Beppe Navello
Cronaca (fedele) di un'avventura

Lungo viaggio (verso la notte)

Storia di un viaggio in treno attraverso l'Italia cominciato in modo perfetto ma finito al confine tra il dramma e la farsa. «Salvato’, ‘o camionista sta tutto ‘mbriaco, nun ce stamm’ muovendo n’ata vota»...

Martedì 24 maggio 2022, Gabriella ed io siamo saliti sul treno Italo 9994 in partenza da Roma Termini alle 19,05 che prevedeva di arrivare a Torino Porta Susa alle 23,19: è un viaggio che facciamo spesso e l’orario consente di avere una giornata intera di lavoro a Roma, di arrivare non troppo tardi e di poter cominciare il mattino successivo le attività previste a Torino. Quel treno, in più, ha il vantaggio di fermarsi soltanto a Bologna e Milano Centrale, saltando le fermate di Firenze, di Reggio Emilia e di Milano Rogoredo che gli altri TAV prevedono su quella tratta. E infatti il viaggio è cominciato benissimo, puntuale, con cortesi offerte di prosecco e assaggio di pizza da parte del personale di bordo: se non fosse stato per la consueta avarizia di acqua dagli erogatori delle toilette (ma mi dico sempre, imprecando, che forse si tratta di una misura di risparmio ambientale…) e per le altrettanto consuete noie di connessione in rete (ma l’hotspot è una conquista epocale dell’umanità e mi introduce a Internet sempre e ovunque…), si sarebbe potuto definire un viaggio perfetto, durante il quale ho lavorato al computer intensamente, guardando l’imbrunire e poi la notte che scendeva sull’Italia Centrale che stavamo attraversando.

A Milano siamo arrivati puntualmente, poco prima delle 22.30, e con Gabriella abbiamo cominciato a pensare se telefonare di lì a poco per prenotare un taxi a Torino visto che avevamo due bagagli pesanti. Il treno è ripartito puntuale e io ho chiuso il computer per prepararmi agli ultimi quarantacinque minuti di viaggio chiacchierando e divagando.

Poco dopo il treno si è improvvisamente fermato. Perché? Queste fermate impreviste, per di più, nella notte, suscitano sempre inquietudine neanche troppo sottile perché non sono quasi mai accompagnate da spiegazioni. E infatti, poco dopo, l’altoparlante si è limitato a raccomandare di non aprire le porte, cosa che nessuno ha intenzione di fare nel cuor della notte in mezzo alla Pianura Padana; e che credo neanche si possa fare perché le porte dovrebbero essere bloccate. Dieci minuti, poi venti: passano e ripassano, trafelate, due giovani hostess nell’elegante divisa blu e granata della compagnia; cominciano ad essere aggredite di domande dai viaggiatori più nervosi; noi eravamo più indulgenti; Gabriella perché le trovava gentili, io perché le trovavo belle ma eravamo d’accordo nel giudicare eccessiva l’ecolalia di un nostro vicino di posto che le apostrofava con violenza. Nell’assordante silenzio dell’altoparlante, le due sventurate dapprima hanno parlato di traffico ferroviario, poi hanno confessato che c’era un guasto elettrico alla linea. E allora? Forse saremmo stati costretti a tornare a Milano Centrale e di lì, sempre forse, saremmo stati portati a Torino, probabilmente sulla vecchia linea non riservata all’alta velocità, quella che da giovane ho fatto molte volte quando andavo a teatro a Milano correndo poi per prendere quell’ultimo treno per Torino che partiva dopo mezzanotte fermandosi in varie stazioni piemontesi, garbatamente soprannominato “il treno delle puttane”.

Poco dopo, il nostro treno riparte all’indietro, sempre nel silenzio dell’altoparlante al quale tutti avremmo attribuito l’autorevolezza dell’ufficialità. Continuavano invece a passare e a ripassare le due sventurate e trafelate creature, con cellulari e radiotelefoni incollati alle orecchie. Finalmente, era ormai passata la mezzanotte e il nostro cuore ci diceva che avremmo già dovuto essere a casa da tre quarti d’ora, le luci di Milano Centrale ci hanno accolto abbaglianti: giù i bagagli dalle rastrelliere ma dove dobbiamo andare? I fortunati che incontravano una delle due sventurate spiegavano agli altri che ci saremmo radunati in testa al binario. Lì avremmo aspettato le hostess le quali ci avrebbero condotti a due pullman che la Compagnia aveva prenotato per portarci a Torino. Già, perché nel frattempo il progresso ha cancellato le basse velocità, la crisi del teatro ha fatto sì che più nessuno vada da Torino a vedere spettacoli a Milano e il treno delle puttane non esiste più, l’ultima corsa per Torino parte alle 23,28; la più antica professione del mondo sarà costretta a incrementare il traffico a quattro ruote sulle strade provinciali.

Ci accalchiamo in testa al binario cercando di non perdere di vista le hostess che vanno e vengono, salgono e scendono dalla locomotiva ormai ferma e inutile con il suo muso arrogante da squalo. Ci dicono, e la voce passa di orecchio in orecchio, che i pullman arriveranno ma non subito, ci vorrà “una ventina di minuti” perché li hanno trovati l’uno a Monza e l’altro a Trezzo sull’Adda… Nel frattempo è quasi l’una di notte e ormai anche i più inclini all’antagonismo tra noi sono pervasi da una sorta di rassegnazione che sconfina in sintomi depressivi di evidente gravità. Finalmente, un po’ dopo l’una, le due ragazze ci dicono di muoverci e ci guidano, attraverso le scale, non le mobili ma quelle monumentali realizzate da Ulisse Stacchini nel 1931: mi preoccupa non poco sollevare il mio pesante trolley per evitare di scheggiare il granito, rispettoso come sono sempre dei decreti di vincolo delle Soprintendenze ai Monumenti.

Arriviamo sul lato destro della stazione, verso l’hôtel Gallia: il cancello è chiuso con due porte aperte ai lati e veniamo invitati a uscire da lì per aspettare sul marciapiede esterno. L’operazione non è semplice con tutta quella gente costretta a infilarsi in due varchi stretti: non appena fuori, comincia a piovere ed è la prima pioggia a cadere sul Settentrione d’Italia dopo cinque mesi di siccità che ha fatto lungamente parlare i telegiornali di cambiamento climatico e di emergenza nazionale. Ritorniamo a rifugiarci sotto il provvidenziale portico di Stacchini, ripassando dalle due strettoie. Ma è l’una e venti di notte, quando arrivano i pullman? Le due ragazze sono stremate, sempre intente a parlare con misteriosi demiurghi, il telefonino incollato all’orecchio: interrogate, continuano a ripetere il mantra dei venti minuti, ci vuole tempo da Monza e da Trezzo. Ma ci staremo, non siamo troppi…? È stato calcolato tutto perfettamente, scopriamo di essere 130 viaggiatori e i pullman sono l’uno da novanta e l’altro da ottanta posti. La notizia ci riempie di un sentimento che ha lontane parentele con l’allegria, c’è un gruppo scapestrato di chiassosi atleti napoletani (basket o pallavolo), ci sono giovani che arrivano da Londra e da Parigi che scuotono la testa testimoniando di civiltà europee dove avventure come la nostra sono inconcepibili, Gabriella incontra una conoscente torinese che non vedevamo da anni. Fa freddo, c’è umidità, un po’ di vento, continua a piovigginare.

Sono quasi le due di notte quando arriva un pullman. Non so dire come lo abbiamo riconosciuto, probabilmente perché, al sussulto di una hostess, i centotrenta si sono precipitati per i varchi del cancello, attraversando la strada verso quello strumento di salvezza e di riscatto. Perdo di vista Gabriella rallentato dal mio pesante bagaglio e dalla borsa del computer ma tanto si vede arrivare anche l’altro pullman, se non saliremo sul primo troveremo rifugio nel secondo. Nel frattempo, davanti alle porte del primo pullman, il giovane con esperienze londinesi sta arringando la folla: mi raccomando, siate civili, lasciamo la precedenza alle persone anziane… la raccomandazione mi sospingerebbe istintivamente verso il secondo pullman ma Gabriella ha già un piede sul predellino, mi fa cenno e una moltitudine di giovani si apre per dare la precedenza alla mia vituperosa canizie: non c’è verso, bisogna salire sul pullman della terza età che oltretutto è già pieno, occorre arrampicarci con il bagaglio al primo piano e trascinarci fino ai penultimi posti. Nell’ultimo divanetto in fondo sono sistemati gli atleti napoletani, sempre più chiassosi e allegri; nel posto vicino a noi una bella ragazza bionda in short pants e in quello davanti a noi una ragazza altrettanto bella ma rossa di capelli, vestita come l’altra. Si parte verso le 2,15, se non altro in allegria, tra ridanciane battute in napoletano strettissimo, quasi incomprensibile, e più discreti messaggi delle ragazze digitati al telefono a destinatari lontani. Subito uno degli atleti si colloca nel posto accanto alla ragazza rossa, un altro si protende dal divanetto verso quell’altra ma appoggiandosi al bracciolo del mio posto per completare la macchinosa manovra. Signo’, vi disturbo? mi viene chiesto compitamente. Ma, insomma, siamo finalmente in viaggio e presto il sonno ci cattura, le teste napoletane crollano sulle spalle delle ragazze che se ne fanno una ragione. Il pullman ha qualche scossone improvviso ma la pace è scesa su di noi, finalmente.

Vengo svegliato improvvisamente da Gabriella. Ma possibile che ci fermiamo all’autogrill a quest’ora di notte? Guardo l’orologio, sono le 3,10. Dal finestrino vediamo viaggiatori insonnoliti sciamare a passo lento verso il bar, si formano capannelli di persone intorno all’hostess che ha sempre il cellulare attaccato all’orecchio, qualcuno già ritorna soddisfatto dal bar addentando golose pizze e panini farciti. Con Gabriella deploriamo a viva voce la debolezza di questa masnada di profughi affamati e assaliti da fisiche necessità, a meno di mezz’ora dall’agognato arrivo a Torino. L’atleta di fronte a noi che si era abbattuto sulle spalle della rossa, si alza e scende anche lui ad informarsi. Vediamo arrivare sulla piazzola un’auto della polizia con lampeggiatore blu e un’ambulanza. Ma che succede?

Ritorna l’atleta, con le mani piene di bottigliette di birra che offre gentilmente a tutti, in primis alla ragazza rossa. Poi ci informa con autorevolezza: l’autista stev’ a piezzi, mo’ passa e guai suoie, ce stanno facenno o’ palloncino. Si sente un lamento unanime di accorata disperazione che sale da tutte le figure immerse nell’oscurità del pullman; proveniente davanti, si erge un’altra voce napoletana, questa volta femminile, che parla a un marito lontano: Salvato’, ‘o camionista sta tutto ‘mbriaco, nun ce stamm’ muovendo n’ata vota. Risate. La ragazza rossa afferra il telefono e parla anche lei con un partner altrettanto lontano, scoppiando a piangere: ho sbagliato tutto nella vita, a forza di scappare mi trovo sempre nelle situazioni più assurde, non ne uscirò mai. Si inseguono le voci più disparate, la più allarmistica delle quali vuole che la hostess stia chiedendo ai viaggiatori se qualcuno ha la patente C per fargli proseguire il viaggio. Gabriella scambia messaggi con l’amica torinese che ha trovato posto al piano di sotto: pare che l’autista avesse più volte rischiato di addormentarsi e non volesse cedere alle implorazioni dell’hostess piangente che gli chiedeva di fermarsi; fino a quando una rivolta degli stessi sottostanti viaggiatori lo ha costretto.

Finalmente, alle 3,45, l’hostess si presenta al piano di sopra: l’autista sta male e non è in grado di proseguire il viaggio. Abbiamo chiamato l’autista dell’altro pullman che nel frattempo è arrivato a Torino (ah! se avessimo scelto il pullman dei giovani!), gli abbiamo chiesto di tornare indietro e di guidarci lui fino a destinazione. Ma quanto ci vorrà? Venti minuti.

Siamo arrivati a Torino Porta Susa alle 5,27 e abbiamo chiamato un taxi. Non arrivava più, scambio affannoso di telefonate, l’autista aveva capito che eravamo al bed and breakfast Porta Susa e non alla stazione. Quando siamo saliti sull’auto, gli abbiamo nervosamente raccontato un po’ della nostra nottata e siamo arrivati a casa prima di aver finito il racconto, alle 5,44. Mi ha chiesto scendendo le valigie: ma è tutto vero?

Ci ho pensato un attimo prima di rispondergli che no, c’era dell’altro da dire. Più o meno, tutto quel che è scritto qui.

P.S. – Per amore di verità, devo riportare anche il messaggio ricevuto da Italotreno il giorno dopo: «Siano sinceramente dispiaciuti per il disagio da te subito ieri a seguito della cancellazione di Italo 9994 da Milano a Torino a causa di un guasto all’infrastruttura ferroviaria. Ti informiamo che, come segno tangibile della nostra attenzione per te e per i Viaggiatori inclusi nel tuo codice biglietto, abbiamo disposto un indennizzo del 100% del tuo biglietto e un Voucher di attenzione pari al 100% i cui dettagli ti verranno comunicati prossimamente. Cordiali saluti».

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