Alla Palazzina Reale di Firenze
Design Gavina
Un convegno di studi e testimonianze ricorda la mente geniale e poliedrica di Dino Gavina, imprenditore e "operatore della creatività” che nel tempo ha rivoluzionato il rapporto tra industria e estetica
Si è appena concluso a Firenze un memorabile convegno promosso dalla presidente dell’ADI Toscana, Perla Gianni, membro del Consiglio Direttivo dell’ADI, dedicato al mitico Dino Gavina che giustamente sosteneva che il «moderno è ciò che è degno di diventare antico»e non a caso mise in produzione la sedia in legno rinascimentale Tomasa che vide in un museo fiorentino e che lui attribuì provocatoriamente a Paolo Uccello.
Gavina, uomo dalla vulcanica e pirotecnica attività di imprenditore e operatore estetico-culturale, ben rappresenta il complesso carattere del design italiano, in bilico fra artigianato e industria, tra tensione artistica e sperimentazione progettuale. Un percorso, quello di Gavina, tipicamente italiano, che dal dopoguerra in poi unisce all’intuizione imprenditoriale e all’innovazione del prodotto di design un’attitudine di stampo ” umanistico”, legata all’attenzione verso le arti, sino a portarle a volte nell’ambito del forniture design come con l’operazione dell’Ultramobile del 1971 anticipatrice di feconde commistioni fra arte e design, oggi all’ordine del giorno.
Ma vediamo più in dettaglio la personalità e la creatività di questo straordinario protagonista del design italiano. Come s’è detto, Dino Gavina (1922/2007) sosteneva che «Moderno è lo spirito dei tempi, ma la forma vera non può essere che classica». Come per la sua sedia Tomasa lo stesso si può dire della sedia Stella che Gavina riprodusse osservando una sedia pieghevole in metallo in dotazione alle truppe americane con i funzionali fori sulla seduta per la corretta traspirazione. Come d’altronde fece Giò Ponti con la sua super leggera ripresa dalla tradizionale sedia Chiavarina.
Giovane industriale del mobile, Dino Gavina coglie il ruolo di Milano quale città del cambiamento nel campo del design e sarà Lucio Fontana a introdurlo alla X Triennale del 1954 per incontrare i fratelli Achille e Piergiacomo Castiglioni, Carlo Scarpa e Luigi Caccia Dominioni che con lui produrranno alcuni tra i pezzi più importanti della storia del design italiano.
Un sodalizio professionale e creativo, quello tra architetti e industriali, che sta alla base del successo e della diffusione del design italiano nel mondo, quale esempio di riferimento obbligato e durevole, che secondo diverse modalità tramanda la filosofia di approccio e la qualità del progetto sino ai nostri giorni coinvolgendo generazioni e professionisti dalle personalità e dai linguaggi piú diversi, come Ludovico Magistretti e Mario Bellini, Ettore Sottsass, Enzo Mari e Piero Fornasetti, quest’ultimo fuori da ogni schema e solo recentemente rivalutato dalla critica che lo aveva prima considerato alla stregua di un eccentrico decoratore.
Al percorso progettuale di Caccia Dominioni designer si associano le vicende di Dino Gavina amico di Caccia e fra i primi industriali del mobile capaci di unire all’etica del prodotto industriale la sensibilità di “operatore estetico”, attento osservatore del mondo artistico. La scomparsa nell’aprile del 2007 di Dino Gavina toglie alla storia del design uno dei suoi padri fondatori.
Gavina fin dai primi anni del dopoguerra (come ricordava Giovanni Cutolo nel convegno in questione) «comincia la sua eccezionale avventura di inesausto creatore e operatore maieutico, sempre curioso, sempre fuori o ai margini degli schemi preesistenti, sempre al servizio dell’innovazione, sempre a cavallo tra arte e design, tra etica ed estetica, tra impresa produttiva ed azienda editoriale.
Gavina dalla sua Bologna, dove iniziò l’attività producendo rivestimenti in tessuto per le auto Fiat e per gli interni delle carrozze ferroviarie, comincia a guardare a Milano alle Triennale, dove nel 1954 anno di fondazione del Compasso d’Oro, incontra Lucio Fontana e i primi designer: Marco Zanuso, Luigi Caccia Dominioni, e i Fratelli Castiglioni con cui strinse un sodalizio destinato a durare nel tempo. Dino Gavina fonda una sorta di formidabile circolo di progettisti, di cui fece parte anche Carlo Scarpa, tutti tesi verso il superamento dei rigidi vincoli razionalisti e con l’obbiettivo di introdurre una presenza poetica e una nuova estetica nel paesaggio domestico non solo italiano».
Nel 1962 Gavina decide insieme ai fratelli Castiglioni di riprodurre i mobili di Marcel Breuer disegnati all’epoca del Bauhaus, non tanto per un nostalgico rimpianto dell’eredità del Movimento moderno, quanto per sottolineare un’etica del prodotto di design. Si trattava di portare in produzione dei pezzi realizzati quarant’anni prima solo a livello artigianale. E sarà proprio la coerenza di questi progetti, a renderli compatibili con i processi di produzione in serie e perciò a decretarne programmaticamente la loro “contemporaneità”
A differenza di quelli di Le Corbusier che, come ricordava lo stesso Gavina, richiedevano una serie di saldature a mano e nonostante l’immagine “modernista”, i prodotti del design del Bauhaus rimanevano relegati ad un’oggettiva produzione artigianale. Per Gavina la compatibilità con la produzione seriale rimane un imperativo, etico ed estetico allo stesso tempo. Che caratterizzerà la sua pirotecnica e instancabile ricerca nel campo del design.
Durante questo interessante convegno abbiamo potuto rivedere le immagini e il racconto dei suoi iconici prodotti come i capolavori di Carlo Scarpa: i tavoli Doge 1968, Valmarana, 1972, Delfi, 1970-1971, nonché Orseolo, 1972, e il divano Cornaro, 1973, la poltrona Sanluca, 1960, (ora riprodotta da poltrona Frau) dei fratelli Castiglioni; poi a poltrona Digamma, 1957, di Ignazio Gardella e la sedia Lambda, 1960, di Marco Zanuso. Fino agli essenziali segni domestici del giapponese Kazuhide Takahama, precursori di ogni minimalismo.
Tutto ciò attraverso le preziose testimonianze di Puccio Duni(Compasso d’Oro ADI) che con Gavina aveva più volte interagito. O con Marco Brunori,autodefinitosi l’allievo perfetto, o con Gheraldo Tonelliattuale titolare di Paradisoterrestre, altra visionaria creazione di Gavina. O con la sentita testimonianza di Fabrizio Violante, al convegno fiorentino, che ci ha piacevolmente immerso nel movimento radicale delle narrazioni degli UFO. Oppure con la dotta testimonianza di Emanuele Pellegrinidirettore del IMT, Scuola alti Studi di Lucca che ha ricordato icapitoli del design di ultranazionale 1968, ultramobile, 1971, e metamobile 1974 sempre scaturiti da Gavina. Infine con i mobili in legno grezzo disegnati da Enzo Mari da auto-assemblare a cura dei fruitori.
Ogni designer italiano in fondo può riconoscere in lui il proprio padre. E questa preziosa eredità non a caso è stata raccolta e raccontata dai titolari delle aziende toscane come Andrea LupidiAntonio Lupiche ha evidenziato come gli spiazzanti lavori di Paolo Ulian, sono in qualche modo derivati dal lavoro di Gavina. O come il sentito ricordo di Valerio Mazzeidi Edrache ha fatto una magnifica carrellata dei loro prodotti altamente visionari e molto vicini alla poetica di questo personaggio a cui era dedicato il convegno. Per non parlare del racconto denso di connessioni di Roberta Melonidi Poltronova.
Chi scrive, infine, in qualità di Style Director di Sanlorenzo, ha narrato come dopola ventennale esperienza iniziata nel 1986 assieme al fondatore di driade, Enrico Astori, ha avuto la fortuna di assaporare l’unicità di questo tipo di imprenditore\esteta quale era Astori, tanto affine a quella di Dino Gavina, che sapeva unire l’amore per il design e l’arte con il fatturato scoprendo nuovi designer e archistar sempre al momento giusto. E, ancora, dal 2006 con Massimo Perotti, titolare del cantiere navale Sanlorenzo, imprenditore nautico di rara apertura mentale, in questo universo particolarmente chiuso, quale è la nautica,
Con Perotti abbiamo rivoluzionato l’immaginario della nautica contaminandolo con i linguaggi dei grandi nomi del design italiano e ci siamo organicamente collegati all’arte contemporanea, riportando la nautica a quella dignità che possedeva al tempo di Gió Ponti che realizzò assieme a Gustavo Pulitzerindimenticabili panfili finalmente connessi col design contemporaneo e con l’introduzione site specific di importanti artisti quali Campigli e altri, abbandonando le finte architetture neorinascimentali che imperavano negli anni precedenti.
E questo successo delle aziende toscane intervenute al prezioso convegno fiorentino è stato perfettamente riassunto dalla testimonianza del presidente della Camera di Commercio di Firenze Leonardo Bassilichiche ha giustamente ricordato i sorprendenti numeri che pochi conoscono del fatturato globale delle aziende toscane pari a più di 16 miliardi di esportazione annua rispetto a soli 2,5 miliardi generati dal turismo in Toscana.
Questo anche grazie a imprenditori visionari come Gavina e i titolari delle aziende intervenute a questo convegno ospitato nella Palazzina Reale sede dell’ordine degli architetti, che ha con piacere introdotto il convegno con l’intervento inaugurale di Silvia Ricceri Presidente della Fondazione Architetti di Firenze.