Consigli per gli acquisti
Le donne del duce
Il già nutrito catalogo delle biografie di Mussolini si arricchisce di due nuovi libri di Aldo Cazzullo e Marcello Sorgi dai quali risalta soprattutto l'odioso rapporto che Mussolini strinse con le donne che lo hanno idolatrato, amato e aiutato
Una canaglia. “Eh vabbe’, in fondo non ho mai ucciso nessuno”. Questa, più o meno, è la frase con cui coloro che ignorano cosa sia stato davvero il fascismo e il suo capo, Benito Mussolini, assolvono sia l’uomo sia il regime che questi ha fondato nell’ottobre del 1922. Frase ripetuta da quelli che ancora oggi rimpiangono quel ventennio fatto di violenza, orrori e morte, e che magari non ridono quando guardano su piccolo e grande schermo il narcisista di piazza Venezia mentre si sbraccia, ride sarcasticamente (o in maniera compiaciuta), gioca di mascella e di mani tese, fa esplodere parole grosse del tutto incurante del loro peso mortifero. Solo un pagliaccio al potere? No, non solo. Il duce ha sempre dato prova di essere una vera canaglia. O meglio: un uomo cattivo. È questo il ritratto che emerge dal libro più venduto da un anno a questa parte, Mussolini il capobanda (Mondadori, 349 pag.,19 euro). L’autore è Aldo Cazzullo, uno dei migliori giornalisti italiani.
Sono tanti gli episodi che scolpiscono il suo greve ritratto. Senza dubbio quello emotivamente più impressionante riguarda in genere le donne (comprovata la testimonianza di sua sorella Edvige), e in modo particolare Ida Dalser e il figlio Benito Albino (detto Benitino) da lei avuto. Mussolini la conobbe in Trentino e la rincontrò a Milano nel 1914. Le giurò di amarla e di volerla sposare omettendo il fatto che era già coniugato (con Rachele Guidi, contadina gelosa ma alla fine tollerante, semianalfabeta). Ida stravede per quello che considera l’uomo della sua vita ed è ben felice di prestargli soldi. E lui, per fondare Il Popolo d’Italia, ne aveva tanto bisogno. Ida, da mesi corteggiata anche con lettere infuocate, rimane incinta nel 1915. Dal Trentino, sua terra natale, si trasferisce a Milano. Diplomata a Parigi in medicina estetica (ah quanto piacerà al futuro duce la sua erre arrotondata!) fonda un centro di igiene e di benessere. Ha successo e mette parecchi soldi da parte. Sapendo che lui ha difficoltà economiche lo aiuta economicamente. È un salasso. Stando a una fonte autorevolissima come lo storico Renzo De Felice, Ida, per pagare la tipografia del nuovo quotidiano e i giornalisti, si spoglia di tutto: salone di bellezza e appartamento di proprietà in via Foscolo. Arriverà a impegnare i suoi gioielli al Monte di pietà. Quando lui si stanca e fa di tutto per allontanarla da sé, Ida non si vuole rassegnare e si comporta in modo testardo e plateale. Giungerà a presentarsi in redazione come la “signora Mussolini“. Col bambino in braccio. Lui la minaccerà brandendo addirittura una pistola. Ida viene a sapere che il suo amante è sposato, ma non si rassegna, forte del fatto che lui ha riconosciuto il figlio. La vicenda arriva in tribunale: la Dalser riceverà 200 lire al mese ma è costretta a spostarsi a Caserta. Dopo la guerra vuole tornare a Milano, ma la città è troppo cara. Allora torna in Trentino. Mussolini scrive a un funzionario romagnolo della Questura di Trento: “La signora è una pericolosa squilibrata; falla sorvegliare e cacciala in galera”. La richiesta non ha seguito legale. Ecco che Mussolini si rivolge al fratello Arnaldo: “Vedi tu se riesci a togliermela di torno”. Nel 1926 Ida chiede un colloquio col ministro dell’istruzione al quale chiede di incontrare il duce. È la fine: viene ricoverata a forza nel manicomio di Pergine Valsugana. Un medico, che è anche centurione della Milizia fascista, la dichiara pazza. Per undici anni la Dalser vivrà tra malati di mente in celle maleodoranti. Scriverà decine e decine di lettere (anche al papa), ma il regime le tiene da parte. Ida morirà nel 1937, a 57 anni, in un ospedale psichiatrico di Venezia. In camicia di forza. Straziante è il destino di Benitino: un poliziotto lo narcotizza e lo porta in un centro rieducativo di Rovereto, chiamato “il ricovero dei derelitti”. Il figlio del duce è vivace e tenta la fuga. Dinanzi al ritratto di Mussolini, ripeterà “questo è il mio papà”. Dopo un periodo relativamente tranquillo, dopo la morte di Arnaldo, sarà spedito in Medio Oriente. Morirà a 27 anni.
Il negro. Parliamo ancora di Mussolini che, nel 1934, vede sulla sua scrivania una rivista rosa in cui campeggia il titolo di un racconto: “Sambadù, amore negro”. L’autrice è Maria Assunta Volpi Nannipieri, in arte Mura, molto nota nell’editoria di evasione per donne. Famosa anche all’estero, vendeva più di un milione di copie in Italia. Il 1934 le è fatale visto che è l’anno della prima visita di Hitler in Italia. Imbarazzante per il capo del fascismo consentire la circolazione della storia di una donna bianca con un senegalese! Il meticciato non poteva essere tollerato, e quindi. Mussolini ordina la “sparizione” del racconto di Mura. La scrittrice, che abita sovente a Tripoli (Libia), decide un giorno di salire su un aereo diretto a Roma. Morirà giovane, a soli 48 anni. Le circostanze – come ci racconta Marcello Sorgi nel libro Mura, la scrittrice che sfidò Mussolini (Marsilio editore, 138 pag., 17 euro), “non furono mai del tutto chiarite”. Mura, nativa di Bologna, Aveva trascorso molto tempo a Gavirate (lago di Varese), che fu sfondo del clandestino, e molto chiacchierato, amore tra Annie Vivanti e Giosuè Carducci. Sarà la Vivanti a spingere Mura ancora ragazza “a scrivere e a non trattenere, nei racconti, le sue pulsioni nascoste”. Maria Assunta scelse come nome de plume Mura, ispirata dal romanzo Circe che Annie aveva scritto basandosi sulla storia vera della contessa russa Maria Nicolaevna Tarnovska. Sempre a Gavirate Mura ha un altro importante incontro. Con Liala (pseudonimo, scelto per lei da D’Annunzio, di Liana Amalia Negretti, moglie di un marchese), ma non scatta l’intesa. Liala si dedica infatti a descrivere un mondo di meraviglie, abituata come è a frequentare ambienti lussuosi e gente altolocata. A un’apparente amicizia succederà il gelo. Quando Liala tenterà di passare dalla Mondadori alla Sonzogno, nel 1937, riceverà un secco rifiuto. A sbarrarle le porte sarà proprio Mura, forte del fatto che nel frattempo era diventata amante di Alberto Matarelli, il patron della Sonzogno.