Autori da ritrovare
Leggenda Pugliese
Un romanzo mitico, "Malacqua", pubblicato prima da Einaudi e oggi da ristampato da Bompiani, e una raccolta di racconti: in questi due libri si racchiude il più singolare scrittore napoletano, Nicola Pugliese. Ecco la storia della sua leggenda
La vicenda di Nicola Pugliese è paragonabile a una novella pirandelliana sull’identità multipla. Nel 1977 pubblica quasi in sordina, ma con l’avallo di Italo Calvino, un romanzo che si chiama Malacqua. Espressione che nel dialetto napoletano riconduce anche a una profezia infausta.
Nel Fu Mattia Pascal di Pirandello, il protagonista cambia vita e nome, ma porta con sé il peso dell’io irrisolto, di quello che era in precedenza. Si può scomparire da morti, ma nel mondo dei vivi è evidente che una traccia di quello che siamo stati genera un’ombra incancellabile che continua a seguirci fino a riportarci al punto di partenza. Dunque anche per lo scrittore napoletano (era nato nel ’44 a Milano ma visse l’intera vita a Napoli), il desiderio di dissolversi si vanifica.
Pugliese è stato giornalista del Roma di Achille Lauro, quindi fortemente connotato ideologicamente. Ma Nicola era di fatto uno spirito libero. Quel manoscritto scritto di notte, per i buoni uffici del fratello Armando che stava mettendo in scena Il barone rampante di Calvino, finì proprio nelle mani del grande scrittore einaudiano. Lo lesse e lo apprezzò. Era quella una Napoli e una storia che nel panorama della narrativa dedicata alla città aveva toni di forte originalità.
Calvino diede dei consigli a Pugliese che lui accettò. Però le richieste di limature e cambi si fecero troppe e allora il Nostro mise Calvino di fronte a un aut aut: o così o non se ne fa niente.
Evidentemente Calvino di quel romanzo se ne dovette segretamente innamorare. Infatti fu pubblicato nel 1977 per Einaudi, dapprima in una collana secondaria per esordienti, per poi approdare nei Supercoralli.
Comincia così la storia di un libro che nasce e che quasi subito fa perdere le tracce di sé. Lo stesso accade per l’Autore che, dopo alcuni ripensamenti, abbandona il giornalismo, anche perché ormai il giornale Roma chiudeva i battenti.
Siamo al principio degli anni ’80.
Nasce attorno a Nicola Pugliese una sorta di leggenda. Se ne hanno notizie frammentarie. Prima pare si sia trasferito a Castelvolturno e poi ad Avella, piccolo paesino nei pressi di Avellino.
Alcuni di noi a quel tempo erano riusciti a procurarsi una copia del romanzo (io lo trovai da “Guida” a Port’Alba), altre copie circolavano in fotocopie quasi clandestine, visto che il testo non fu mai ristampato.
Con la complicità del mio amico giornalista Pier Antonio Toma, ci mettemmo sulle tracce di Nicola (per molti era soltanto Nicola).
Quando lo lessi alla fine degli anni ’70, ne rimasi affascinato e capii che quel geniale romanzo sarebbe rimasto dentro di me. Troppa era la limpidezza della lingua, l’originalità della storia e una certa svogliata e fatale ritmica scandita da quattro giorni di pioggia infausta, corrosiva, sulla città di Napoli, dove si mischiavano crudo realismo giornalistico e invisibile tratto surreale e magico.
La storia possedeva un’aura veramente insolita; di disincanto del protagonista, tale Andreoli Carlo, fatalismo come di attesa dell’evolversi di un tempo fermo, di una definitiva scelta fra vita e morte.
Il romanzo oscillava su di un invisibile ramo fra denuncia e indifferenza.
In quel vuoto pneumatico una serie di personaggi si muovevano simili a fantasmi.
Si era formata da poco una piccola casa editrice i cui fondatori fummo proprio io, Pier Antonio Toma e Vittorio Buongiorno: “La compagnia dei trovatori” 2006 più o meno.
La mia idea era quella di riportare all’attenzione capolavori dimenticati di grandi scrittori napoletani, risvegliandoli dal sortilegio dell’oblio in cui erano caduti.
Iniziarono così nel 2006 i nostri pellegrinaggi in quel di Avella.
Lì conobbi quello che era chiamato il Salinger napoletano. Un uomo con baffi, alto, dai movimenti lenti che non oppose resistenza alle nostre avances.
A quel tempo nel 2006 già non ci vedeva più bene afflitto da una malattia degli occhi che ne limitava la vista costringendolo a una complicata lettura e, credo io, a una definitiva dismissione della scrittura.
Gli appuntamenti venivano scanditi e si svolgevano nella piazza del paese in un Caffè dove lui era di casa. Per tutti, come già detto, era il Salinger napoletano.
L’accostamento non era casuale perché come l’americano era diventato famoso per un solo romanzo, Il giovane Holden, così era accaduto a Pugliese per Malacqua. Ma non finisce qui, perché ai nove racconti di Salinger ben presto fecero eco i nove racconti di Pugliese. Un sodalizio e una affinità forse elettiva fra due grandi scrittori, chissà. Anime così lontane fra loro così schiettamente riservate e solitarie.
Nicola, maestro del divagare, rimandare, della perifrasi e una evidente indifferenza (se non fastidio) per la società letteraria napoletana, ci aspettava in piazza. A volte chiamava per nome certi cani randagi quasi distaccato da tutto. Era un abile giocatore di scacchi ai quali si dedicava nelle lunghe giornate avellane. In fondo del giornalismo non gliene importava molto, (lo aveva dichiarato in una bella intervista che era riuscito a fargli lo scrittore e critico Giuseppe Pesce). Avrebbe voluto fare l’attore, a quanto pareva. E di certo ne aveva il fisico, l’espressione un po’ abbrunata del volto, e un certo cipiglio.
Il giornalismo fu solo una eredità paterna.
Alla fine riuscimmo a scalfire il suo scetticismo conquistando la sua fiducia. Fra un caffè e una sigaretta consumata con gusto sonnolento, ci parlò anche di sé. Ma non volle mai farci salire in casa. Solo una volta arrivammo sotto al portone insieme a lui, poi d’un tratto ci ripensò dicendo “no, meglio di no”.
Come già accennato Nicola era quasi cieco, credo che avesse solo una feritoia centrale dalla quale riusciva a intravedere residue forme.
Per farla breve, per Malacqua non ci furono santi. Non voleva pubblicarlo (scrivemmo anche una lettera a Einaudi senza ricevere risposta). Emersero però dieci racconti inediti, coevi al romanzo. Taluni personaggi avevano lo stesso nome dei protagonisti del romanzo. Da dieci divennero nove, tutti molto belli.
E allora cominciammo a ricopiare da carte un po’ ciancicate e si pose il problema della copertina.
Qui per noi cominciarono i problemi. Il disegno lo aveva fatto lui. E un po’ perché non ci vedeva bene, e molto perché di un perfezionismo quasi maniacale, quel disegno vagamente surrealista non andava mai bene. Mai centrato secondo i suoi gusti.
Ciononostante alla fine ce la facemmo, il libro fu pubblicato nel 2008 per “La compagnia dei trovatori”.
Non era la Malacqua che io sognavo, ma lui ci promise che poi quel testo, ormai mitico ce lo avrebbe dato. Quei quattro giorni di pioggia battente e obliqua su Napoli, di smottamenti, misteriose bambole parlanti e monetine sonanti sarebbe stato nostro.
Il protagonista Andreoli Carlo, come in una questura, lo immaginavo raccontare alla maniera di chi non fa attrito coi fatti. Li racconta come sono, anzi li appunta fra una spuma di barba e l’altra.
Cos’è il disincanto se non una presa di coscienza dell’impermanenza dell’umano vivere? Quanto Camus c’era in quelle pagine, quanta luce sprecata nell’attesa di un avvenimento che sovvertirà il mondo, le ingiustizie, il potere.
La raccolta che pubblicammo si intitolò La nave nera, da uno dei racconti. Una misteriosa nave che appare nel golfo e poi scompare come un galeone fantasma.
Il suo stare al mondo era tutto preso nel lieve sussurro di un refolo di vento, un leggerissimo spostamento di tempo cosmico.
Nicola probabilmente era Andreoli Carlo. Un bicchiere di vino, una sigaretta, un pensiero per la sua Perzechella (la figlia adorata Alessandra), e infine il nulla, il vuoto insensato di un mare imperscrutabile come lo stesso orizzonte leopardiano.
Per quanto ne so Nicola Pugliese si è lasciato andare al male che lo ha colto fino a morirne senza curarsi. Somigliando a una barca che si avvia alla deriva nell’oscurità di una notte senza luna. Non deve averlo preso il gelo della vita che termina, avrà forse assaporato solo un’ultima liquida sorsata di fumo. Ed è scomparso. Ma quel romanzo resta come i suoi gesti compassati, e un pensiero di ragionamento irrisolto.
P.S. Malacqua è poi stato ripubblicato dall’editore “Pironti” nel 2013, e successivamente da Bompiani nel 2022.