Sergio Buttiglieri
In scena a Firenze

Alcina e le rockstar

Grande successo al Maggio musicale per una riedizione in chiave tutta contemporanea di "Alcina" di Händel con la irriverente regia di Damiano Michieletto, la direzione di Gianluca Capuano e un cast stellare di interpreti

Una folla di uomini seminudi che attraversano forsennatamente il palcoscenico da destra a sinistra come telecomandati dalla maga Alcina che li trascina senza tregua nella loro instabile realtà, toccando la perennemente ruotante parete di vetro che domina la scena con una continua serie di impalpabili nuvole e filmati vari, che la mutano in continuazione. Inizia così l’interessante regia di Damiano Michieletto di Alcina di Georg Friedrich Händel che venne rappresentata per la prima volta a Londra nel 1735. Recentemente riproposta al Salzburger Pfingsfestspiele e ora in prima rappresentazione italiana   al Maggio Musicale fiorentino con la riuscita direzione musicale di Gianluca Capuano dei Musiciens du Prince-Monaco.

L’auditorium fiorentino non si è risparmiato in applausi agli innumerevoli mirabolanti assoli e gorgheggi del cast di altissimo livello che ha fatto rivivere quest’opera preziosa poco rappresentata in Italia. 

Lo specchio ovale che vibra di colori evanescenti da cui esce Cecilia Bartoli  è anche il punto finale della dolorosissima fine amorosa della protagonista, perdutamente innamorata di Ruggiero, ben interpretato dal controtenore Carlo Vistoli, eternamente indeciso fra lei e Bradamante, perfettamente inscenata dal contralto Kristina Hammarström (che ritroviamo in scena per la maggior parte del tempo vestita come un dinoccolato ragazzotto insidiato, senza risultati, dal bravo soprano Morgana/ Lucia Martín-Cartón). Facendo così arrabbiare il tenore Oronte/Petr Nekoranec a sua volta geloso della sua Morgana, che non si capacita di questo invaghimento. La storia della maga Alcina resa perfettamente dalla mitica Cecilia Bartoli, è piena di camuffamenti, di amori negati e riacciuffati. E il regista, attraverso le accattivanti scene di Paolo Fantin e tramite inconsuete atmosfere contemporanee, ci immerge con piacere nella trama musicale ideata da Händel quasi trecento anni fa.

La metaforica rottura finale dello specchio da cui era uscita Alcina, che Ruggiero distrugge con impeto, è l’inizio di una fantasmagorica lenta pioggia al rallentatore di spezzoni di vetro su tutta la scena, che ci raccontano al meglio la fine pietosa di Alcina stesa a terra senza più poteri che declama la sua ultima magnifica dolorosa aria. Finale che ha incantato tutti e lasciato col fiato sospeso il numerosissimo pubblico fiorentino.

Persino il giovanissimo Oberto, alla perenne ricerca del padre Astolfo, trasformato in un albero ha raccolto applausi a go go nei suoi giovanili assoli. E non è stato da meno, il baritono Melisso/Riccardo Novaro, che accompagna Bradamante nel regno di Alcina, il quale sembra un fricchettone anni ’60 con lunghi capelli e occhiali da rockstar. Questa volta, la regia non convenzionale di Michieletto non è stata contestata dai melomani che solitamente, al contrario, vogliono vedere immutate e in costume d’epoca le opere.

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