Paola Benadusi Marzocca
Vecchie e nuove tradizioni

Shaw e la regina

Che cosa avrebbe detto della morte della regina Elisabetta II George Bernard Shaw? Che cosa è rimasto della sua cultura “laica” nel Regno Unito? Forse da tanti caroselli e commozione avrebbe tratto una bella commedia...

Sarebbe curioso sapere cosa avrebbe scritto George Bernard Shaw dinanzi alla diffusa commozione e gli esagerati panegirici che sono stati fatti per la morte di Elisabetta II d’Inghilterra. Sicuramente quest’ultima, nella sua lunghissima vita, ha incarnato con grande dignità un’istituzione obsoleta, e forse meglio di così non avrebbe potuto fare, ma certamente la monarchia non faceva parte degli interessi del grande commediografo irlandese che invano aveva cercato con le sue commedie di cambiare la testa agli inglesi.

Nato a Dublino nel 1856 George Bernard Shaw con la sua caustica intelligenza e il suo graffiante umorismo allarmò sempre i benpensanti suoi contemporanei e spesso anche i posteri. Si definiva ateo anche se fu educato da uno zio sacerdote e frequentò poi una scuola metodista, dove lui stesso dichiarò di non aver imparato nulla, anzi di aver dimenticato quel po’ che sapeva. In seguito affermerà che “con i soli titoli accademici anche se completati da una spolveratura di lingue morte e due soldi di algebra, i laureati più eruditi possono essere dei buoni a nulla e degli ignoranti”. In altre parole, senza esperienza di vita nessuna persona può dirsi istruita.

Il suo speciale talento gli permise di essere una personalità a Londra nella sua professione. Famosi sono i suoi aforismi: “Un uomo può, come Don Chisciotte, essere così abile da avere una personalità ed essere tuttavia un pazzo perfetto”. Altra sua convinzione era che gli uomini fossero gli unici animali da temere: “Un leone ben nutrito è meno pericoloso. Non ha ideali, né setta, partito, nazione o classe: in breve non ha nessun motivo per distruggere ciò che non vuole divorare.”

Sin da bambino dimostrò uno spiccato interesse per Shakespeare e per la musica, tanto che da solo imparò a suonare il pianoforte. Quando il padre fallì e si ritrovò in miseria, Shaw aveva solo quindici anni. Fu costretto a cercarsi un lavorò e lo trovò come impiegato di una ditta immobiliare. “Diedi prova di essere un cassiere e un contabile coscienziosamente corretto…”, ma gli affari non gli interessavano. “Non ho mai eseguito un pagamento senza sperare che fosse l’ultimo”, confessò. Fu così che a vent’anni abbandonò l’impiego e l’Irlanda e andò a Londra, deciso a dedicarsi alla carriera letteraria. All’apice del successo, ricordando i primi faticosi anni giovanili, scrisse: “Ero un provinciale, un cocciuto: ho dovuto cambiare la mentalità dei londinesi prima di essere in qualche modo ammesso e tollerato fra loro”.

Come Shelley, si proclamò socialista, ateo e vegetariano, e quando scoprì l’esistenza della “Società Fabiana”, costituita dai migliori elementi della borghesia colta, ne divenne socio acquistando notevole fama come oratore. Era allora assai povero, portava vestiti consunti e aveva le scarpe sfondate. Soleva dire che aveva scelto la carriera letteraria anche perché gli consentiva di andare vestito come gli pareva. In seguito disse: “Appena ho potuto permettermi il lusso di vestirmi decentemente, mi sono abituato a vedere le donne innamorarsi di me”.

Poiché all’inizio non trovava editori disposti a pubblicare i suoi romanzi, cominciò a dedicarsi al giornalismo per guadagnare qualcosa. Divenne critico musicale di “World” collaborando anche con altri giornali. Come critico acquistò fama, ma le sue relazioni con i direttori furono sempre tempestose. Non amava nessun tipo di compromesso ed esigeva di riscuotere per i suoi lavori un adeguato compenso. A quei tempi non andava di moda il cosiddetto volontariato intellettuale e sociale come oggi nel nostro paese. Così, giustamente, al segretario di un direttore che gli aveva fatto una misera offerta scrisse: “Egregio signore, la prego di voler cortesemente informare il direttore che io vorrei vedere lei, lui e tutto il personale del Chronicle ardere nell’inferno, prima che faccia il lavoro richiestomi per la somma che mi avete offerto”.

Nelle sue critiche non risparmiava nessuno. Così scrive: “Questi anni come critico svilupparono la mia educazione mentale costringendomi ad emettere giudizi accuratamente ponderati e a discriminare fra talenti brillanti e celebrità alla moda il cui successo finiva con la loro morte o prima, e il genio non dura soltanto un’epoca, ma tutta l’eternità”.

Il suo maggiore interesse fu indiscutibilmente il teatro. Nel 1895 divenne critico teatrale della Saturday review. Proprio in questo periodo cominciò la sua passione per Ibsen e di conseguenza prese a giudicare la società, sia sulla scena che fuori, in base al parametro del formidabile drammaturgo norvegese. “È inutile parlare di profondità di Shakespeare – disse – Amleto è un’effigie smidollata in confronto a Peer Gynt; Imogene è una bambola al cospetto di Nora Helmer; Otello è un personaggio convenzionale dell’opera italiana, rispetto a Giuliano l’apostata…”.

Shaw amava non solo Ibsen ma anche Goethe, Wagner e Beethoven. La sua prima commedia Case del vedovo fu rappresentata nel 1892 con scarso successo. La professione della signora Warren fu ritenuta la più audace commedia di quei tempi e bandita dalla censura. Dopo Il soldato di cioccolata scrisse l’indimenticabile Candida, poi L’uomo del destino, Non si sa mai, Il discepolo del diavolo. Fu in questo periodo che incontrò la sua futura moglie, Miss Charlotte Payne-Townshend, a un ricevimento dato da un membro della Società Fabiana. Era anche lei irlandese, ricca e socialista. Si sposarono civilmente nel 1898. A proposito del suo matrimonio, George Bernard Shaw scrisse: “Come marito e moglie abbiamo scoperto nuovi rapporti che hanno posto termine alle vecchie galanterie, ai flirts e ai corteggiamenti sia da parte sua che mia.”

Continuò a dedicarsi al teatro scrivendo varie opere tra cui i suoi più grandi successi: Pigmalione e Santa Giovanna. Data la simpatia che dimostrò verso la Chiesa cattolica, gli fu chiesto se intendesse convertirsi al cattolicesimo. Shaw rispose: “Non c’è posto per due papi nella Chiesa cattolica”. Visitò vari Paesi fra cui la Russia, l’India, la Cina, e altro. Stephen Zweig lo ricorda a ottant’anni compiuto come un vecchio “di inverosimile freschezza, che a tavola mangiucchiava soltanto noci e frutta, alto, magro, sempre teso, con la risata pronta attorno alla bocca verbosa, e più che mai innamorato del fuoco d’artificio dei suoi paradossi”.

Spiritoso fino alla fine dei suoi giorni, quando gli chiesero di scrivere il suo epitaffio disegnò una tomba ricoperta di erbacce e su di essa vergò queste parole: “Hic jacet Bernard Shaw / Chi diavolo era mai?”
Peccato che oggi sia impossibile imbattersi in simili personalità. 
         

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