A proposito de “Gli uffici competenti"
Putin e Sinjavskij
Il bellissimo romanzo di Iegor Gran racconta l'avventura dello scrittore dissidente Andrej Sinjavskij - il suo arresto e la sua condanna - assumendo il punto di vista dei servizi sovietici . E così rivela anche qualcosa della Russia di oggi
Possibile che l’avventura di Andrej Sinjavskij – il celebre scrittore russo dissidente, arrestato, processato e condannato al gulag nel 1966 – possa celare il segreto della guerra di Putin? Leggete Gli uffici competenti di Iegor Gran (Einaudi, traduzione di Giuseppe Grimonti Greco e Enzo Sinigaglia, 232 pagine, 19 Euro) e avrete la risposta. Vi assicuro che ne vale la pena: cercherò di spiegarvi perché.
Andrej Sinjavskij, prestigioso professore di letteratura nella Mosca kruscioviana, riuscì a bucare il ferreo controllo sovietico pubblicando alcuni libri “liberi” in Francia, con il nome di Abram Terc. Questo misterioso alter ego dello stimato professore venne subito considerato dal regime sovietico un sovversivo al soldo dell’impero del male (l’Occidente) e per anni venne inseguito dai servizi sovietici i quali, alla fine, nel 1965 – quindi dopo il siluramento di Krusciov e l’insediamento di Breznev – riuscirono finalmente a identificarlo, arrestarlo, processarlo e mandarlo al Gulag. Dove rimase per quasi sei anni. Dopo di che venne esiliato in Francia, ove riuscì a ricostruire la sua vita. L’arresto, il processo e la condanna di Sinjavskij (insieme a suo amico e a propria volta scrittore dissidente in incognito, Julij Daniel’), sollevarono una polemica che scosse il mondo di quegli anni: come si poteva perseguitare un uomo solo per aver scritto dei libri? Di qua molti intellettuali occidentali insorsero contro i diritti calpestati; di là la quasi totalità degli scrittori sovietici – a partire dal celebre Michail Šolochov, l’autore del melenso Placido Don, Nobel per la letteratura proprio nel 1965 – condannò con violenza i due scrittori reietti e “antisovietici”. Solo i partiti comunisti occidentali, quello francese e quello italiano soprattutto, di qua si allinearono alla condanna, sia pure, talvolta, a malincuore.
Ebbene, questa straordinaria storia di libertà e conflitto tra due concezioni opposte del mondo e dell’esistenza (detto alla spiccia, da un lato l’indipendenza individuale, pur con tutte le contraddizioni del caso, dall’altro l’assenza totale di autonomia individuale) è al centro del bellissimo libro di Iegor Gran. Dove è ricostruito il percorso investigativo di un certo tenente Ivanov dei servizi sovietici, incaricato di smascherare Abram Terc. Ma vi è pure raccontata la placida vita del mostro “antisovietico”, dello scrittore che manterrà salda la sua quiete anche durante il processo e poi, dopo, nella prigionia (fu condannato ai “lavori duri” e fece per quasi sei anni lo scaricatore). Ma il punto di vista assunto dall’autore è quello del funzionario sovietico, del tenente Ivanov, il quale ovviamente non ha dubbi nella sua opera di distruzione sistematica delle libertà altrui, specie quando queste si mostrano fragili nei confronti delle sirene occidentali. Che sono, ovviamente, la quintessenza del Male, ossia ciò che impedisce alla straordinaria forza sovietica di completare il suo cammino verso il comunismo. E che ogni giorno mettono a rischio la vita stessa dell’identità sovietica. Ragione per la quale un buon cittadino sovietico deve operare per sanificare il suo paese e la sua utopia: Ivanov paragona se stesso a un medico addetto alla prevenzione di una malattia mortale: l’autodeterminazione degli individui.
Proprio questa trovata narrativa (assumere il punto di vista del “carnefice” e rivelarne prima di tutto l’abissale, comica idiozia) è il punto forte di questo “romanzo” (più avanti si capirà il perché di queste virgolette): non c’è acrimonia nella descrizione del gigante sovietico perché le vicende, le manie, la violenza degli uffici competenti in realtà producono comicità. L’autore tratta i carnefici con una bonaria ironia. Come dire? Nel servono parole, aggettivi, giudizi per far risaltare la gravità dei comportamenti di Ivanov, dei suoi superiori, dei suoi confidenti: la realtà della loro brutale stupidità basta a se stessa. Siamo di fronte a quel realismo tipicamente russo (pensate a Jury Tynjanov e al suo Sottotenente Enti) pervaso di ironia proprio perché apparentemente ancorato alle comiche contraddizioni della realtà e perciò prossimo all’assurdo. Per inciso, si tratta proprio di quel “realismo fantastico” di cui Abram Terc/Andrej Sinjavskij è stato protagonista…
Il fatto è che Iegor Gran è il figlio di Andrej Sinjavskij. Nato nel 1964, appena prima dell’arresto del padre, e dal 1972 cresciuto in Francia, è un ottimo scrittore di suo, che qui per la prima volta, dopo tanti anni, ha deciso di ricostruire, alla sua maniera, la guerra di cui il padre è stato involontario protagonista. E proprio questa profonda, viscerale adesione ai fatti narrati fa di questo “romanzo” una fredda testimonianza: qualcosa che, pagina dopo pagina, si libera dai vincoli della finzione fino a entrare nella carne delle cose. Nel vivo della storia. Il tutto, sempre, con leggerezza, ironia, distacco. Come se l’autore non parlasse del martirio di suo padre, della fredda consapevolezza di sua madre e di se stesso infante, ma di un mondo estraneo: una metafora assoluta del conflitto tra Est e Ovest d’Europa. Ecco perché si tratta di un punto di vista inedito sulla storia, che fa giustizia di tante incomprensioni.
Per chiarirne una delle quali, mi sia concessa una digressione personale. Iegor Gran racconta l’insediamento di Breznev attraverso l’improvviso aumento di sovvenzioni ai servizi. E testimonia i nuovi investimenti – con la sua solita ironia – attraverso l’arrivo negli uffici dei servizi di una grande, costosissima fotocopiatrice capace di stampare 7 copie al minuto su carta piana (che si rompe subito, per altro). Ebbene, le vecchie fotocopiatrici sovietiche, antecedenti a questa, che stampavano su un rullo di carta fotografica, non vennero buttate dal regime ma spedite negli uffici dei “partiti fratelli”. Quando entrai a l’Unità, nel 1979, le fotocopiatrici di redazione erano ancora quelle lì. Grosse, rumorose, propense a incepparsi ma, insomma, in fin dei conti funzionali: fotocopiavano, e tanto bastava. Certo a prendere quei fogli troppo inchiostrati ci si macchiava tutte le mani, ma la questione era fotocopiare. E pazienza per le mani inchiostrate. Eppure, noi giovani cronisti, saputa la provenienza di quelle macchine, ne ridevamo: ci sembravano il reperto di un mondo anacronistico, la testimonianza di una tenacia inutile. Perché ostinarsi a realizzare delle fotocopiatrici inefficaci quando ne esistevano, nelle redazioni di altri giornali, ben altrimenti funzionali? Non era una questione di contrapposizione tra comunismo e imperialismo, era una pura faccenda di utilità. In quel modo, ironizzavamo non solo sulle fotocopiatrici sovietiche, ma anche sull’intero regime che, in tutta sincerità, era totalmente alieno da noi e dai nostri sogni: leggendo il romanzo di Iegor Gran ho capito perché. Aggiungo che i compagni più vecchi, per i quali in molti casi l’Urss era un universo di riferimento indiscutibile, sentendoci ironizzare non ci biasimavano. Forse ci capivano.
Ma veniamo, infine, alla profonda attualità di questo libro. Gli Ivanov che, ciecamente, stupidamente, vedono l’altro da sé come una minaccia, come una malattia capace di infettare la propria quotidianità tempestata di certezze sono anche i russi di oggi che applaudono felici alla guerra contro il mostro occidentale edificato sulla (faticosa, sovente contraddittoria) tutela dei diritti umani. Nelle sciocche parole d’ordine di Ivanov e dei suoi colleghi e superiori si riflettono le cazzate sputate oggi da quel tal Medvedev che non perde occasione di dar corpo alla sua idiozia spandendo rancore su canali di comunicazione via internet garantiti, per altro, dai suoi nemici.
Insomma, nella storia di Sinjaskij, così come l’ha raccontata mirabilmente suo figlio Iegor Gran, c’è un conflitto insanabile fra due mondi incompenetrabili. Volete una prova? Letto questo bellissimo romanzo, mi sono subito attivato per conoscere meglio Sinjavskij, per leggere i suoi libri. Va da sé che non ce ne sono, in commercio, qui da noi. Non un solo titolo di questo “mostro antisovietico” è attualmente disponibile; né sono rintracciabili nelle librerie antiquarie vecchie edizioni. Semplicemente perché i suoi libri, in Italia, hanno sempre subìto un solido ostracismo. Chissà perché.