Every beat of my heart
Lucy in the Sky
Un’anima preistorica che emana spiritualità. In ricordo di Yves Coppens, scomparso nei giorni scorsi, la poesia di Roberto Mussapi ispirata alla «piccola antenata uscita dal buio della terra» grazie agli scavi e alla successiva ricostruzione del grande paleoantropologo francese
Pubblicai Lucy in La stoffa dell’ombra e delle cose, Mondadori, Lo Specchio, 2007, e poi nel volume Le poesie, Ponte alle Grazie, 2014. Nei due volumi appariva la mia breve nota di autore: «Lucy, Pre-Australopitecus, nostra antenata, una ragazza, al Musée de l’Homme di Parigi. Così battezzata dal suo scopritore, Yves Coppens, che all’epoca della ricerca ascoltava Lucy in the sky with diamonds dei Beatles. Yves Coppens, un altro grande Yves, è scomparso, mercoledì 22 giugno, a 88 anni .
«Cerco l’anima preistorica… Era il 1969, per alcuni anni lavorammo in Etiopia. Nel 1970 vi fu un congresso panafricano di preistoria a Addis Abeba, insomma in quegli anni facemmo un lavoro molto intenso. Io e tre colleghi americani e inglesi partecipammo nel 1972 a una spedizione. Ricordo il caldo tremendo che aumentava la fatica. Nel 1974, dopo avere rinvenuto molti fossili, ne trovammo due di ominide, un osso temporale, un ginocchio, e a poco a poco gli altri reperti. La posizione del femore sinistro, il tipo di fossilizzazione e altri elementi mi convinsero che si trattava dei reperti di un unico individuo. Abbiamo potuto ricostruire gran parte dello scheletro, e questo ci permetteva di capire molte cose e di disegnare la silhouette dell’individuo, ipotizzarne la taglia, l’altezza, i capelli, i contorni, quindi il viso, il comportamento… da tutto questo fummo certi che si trattasse di un soggetto femminile. Avevo un mangianastri, come usava allora. Varie cassette, Mozart, Bach, ma anche i Beatles, che ascoltavo continuamente. In particolare in quei giorni canticchiavo sempre una canzone che mi piaceva e mi piace molto, Lucy in the sky with diamonds, una delle mie preferite dei Beatles. Quando la piccola antenata prese forma, la battezzai Lucy. Lucy, uscita dal buio della terra e dei millenni viene alla luce, come nella canzone, nel luminoso cielo africano. E ora, in una teca, è visitata dai suoi discendenti, al Musée de l’Homme di Parigi».
Io, Roberto Mussapi, al Musée de l’Homme, a Parigi, lei, nella teca, Lucy. Così, piangendo come si piange solo a Parigi nei peggiori e grazianti film francesi, io scrissi Lucy, sul taccuino, sentendola affratellata e in lei affratellata da sempre la nostra stirpe umana, per sempre.
Yves Coppens è uno dei grandi esponenti della paleoantropologia, la scienza che studia l’origine dell’uomo unendo la ricerca strettamente scientifica all’interpretazione antropologica. Dal 1983 è stato titolare della cattedra di Paleoantropologia e Preistoria al Collège de France. Una scienza francese, la sua, se la sua cattedra segue quella di Breuil, Leroi-Gourhan, i fondatori aventi alle spalle l’ombra di Teilhard de Chardin. Una disciplina che irradiando dal suo centro parigino vanta importanti studiosi in altri Paesi, come l’italiano Fiorenzo Facchini. Una scienza che indaga nel passato, muovendosi in dimensioni temporali quasi insostenibili al pensiero, e che quindi non solo richiede ma esige, secondo Coppens, intuizione e immaginazione, le due doti principali degli artisti. E, in questa ricerca, prosegue lo studioso, contano anche il caso e a volte un po’ di follia. Non si tratta solo di datare dei fossili umani o preumani, ma di stabilire le condizioni culturali, ambientali dei nostri antenati: disegnare la vita di età lontane e favolose, che sopravvivono a lacerti nell’inconscio collettivo.
L’opera di Coppens aveva orientato in un momento decisivo la mia visione del mondo, e quindi poetica, come era avvenuto, decenni prima, per Theilhard de Chardin nei confronti di Mario Luzi.
Ci scrivevamo e volli incontrarlo, un’intervista per Avvenire. Riporto un passaggio centrale, in cui io, di fronte a Coppens, azzardai: «Lei pensa, come il grande storico delle religioni, Julien Ries, che Homo Religiosus sia presente sulla scena del mondo prima di Homo sapiens?». «Sì, certo! La dimensione spirituale è talmente importante che se non esistesse, come paleontologo non comprenderei l’uomo stesso. Penso che quando appare l’umano è uomo nella sua totalità, con la dimensione spirituale, la coscienza, il senso estetico morale, tutto nello stesso tempo: da tre milioni di anni non c’è più discontinuità. L’aspetto etico si evolve, si raffina, ma esiste già subito dalla comparsa dell’uomo».
«Recentemente – proseguivo – parlando dell’uomo in relazione alla poesia, ho forzato la posizione sua e di Julien Ries, affermando, diciamo trascinato da un empito, che Homo Religiosus esiste già non solo nell’Homo Sapiens ma nell’Homo Habilis. Una esagerazione, in buona fede…». «E chi può dirlo? Lei, da poeta, si è posto esattamente la questione: i resti non possono testimoniare in una direzione o in un’altra. Non c’è certezza in merito. Quando si parla di australopitechi si affrontano individui che non sono ancora umani ma non più semplicemente animali, un mondo veramente misterioso».
Lucy
Non ti immaginavo così distesa e in pace,
con il quaranta per cento del tuo scheletro posato
come Nefertari nel sarcofago, o Biancaneve,
nell’urna di vetro: fuori pioveva,
e faceva freddo, anche qui a Parigi,
come nella fiaba dei sette Nani,
e tanti inverni, tanta pioggia ti hanno lavato.
Eppure dalla mandibola vedo brillare il sorriso,
e dal cinto pelvico verso il tuo cuore
(lì, tra le costole di fringuello, c’era)
ho sentito la vita fiorire e pulsare,
e nel piede mancante in quel vuoto sospeso
il tempo tra il tuo ultimo passo sul suolo
e me davanti all’urna, che piangevo,
dopo la sveglia nel freddo albare,
prima del mio lavoro alla miniera,
e sentivo la pioggia fuori e sognavo
che tu ti risvegliassi all’improvviso,
con un sorriso, come Biancaneve.
Roberto Mussapi