I deliri del bibliofilo
La poesia della carta
Nell'avventura dei “Libretti di Mal’Aria” di Arrigo Bugiani è importante la «puntigliosa dovizia artigianale»: la qualità dei materiali usati restituisce la temperie dell’opera. Come nel caso della velina per arance su cui si racconta di una ragazza siciliana…
Diviene quanto mai difficile scegliere qualche libretto che rappresenti adeguatamente uno scenario talmente ricco e composito, anche se alcuni titoli si prestano forse più di altri a fornirci le coordinate relative al metodo di lavoro di Bugiani. L’editore maremmano (vedi https://www.succedeoggi.it/wordpress2023/01/il-racconto-di-malaria/, ndr) cercava infatti, con una puntigliosa dovizia artigianale, di manifestare la particolare “temperie” presente in un determinato scritto attraverso la scelta del tipo di carta e dei caratteri che si differenziavano da libretto a libretto. Un cenno a parte meritano il libretto n. 330 intitolato Invocazione di medici a Dio proposta da Robert Hutchinsonche viene genialmente stampato, in considerazione del tema trattato, su strisce di carta adoperata per gli elettroencefalogrammi mentre il libretto n. 112 dal titolo Dichiarazione d’amore di fanciulla siciliana ignotaviene pubblicato nientemeno che sulle veline che servono per l’incartamento delle arance. Lo stesso Bugiani, in un’intervista concessa a Paolo Tesi, racconta le particolari vicissitudini legate alla storia di questo titolo: «Fu dunque in una scelta priva di fiducia fatta tra arance siciliane tutte avvolte in veline variopinte (vera sanguinella? vera mandarancio? vera tarocco? vera clementina gentile senza semi?) che me ne capitò una più vistosa di tutte quelle messe in mostra sui banchi. Velina sgargiante, velina figurata, velina lussuosa, piena di garbo, di allusioni, di simboli, di promesse. Dal rovescio in fuori trasparivano anche macchie d’inchiostro. E io trepido trepido, e curioso, la svolsi lì per lì. Con somma sorpresa lessi la ingenua fiduciosa impossibile invocazione d’amore di una fanciulla ignota. Mi fece tenerezza e ci composi il libretto 112. La bella figura me la prestò Domenico Purificato e a rendere il dialetto difficile ci pensò il poeta Giuseppe Petralia». Il libretto n. 193, Del flato di Giovanni Verardo Zeviani, viene emblematicamente stampato su carta «scabrosa da rifascio».
Il tipo di carta adoperato per i libretti variava di volta in volta e presentava già al tatto sorprese sempre nuove. In genere Bugiani adoperava carta povera, arrivando a tessere l’elogio della carta da macero: «Sissignori: faccio proprio incetta di carta da macero». Per stampare ad esempio il libretto n. 55 intitolato Della virtù della calamita del signor Maidalchino adopererà carta da pacchi dell’Italsider di Genova presso la quale fu apprendista, tornitore e impiegato. Per il n. 349 che riproduce la Gioia dell’eterno incontro del poeta cinese Li Qingzhao la carta prescelta sarà invece la bicolore bianco-celeste impero. Per il n. 151 Povertà non guasta gentilezza di Pietro Parigi viene dichiarata una carta «qualunque quale si addice al soggetto»; per il n. 220 I gatti e i filosofi di Helga Wagner la carta risulta «adatta al verde degli occhi di gatto». Ma i libretti che forse raggiungono l’apice della raffinatezza grafica per il felice connubio tra testi e immagini sono quelli dedicati ad alcune tra le figure più rilevanti del Novecento. Tra questi vorrei ricordare il 22°, Sai d’essere una nube di Leonardo Sinisgalli, con in copertina una straordinaria xilografia di Pietro Parigi. Il titolo sinisgalliano fu stampato in 1000 copie nel 1962 in carta pelure ruvida gialla composta da un foglio doppio rispetto agli altri essendo estremamente sottile (la tiratura dei libretti variava, a seconda dell’importanza dello scritto, da 500 a 1000 esemplari, occasionalmente a 700). Riportiamo doverosamente una strofe ricca di rime e assonanze della poesia di Sinisgalli: «Il tuo nome / sarà il nome di una morta. / Sarà il nome di un giardino. / Sarà il nome di una panca / e di una porta. / Sarà il nome di un mattino. / Sarà il nome di quell’ora / che mi volevi forte».
Giorgio Caproni è presente nella collana con vari titoli tra cui l’Urlo (n. 27, 1963), Il Rospo Rigoletto (n. 221, 1977), Da una cartolina inviata a Ferruccio Ulivi (n. 476, 1990), oltre a Una bella sorpresa (n. 334, 1981), in cui risulta coautore Ottone Rosai al quale dobbiamo la copertina di Stelle a Sant’Anna di Leone Piccioni (n. 241, 1978). Ma l’elenco potrebbe continuare all’infinito. Ci limitiamo a segnalare i nomi di Piero Bargellini (molto affascinante il libretto, contenente un ritratto dell’autore inciso da Pietro Parigi, intitolato Salvataggio della Signora Poesia compiuto nel 1932 da Piero Bargellini), Luigi Bartolini, Libero De Libero, Albino Pierro, Biagio Marin, Virgilio Giotti, Giovanni Arpino, Guido Ceronetti, Mario Luzi, oltre agli illustratori che di volta in volta potevano essere Emilio Greco, Bruno Caruso, Franco Gentilini, Aligi Sassu, Ernesto Treccani, Leonardo Castellani, Renato Guttuso, Oscar Saccorotti. Ci furono tuttavia alcuni artisti che collaborarono con continuità alle varie centurie, illustrando o firmando a proprio nome diversi libretti. Tra questi è doveroso nominare l’amico ligure Guglielmo Bozzano, il figlio Orso Bugiani di cui ricordiamo lo stilizzato gabbiano che campeggia su fondo azzurro nel libretto n. 40 di Angelo Barile Refolo bianco, Dilvo Lotti e, soprattutto, quell’inimitabile, ascetica figura di incisore che risponde al nome di Pietro Parigi, a cui Bugiani dedicherà il libretto n. 421, Novant’anni e passa di Pietro Parigi, con un contributo di Alessandro Parronchi.
Ma lo stesso editore firmerà alcuni libretti, soprattutto con pseudonimi rispolverati dall’esperienza della rivista «Mal’Aria» – a cui dedicherà gli ultimi dieci numeri della quinta centuria – Basco Lazzeretti e Fiore Mascheroni, oltre a quello di Severino Nuvoli. Dopo la pubblicazione del n. 500 Bugiani comincerà a stampare i libretti con una numerazione a sottrarre, quella che Oldoni ha definito la «centuria tronca». Dal n. 500-1 si arriva fino al 500-70, con la lacuna di due libretti “fantasma”, il n. 500-62 e il n. 500-68, compensati tuttavia da due privi di numerazione. Trovano ampio spazio argomenti eruditi e storici, iscrizioni epigrafiche, spesso affidati a specialisti di rango, e soprattutto commemorazioni degli amici scomparsi, quasi una collezione di lapidi di una moderna Spoon River.
L’ultimo libretto, apparso il 15 agosto 1994, curato dalla moglie di Bugiani, Mite Leoni, su indicazione dello stesso, apparve postumo e senza numerazione, con parole semplici e toccanti come il testamento di un nullatenente: «Cari amici di Arrigo Bugiani, contento come una Pasqua Arrigo Bugiani è andato a farsi benedire dal suo Signore Gesù Cristo. Così si è conclusa la curiosa avventura dei Libretti di Mal’Aria. Ha lasciato detto di mandarvi l’ultimo saluto… p.s. Con lui son’iti via Basco Lazzeretti, Fiore Mascheroni e Severino Nuvoli». Sul frontespizio figura un’incisione di Mariaelisa Leboroni che riproduce alberi, fiori e frutti, vicino al seguente proverbio: «Chi non sa morire non sa amare».