Andrea Manzi
Da domani a Le Maschere di Roma

Beethoven racconta

Luca Mascolo, attore-regista del “Testamento di Beethoven”, propone il suo percorso-sonda nell’intimo del grande compositore, colto «negli aneliti, nelle urgenze ideali, nelle angosce di morte, nelle effusioni vitali del suo animo perennemente giovane»

Ludwig van Beethoven, l’interprete più alto del classicismo viennese e tra i compositori più autorevoli di ogni tempo, scrisse a soli trent’anni un testamento morale, di cui nessuno sospettò l’esistenza per il successivo quarto di secolo, cioè fino alla sua morte avvenuta nel 1827. È un’intensa e amara confessione personale, seppure redatta nella forma burocratica della missiva testamentaria, peraltro mai spedita a nessuno e nascosta in un mobile di famiglia. Nello scritto ai posteri si coglie il disperato tentativo di Beethoven di riconciliarsi con la vita, dopo momenti di profonda disperazione per la crescente sordità – i cui primi segni risalgono già al 1796 – e la consapevolezza del progressivo, irreparabile isolamento dagli uomini. Il giovane Ludwig non si lasciò stritolare dalla crisi, la superò con fatica e diede inizio al suo periodo definito “Eroico”, tradizionalmente fatto coincidere con il decennio 1802-1812, al quale risalgono capolavori come la Sinfonia n. 3 (“Eroica”), insieme alla celeberrima Quinta e alla Sesta. Ma la composizione che esprime più di tutte il tormento e l’evoluzione interiore del geniale musicista tedesco è forse l’enigmatica Grande Fuga (Große Fuge) in si bemolle maggiore op. 133 per quartetto d’archi, famosa per l’estrema difficoltà tecnica e per le sue armonie, in alcuni passaggi quasi dissonanti, al punto da essere considerate, da alcuni critici, frutto della sordità di Beethoven (fu infatti scritta tra il 1825 e 1826, quando il compositore era già completamente sordo), mentre oggi è completamente rivalutata e considerata tra le sue più grandi opere. 

Il testamento, redatto a Heiligenstadt, nei sobborghi viennesi, fu ritrovato da Anton Schindler e Stephan von Breuning nel cassetto segreto di una credenza del grande artista, pochi giorni dopo la sua morte, insieme alla celebre lettera all’Immortale Amatala cui destinataria resta tuttora incerta. Questo complesso e misterioso prisma di vita interiore, nel quale la tensione religiosa si fonde con una kantiana e irrinunciabile idea di libertà morale e di sana gioia, rivivrà nel monologo diretto e interpretato da Luca Mascolo (intitolato appunto Il testamento di Beethoven), che debutterà al teatro Le Maschere di Roma martedì 8 novembre (repliche fino a domenica 13). Le musiche sono state elaborate da Alessandro Cedrone – eseguite da Donato Cedrone, solista e primo violoncello in importanti orchestre italiane, che accompagnerà l’attore-regista nel suo percorso-sonda – e costituiscono un’armoniosa traccia sonora innervata, secondo quanto promettono le note di regia, in una drammaturgia inedita. Lo spettacolo, infatti, propone di Beethoven il racconto di sé, una sorta di cronaca sublimata del tempo vissuto, nella quale il compositore affronta il suo dolore e propone, agli “altri”, cioè a una platea invisibile e indeterminata, la propria luminosa lotta contro il destino, sostenuta dalla speranza in un auspicato trionfo del bene. 

Luca Mascolo è un attore non nuovo allo scavo interiore e all’interpretazione profonda di personaggi complessi in grado di testimoniare, proprio come accade nel suo Beethoven, lo spirito del tempo con gli inevitabili carichi di euforia, dolore e nevrosi che ogni periodo vive non sempre consapevolmente. Diplomato all’Accademia Silvio D’Amico, si è perfezionato alla scuola di Luca Ronconi e, nonostante la giovane età, ha già un curriculum rilevante: ha recitato ne I Masnadieri di Schiller e in Vita di Galileo di Brecht, diretto da Gabriele Lavia e, più recentemente, ha calcato le scene con Massimo Popolizio in Un nemico del popolo di Ibsen e Centuria di Giorgio Manganelli. Questa volta affronta la regia (con l’assistenza di Ida Carmen Maurano) di un percorso particolarissimo, finalizzato a ritrovare l’uomo Beethoven «dietro la sua forte impronta impressa sulla storia della musica e dell’arte nei secoli a venire». Mascolo tira in ballo l’Evtusenko della poesia Uomini per raccontare la spinta che ha dato avvio al suo viaggio nel mistero di un artista e nelle evoluzioni culturali dell’Ottocento da lui abitato: «Ognuno ha un mondo misterioso, tutto suo». Mondo che si coglie nella musica superba del compositore, ma anche nella vitalità di un individuo colpito ma non vinto dall’handicap fisico. Il testo drammaturgico coglie Beethoven negli aneliti, nelle urgenze ideali, nelle angosce di morte risolte dentro le effusioni vitali del suo animo perennemente giovane. 

Dopo il debutto e le repliche romane, lo spettacolo sarà in scena il 24 novembre presso il teatro Puccini di Firenze, per poi cominciare una lunga tournée nelle maggiori città italiane.

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