiamo delle piramidi, delle tane, dei rifugi da cui non sappiamo evadere. Io credo che la vita sia un continuo fare e disfare ed è necessario accettare questo principio». Penelope è «una che sperimenta in proprio, è vittima di una storia raccontata da altri, di un ruolo assegnato da altri; nel disfare e fare la sua tela ritrova il senso di se stessa». Una pausa, quasi a voler restituire spazio alle parole da scegliere per andare in affondo. «Detto da un uomo può sembrare curioso ma io credo che in ognuno di noi – noi uomini, intendo – ci sia una parte femminile ed è quella che dà più ricchezza alle emozioni e mette in secondo piano la ragione. La ragione tende a separare le parole. La pittura può restituirti la verità nella sua essenza così come nella sua debolezza, nella sua fragilità».
Dunque mentre si percorrono Le Tele di Penelope non rimane che interrogare le emozioni e come lo stesso Maestosi suggerisce a fior di labbra “quando ci troviamo di fronte ad un’opera d’arte, che sia del rinascimento o contemporanea, recuperiamo il piacere che può restituirci l’evidenza con cui l’affrontiamo, non sentendoci mai stupidi. Se noi non l’abitiamo l’opera d’arte è morta”. La mostra Le tele di Penelope – «Dietro le quinte in 4 atti” alla Fondazione Ebris a Salerno è stata allestita seguendo la regia di Erminia e Corradino Pellecchia, il coordinamento di Giovanni Gagliardi e con la grafica di Luna Maestosi.