Pasquale Di Palmo
I deliri del bibliofilo

Il mondo rovesciato di Max Ernst

“Une semaine de bonté”, pubblicato nel 1934, un romanzo del grande surrealista francese molto raro da reperire sul mercato antiquario. «Rêverie e illusione subentrano alla monotonia delle azioni quotidiane» in una narrazione per immagini che sembra prefigurare il “graphic novel”

Nella splendida mostra su Max Ernst allestita al Palazzo Reale di Milano, oltre alle opere originali, figura un nutrito corredo di libri e documenti, tra cui il romanzo-collage Une semaine de bonté ou Les sept éléments capitaux. Si tratta di un lavoro composito, suddiviso in cinque volumetti in-8°, raccolti in un’apposita custodia, che vennero originariamente pubblicati nel 1934 dalle Éditions Jeanne Bucher di Parigi in una tiratura di 800 copie numerate, oltre a 16 esemplari stampati su “velin d’Arches” contenenti un’acquaforte dell’autore. I primi quattro titoli sono dedicati a un diverso giorno della settimana partendo dalla domenica mentre nell’ultimo è racchiuso il ciclo riguardante le tre giornate rimanenti: giovedì, venerdì e sabato. 

Ogni copertina si caratterizza per il diverso colore, nonché per i dati concernenti “elemento” ed “esempio”: nella prima, dedicata alla domenica e di colore viola, l’elemento è il fango e l’esempio, che funge anche da titolo, è Il leone di Belfort. Seguono il secondo cahier dedicato al lunedì e di colore verde in cui elemento ed esempio corrispondono all’“acqua”; il terzo, rosso, che accosta il martedì al “fuoco” e alla Corte del Drago; il quarto, azzurro, dedicato al mercoledì che coniuga “il sangue” a Edipo e il quinto e ultimo, giallo, che designa tre giorni: il giovedì, associato all’elemento del nero e a due esempi smembrati come Il riso del gallo e L’isola di Pasqua, il venerdì che congiunge “vista” e L’interno della vista e il sabato che contrappone a un elemento “ignoto” l’esempio della Chiave dei canti. L’idea di lavorare a questo straordinario progetto venne al pittore surrealista durante il soggiorno nel castello di Vigoleno, a metà strada tra Parma e Piacenza, di proprietà di Maria Ruspoli, duchessa di Gramont, avvenuto nell’estate del 1933. Oltre a realizzare in un solo giorno il dipinto La foresta imbalsamata, qui vengono create le 184 immagini del romanzo che ne presenterà tuttavia due in meno. Valentine Hugo, ospite nello stesso periodo del succitato castello, racconta di essersi svegliata sentendo un ticchettio metallico provenire dalla stanza adiacente alla sua, riservata a Max Ernst. Capì che la fonte di quel rumore misterioso era da attribuire a un paio di forbici in lavorazione dopo essersi accorta che erano state ritagliate le illustrazioni di Gustave Doré presenti in un’edizione ottocentesca del Paradise lost di Milton, che figurava nella biblioteca del castello. 

Max Ernst rinuncia finanche alle didascalie che contrassegnavano i due precedenti romanzi-collage La femme 100 têtes (José Corti, 1929) e Rêve d’une petite fille qui voulait entrer au Carmel (Éditions du Carrefour, 1930), concentrandosi su un tipo di narrazione procedente solo per immagini, senza soluzione di continuità. La trama di tipo tradizionale era infatti rigorosamente bandita dai surrealisti e si basava perlopiù su immagini assemblate in maniera provocatoria, regolata sul gioco dei contrasti, spesso sconfinanti in una deriva allucinatoria di tipo onirico. Non è un caso che il genere stesso del romanzo fosse stato sconfessato a più riprese, anche se non tarderanno a manifestarsi parecchie eccezioni al riguardo: l’adesione alla struttura romanzesca da parte di Crevel, Desnos, Aragon o Leiris si può considerare atipica, soprattutto per le connotazioni fortemente sperimentali contenute nei loro lavori. 

Un disegno di Max Ernst tratto da “Une semaine de bonté”

Questo mondo visionario, popolato di borghesi con sembianze d’uccello e figure antropomorfe, di ectoplasmi e donne lascive, prende lo spunto dalla teoria degli accostamenti analogici casuali e dal concetto di beauté convulsive, teorizzato in un libro anomalo come Nadja (1928) di Breton, poi ripreso dallo stesso capostipite del surrealismo in L’amour fou (1937). L’autore non esita a rappresentare uomini e animali in maniera tale che la stessa legge di gravità venga messa in discussione: figure capovolte o in precario equilibrio sull’abisso, donne che si ammantano della corazza di un pangolino, la marea che sommerge un interno domestico, il volto della sfinge che si accosta al finestrino di un treno, improbabili esseri dotati di ali vampiresche. Si tratta di un mondo apparentemente assurdo, in cui rêverie e illusione subentrano alla monotonia delle azioni quotidiane, senza tuttavia snaturarne lo status di passiva accettazione da parte dei personaggi rappresentati. Il concetto di “paesaggio interiore”, di cui parla John Russell a proposito dei quadri di Max Ernst, si potrebbe benissimo attagliare anche ai suoi romanzi-collage che sembrano prefigurare il graphic novel. L’autore attinge a un universo quanto mai eterogeneo, passando dalle incisioni che corredano le riviste di taglio scientifico alle illustrazioni realizzate per alcuni romanzi ottocenteschi, non disdegnando il mondo dei feuilleton, all’epoca considerati inattuali, come nel caso di Les damnés de Paris (1883) di Jules Mary.  

Jürgen Pech, in uno specifico contributo apparso nel catalogo della mostra milanese edito da Electa, precisa che il progetto originario era quello di stampare, nell’arco di qualche mese, sette volumetti ma, a causa dello scarso numero di vendite e sottoscrizioni, si decise, dopo la pubblicazione del quarto titolo, di raccogliere i tre contributi rimanenti in un unico cahier. Bisogna ricordare che l’editrice Jeanne Bucher aveva precedentemente stampato l’importante ciclo di frottagesintitolato Histoire naturelle nel 1926. A tal riguardo Roland Penrose scrive all’amica in data 18 aprile 1934: «Lascio a te e a Max Ernst la decisione sugli ultimi due numeri. Da parte mia, sono pronto ad anticipare i fondi necessari se lo riterrete utile, tuttavia sono anche consapevole delle difficoltà cui andremmo incontro».

Il romanzo, molto raro da reperire sul mercato antiquario internazionale e con stime che generalmente superano gli 8000 euro, ha conosciuto due versioni italiane: quella di Mazzotta, intitolata Una settimana di bontà o I sette elementi capitali, edita nel 1978, e quella di Adelphi che nel 2007 ha raccolto sotto il titolo Una settimana di bontà. Tre romanzi per immagini anche La donna 100 teste e Sogno di una ragazzina che voleva entrare al Carmelo.

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