Cronache infedeli
La lezione cilena
La bocciatura della nuova costituzione “scritta” dal presidente cileno Boric è un campanello d'allarme per la sinistra latinoamericana: un invito ad abbandonare il “castro-chavismo”, antico impasto di retorica, repressione, fallimento economico
Siamo andati a dormine con ancora negli occhi le immagini della festosa moltitudine del Sì raccolta in Plaza Dignidad, e ci siamo svegliati con i caroselli di auto e le bandiere cilene sventolate dai militanti della destra per la festa del No che ha trionfato nel voto del paese reale. Piazze piene, urne vuote: mai l’antico monito del dimenticato Pietro Nenni fu più amaramente veritiero. Il Cile della dignità ritrovata, il Cile della sinistra al governo, il Cile del più giovane presidente della storia, è sconfitto. Con il 62 per cento dei voti il rechazo (“rifiuto”) respinge il progetto della nuova Costituzione e fa a pezzi un sogno troppo ambizioso. È un amaro plebiscito: l’apruebo (“approvo”) perde in tutte le province del Paese e si scopre minoritario anche nel centro di Santiago, roccaforte della variegata sinistra al governo.
Oggi alla Moneda e nei laboratori progressisti è il momento del rimpianto e delle recriminazioni. Il voto popolare ha stracciato un progetto costituzionale monstre vergato in un testo di 170 pagine e 388 articoli. Un libro dei sogni che va dall’ampliamento dei diritti sociali alla parità di genere nelle istituzioni e nelle imprese, dall’acqua riportata sotto il controllo pubblico ai diritti della natura e degli animali, dalla sanità tutta pubblica al riconoscimento dei diritti delle popolazioni e delle nazioni indigene, fino alla definizione estrema del Cile come “Stato plurinazionale”.
Vasto programma: ma calare questa splendida armatura su uno dei Paesi più conservatori di tutto il continente e pretendere di sostituire l’antica costituzione del dittatore Pinochet con il suo esatto opposto, era evidentemente un azzardo estremo. Da sinistra, commenta lo scrittore Raul Zibechi: «Per quanto nobili fossero le intenzioni di chi ha redatto la Costituzione, l’attenzione del Paese è altrove, e gran parte dei settori popolari prova angoscia per il deterioramento delle proprie condizioni di vita, angoscia che si riflette nel misero 30 per cento dei consensi al governo Boric, a pochi mesi dal suo insediamento». Da destra, aggiunge lo scrittore Ascanio Cavallo: «La nuova costituzione doveva essere una casa per tutti, e si è tradotta in un festival del particolarismo e della politica identitaria. Questo risultato mostra l’iniquità delle visioni filtrate dall’ideologia e dal desiderio».
Una sconfitta di queste dimensioni mette a soqquadro il campo della nuova sinistra del presidente Boric, e in una sorta di amaro contrappasso tornano oggi a parlare personaggi che sembravano relegati definitivamente nella soffitta della storia dal nuovismo del movimento impetuoso che ha animato la rivolta di piazza del 2019. È durissimo nel suo commento il socialista Ricardo Lagos, che fu presidente dal 2000 al 2006: «il progetto costituzionale era una carta estremamente partigiana che non ha unito i cileni». La stessa Michelle Bachelet parla di “principi non negoziabili”, ma auspica un nuovo progetto e un nuovo processo di unità nazionale.
Da questo amaro plebiscito bisognerà dunque ripartire. Ma – avverte la politologa Yanina Welp – con la consapevolezza che il Cile è pienamente inserito nel vortice della moderna turbo-politica: «nuovi partiti nascono dalla finestra di opportunità aperta dalla crisi di rappresentazione, e tuttavia il turbo che li proietta sullo scenario elettorale può anche distruggerli». Dunque attenti! Siamo forse alla vigilia di una nuova fase di turbolenze di segno opposto rispetto alla primavera del 2019? Oggi la parola d’ordine dell’oficialismo della Moneda è il manzoniano: “sopire, troncare, troncare, sopire…” e il giovane presidente riconosce che il popolo ha parlato «e lo ha fatto in maniera forte e chiara».Ma è chiaro che qualcosa – molto – dovrà cambiare ai vertici, a partire da un rimpasto di governo che sembra imminente, con l’eclisse dei partigiani del radicalismo costituzionale e l’ascesa dei moderati, gli “amarillos por Chile”: un gruppo che si definisce di centro-centrosinistra.
Gabriel Boric annuncia anche un nuovo processo costituente dove però «il Parlamento sarà protagonista». La politica torna dunque nelle sedi tradizionali, lontano dalle infatuazioni assembleariste del recente passato. Il giovane presidente dovrà rivedere tutti i suoi sogni, mentre il giovane Cile è già di fronte a un bivio della sua storia recente: quel terremoto politico, sociale e generazionale innescato nel 2019 dalle proteste popolari per un aumento di quattro centesimi dei biglietti della metropolitana. Bilancio: «Tre anni indimenticabili e un Paese ancora diviso sul futuro», commenta il New York Times.
La risacca cilena rischia di investire le giovani esperienze di sinistra del continente, a partire dalla Colombia. Gustavo Petro, che governa a Bogotà, ha ricevuto aspre critiche per un amaro tweet – «Pinochet è vivo» – che si poteva sinceramente risparmiare. Peccato veniale, per un uomo coraggioso, che dovrà tenere la barra dritta contro le terribili sfide che lo attendono. C’è in tutta l’America Latina un processo faticoso di affrancamento delle nuove sinistre dalla trappola del cosiddetto castro-chavismo: quell’antico impasto di retorica, repressione, fallimento economico che tiene imprigionati Cuba, il Venezuela di Maduro e il Nicaragua di Daniel Ortega.
Il nuovo Cile ha fatto un passo falso che può anche essere una lezione. Come scrive El Paìs, «il plebiscito è stato l’inizio e non la fine di un lungo percorso». Lungo questo percorso sono sempre in agguato l’estremismo e il settarismo, il sogno impotente e il millenarismo: da decenni gli stessi peccati capitali. Come ammonisce André Gide: «Tutto è stato detto, ma poiché nessuno ascolta, bisogna ogni volta ricominciare».