Loretto Rafanelli
Il libro di Roberto Galaverni

Poeti per PPP

Nell’anno del centenario della nascita, le celebrazioni danno voce all'assenza di Pasolini, al suo pensare lucido, criticamente intransigente ma aperto all’“altro”. Lo confermano le poesie a lui dedicate raccolte in volume dal critico letterario. Da Arbasino a Zanzotto, attraverso Luzi e Magrelli

Ricordare quella mattina del 2 novembre 1975, è ricordare uno sgomento e un dolore incredibili, la morte di Pasolini colpiva la mente e il cuore. La sua severa e luminosa presenza aveva riempito i nostri anni. Le poesie, i romanzi, i film, le dure polemiche, le tesi eretiche, il ribaltamento delle prospettive, la critica letteraria, la discussa posizione politica, e la vita irregolare e il fervore affabulatorio, erano non solo il centro delle innumerevoli discussioni nell’ambito culturale, bensì il ‘cibo’ di cui si nutriva una intera comunità, specie quella giovanile. Tanto che quella vita, quella intelligenza, divenne anche la vita di molti di noi. E oggi che cade il centenario della nascita (e si moltiplicano le iniziative, gli eventi, gli studi, le testimonianze), ci pare di seguire ancora una volta un percorso virtuoso, oltremodo prezioso e profondo, e forse anche l’occasione per rileggere una stagione culturale e sociale del paese, e avvertire di quanto si sia orfani di un pensare che teneva insieme lucidità di analisi e sapere, intransigenza critica e accoglienza dell’“altro”, apertura mentale e insofferenza verso i facili giudizi.

Allora, guardiamo con soddisfazione le tante proposte apparse in questo scorcio di anno per ricordarlo, vogliamo citare quelle più originali: a Brescia 60 scatti di importanti fotografi col Pasolini nella quotidianità familiare, a Roma dove si ripercorre il rapporto del cineasta con le pellicole degli altri registi e sempre a Roma il Pasolini pittore con una mostra di 200 sue tele (tra cui quelle dedicate a Ninetto Davoli, Maria Callas e Laura Betti) e Bologna con i “Percorsi pasoliniani” perché Bologna è la città dove abitò per sette anni, quelli dell’adolescenza e del Liceo Galvani, gli anni «forse più belli», come ebbe a dire.

Ma una iniziativa editoriale ci ha particolarmente incuriosito, il libro di Roberto Galaverni, Poesie per Pasolini (Mondadori Editore). L’idea di questo libro infatti non è solo originale, ma permette di approfondire relazioni e attenzioni (e anche polemiche, famosa quella, in versi, e qui riportata, di Edoardo Sanguineti) verso lo scrittore friulano (curiosamente proprio con lo stesso curatore del libro andai molti anni addietro in “pellegrinaggio” sulla tomba del poeta a Casarza) da parte di una moltitudine di poeti e di uomini di cultura, da Arbasino a Zanzotto. Confesso che poco sapevo delle tante poesie a lui dedicate, quindi il libro mi ha aperto un inedito scenario, l’evidenza di una considerazione che sicuramente non ha eguali e che ci dà la misura della “statura” di PPP. Ma, soprattutto, come dice lo stesso curatore del libro, i versi a lui dedicati sono «una presa d’atto ch’è insieme un rendere atto, del suo tentativo di sovvertire le regole del gioco, d’impiegare la letteratura non come uno scudo ma come una spada, di aprire la porta per spingere la poesia al di là di se stessa, anche a costo di perderla… in nome di qualcosa di diverso, la si chiami pure vita, o realtà, o magari poesia della vita, poesia della realtà… Quello che i poeti hanno compreso e sentito più vicino è insomma ciò che Pasolini ha voluto “fare”». Si può allora parlare a proposito di questi scritti, di una riflessione sulla stessa poesia, sul linguaggio poetico, sul ruolo dell’intellettuale, sul modo in cui rapportarsi al corso della storia. Quante volte abbiamo sentito dire: «cosa avrebbe detto Pasolini?» (e rimettiamoci ai problemi dell’oggi: i flussi migratori, la globalizzazione imperante, la guerra attuale, etc.), e avvertiamo che quella voce ci avrebbe permesso di andare “oltre”, con quella preziosa cura della vita, con quell’intuito a percorrere le vie meno piane ma forse più appropriate. 

Galaverni, come si sa, critico del Corriere, ha fatto una ricerca certosina e veramente approfondita (anche per le notizie sui testi), scovando i versi dedicati a PPP da parte degli scrittori suoi contemporanei, e con lui in amichevole relazione (Morante, Moravia, Caproni, Penna, ecc.), fino a poeti di oggi (Conte, D’Elia, Magrelli, Marchesini, Febbraro e altri).

Sarebbe anche solo impossibile citarli tutti o anche solo riportare alcuni versi di un panorama così ampio, ma vogliamo proporre alcuni passaggi che ci appaiono oltremodo preziosi e vicini al poeta. Attilio Bertolucci: «Non so se le genziane viola sino al blu di Proserpina/ fioriscono a Casarsa/ ma certo di primo autunno sui monti/ che ferisce e ventila il Tagliamento bambino. Non un brindisi funebre/ un mazzo di genziane miste a felci/ vogliono le tue ossa – non le tue ceneri -/ che ancora inquietano e consolano/ noi in attesa/ di ricordarti di dimenticarti». Mario Luzi: «La perduta integrità del mondo/ diceva scritta nella sua rovina,/ ed era, credo, fieramente vero,/ narcisisticamente anche lo era,/ e sacrificalmente, spero». Giovanni Giudici: «Io qui rauca memoria del nodo/ Che per noi liberava la tua voce/ Con vecchie dita uno storto chiodo/ Svelgo dalla tua croce». Gianni D’Elia: «… e due lumache stavano allacciate/ vicino alla tomba, in amore, PIER/ PAOLO PASOLINI (1922-75), con tua madre// Susanna Colussi ved. Pasolini (1981-81);/ e i sette fusticelli dell’alloro/ alle rose, alle roselline, drizzavano// pagoda d’ombra, anche a noi, morti vivi…». Giorgio Caproni: «Quanto celeste, quanto/ bianco, quanto/ verdeazzurro vedo/ nel tuo nome uno e trino». Carlo Betocchi: «Io fui. Fui come il grano/…/ io fui come quel dì d’estate/ nell’aia, fui il sole, l’aria,/ e quella pula del grano battuto:/ io non fui che quell’ora». Andrea Zanzotto: «Sfida della lucciola/ giammai morta – per sempre/ obliato sorriso di Pasolini». Franco Fortini: «Ormai se ti dico buongiorno ho paura dell’eco,/ tu, disperato teatro, sontuosa rovina.// Eppure ti aveva lasciata, il mio verso, una spina./ Ma va’ senza ritorno, perfetto e cieco». Dario Bellezza: «Ora lo so: quel figlio a te non nato,/ paradosso, scherzo della natura, ero io;/ e tu dunque mi fosti più che fratello, iddio,/ ladro di cuori, maestro, mi fosti padre». E citare da ultimo la prima pietra del discorso, quella più sentita dallo stesso PPP, attraverso le parole di Elsa Morante: «Ma in verità in verità in verità/ quello per cui tu stesso ti credevi un diverso/ non era la tua vera diversità./ La tua vera diversità era la poesia». Sì, aggiungerei, perché la vera diversità era quella degli altri, con la loro malattia: fatta di violenza, di prepotenza e seppure «In terra giacque la sua carne sola» come dice Alfonso Gatto, molto molto rimane del suo passaggio.

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