Nicola Fano
Viaggio nei vicoli di Salerno

L’orecchio di Pulcinella

Incontro con Giovanni Savastano, scultore di Pulcinella e di presepi: una antica tradizione campana che rischia l'estinzione. «Il mio sogno? Trovare un discepolo, un allievo nel quale immaginare il futuro di questo mestiere»

Delle statue di Pulcinella dovete ammirare (e valutare attentamente) le orecchie. Perché le orecchie e non il naso? Il naso di Pulcinella è proverbiale: è ciò che la maschera italiana impone nel mondo prima di qualunque altra cosa. Una protuberanza aquilina e sontuosa che sempre annuncia il suo ingresso in scena… Ma è attraverso l’orecchio che Pulcinella ha sentito nei secoli la realtà popolare per riprodurla in scena. E, se il naso è un tratto distintivo della maschera, l’orecchio appartiene all’interprete. E proprio gli interpreti di Pulcinella – da Silvio Fiorillo a Michelangelo Francanzani a Antonio Petito – hanno incarnato sulla scena il sentire popolare. Odorando il puzzo ma ben udendo le voci, le grida, gli imbrogli. È dall’orecchio, dunque, che si riconosce un buon Pulcinella.

Me ne sono persuaso, recentemente, nella bottega di Giovanni Savastano, scultore e ceramista nella centralissima via dei Mercanti, a Salerno. Non solo corni e piatti (siamo nel regno della secolare ceramica di Vietri), non solo presepi (e pure Savastano ne offre alla vita e all’acquisto di magnifici), ma Pulcinella che sono vere e proprie sculture. Sobrie, dolenti, con labbra consumate dalle trombette, con il naso proteso nel passato e le orecchie discrete. Che ascoltano e hanno ascoltato, appunto.

La bellezza di un Pulcinella di terracotta è nella postura, nell’articolazione di braccia e gambe che lasciano supporre il gesto o il salto che l’attore sta per fare: l’artista, nel bloccare il movimento, deve scolpire il tempo, il prima e il poi dell’azione. Come un attore è grande quando recita (con le pause) i pensieri del personaggio più delle sue parole, così una scultura è riuscita quando nell’immobilità lascia intendere il movimento. È una sospensione, una pausa teatrale, non un tempo fermo. Perciò Savastano nel mostrare le sue sculture con soddisfazione le muove, ne illustra le diverse possibili posture: «I Pulcinella nei secoli sono fatti alla stessa maniera. Mani e testa di terracotta, anima in ferro e corpo di paglia. Il ferro permette di cambiare le inclinazioni del busto, delle gambe e delle braccia. Ma, poi, la qualità delle opere dipende anche dalle stoffe usate». E dalla riuscita delle espressioni dei volti e delle mani, aggiungo io.

Nella sua preziosa bottega, l’artista mi mostra soddisfatto le terre crude che presto saranno oggetti lussuosi («Ho due forni lì dietro», spiega con soddisfazione), a partire da un buffo corno squadrato con sopra l’immancabile maschera: «Questa la sto facendo su ordinazione». Mentre il tavolo da lavoro è invaso di corni classici, teste, figurine del presepio: il loro grigio spento prima della cottura in forno dà la misura della trasformazione della materia. Lo chiedo più per sentirmelo dire che perché non abbia dubbi: «Sono tutti oggetti fatti a mano, sì. Anche i piatti, le tazzine e il resto. Non potremmo fare altrimenti: la concorrenza cinese è spietata, dobbiamo difenderci con la qualità». A Salerno, dico la verità, non ho visto di quei bazar pieni di cineserie di pessimo gusto che affollano ogni angolo turistico, nel nostro paese, ma il problema è sentito. E infatti Savastano conclude: «Il mio sogno? Trovare un discepolo (usa proprio questa parola, ndr), un allievo nel quale immaginare il futuro di questo mestiere». Un’arte che vuol continuare a testimoniare la continuità della storia. E ad ascoltarla tramite le orecchie di Pulcinella, appunto.

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