Every beat of my life
La notte di Shelley
Il poeta delle odi al vento occidentale, sommo autore di liriche brevi (come il suo amico John Keats, secondo solo a Shakespeare), svela la banalità della “buona notte”: nel silenzio e nel buio, nasconde «avventure e sventure dell’anima»
Ho consegnato a Feltrinelli, il mio Shelley. Il poeta delle odi al vento occidentale, alla bellezza intellettuale, all’anima del mondo. Straordinario, quanto nelle elegie e nei drammi in versi, pensiamo al suo Prometeo inspirato al capolavoro di Eschilo.
Ma accanto alle elegie, ai poemi, ai drammi incantano, come nel suo amico John Keats (il massimo autore inglese di sonetti, dopo Billy) liriche brevi e ridenti, modulate su una versificazione incantante. Shelley sa svelare senza farlo notare: come può essere davvero “buona” una notte, se di notte si tratta, vera, sogno, tormento, passione, viaggio nel profondo, unione, amore e anche paure… Certo, realtà buone, ma vitali, complesse, avventure e sventure dell’anima nel silenzio e nel buio.
Non una banale, rassicurante: buonanotte.
Eppure, grazie al suo genio, dopo aver letto questi versi, e condiviso la sua critica alla banalità del “buonanotte”, ci rendiamo conto che ce la sta augurando, perennemente, cantilenando, anche durante il giorno.
Buonanotte
Buonanotte? no, cara, la notte è cattiva,
lei che separa ciò che dovrebbe unire…
restiamo ancora insieme,
allora sarà davvero “buona notte”.
Come sarebbe senza te buona la notte,
anche se la tua voce mette ali al suo volo…
Ma non sia detto, pensato, concepito
che questa sia davvero “buona” notte.
I cuori che battono uno sull’altro
sin dalla sera fino quasi al mattino
vivono notti dolci quanto buone,
ma non dicono mai, mai, “buona notte”.
Percy Bysse Shelley
Traduzione Roberto Mussapi