“Per eco interposta” di Marica Larocchi
Viaggio in poesia tra sillabe illecite
La produzione (1974-2021) dell’autrice di origine triestina-slovena ricomposta e selezionata in una raccolta che restituisce una visione d’insieme del suo percorso per molti aspetti nuova e “intima”. E si avverte la vicinanza all’amatissimo Rimbaud e al “nume tutelare” Zanzotto
Il grande poeta polacco Adam Zagajewski racconta in una bellissima pagina autobiografica di quando all’età di quattro mesi, nell’ottobre del 1945, abbandonò insieme alla famiglia la natia Leopoli che veniva incorporata nell’Unione Sovietica («tre attempati signori che si erano incontrati a Jalta» avevano deciso così) per andare a vivere nella malinconica Gliwice. «La vita dei miei genitori – continua Zagajewski – venne spezzata in due: prima e dopo la partenza. E anche la mia, sebbene i quattro mesi trascorsi in quella città meravigliosa non potessero reggere il confronto con l’esperienza dei lunghi anni di una vita adulta. Però, quale che sia il punto in cui venga spezzata e divisa, una vita finirà comunque spezzata e divisa in due». Queste parole, questo clima, tornano in mente a proposito del dato che non è solo biografico di Marica Larocchi, le cui origini triestine-slovene per parte di madre – mitteleuropee e plurilingui vanno incontro a una decisiva frattura per via di quegli stessi eventi bellici. L’esodo della famiglia fa sì che la futura poetessa nasca a Muggiò nella provincia allora di Milano nel medesimo novero di anni e che il ricordo, ma anche la serietà della frattura, rimangano vivi nella memoria. Si può spiegare anche partendo da qui la profonda disposizione al viaggio di cui il poeta Antonio Rossi parla in introduzione al libro che raccoglie le poesie di Marica Larocchi dal 1974 al 2021 (Per eco interposta, a cura di Antonio Rossi, Book Editore, Riva del Po, Ferrara, 242 pagine, 20 euro). E si dice di un viaggio inscritto nella cultura simbolista così legata alla formazione dell’autrice, moto che si intreccia alle urgenze esistenziali e dello stesso linguaggio, autentico Soggetto, come aveva ben visto Stefano Agosti, di questa poesia. Il volume, nel ricomporre e selezionare tale percorso, si affida alla cronologia dei testi (tra cui diversi inediti più, e anche meno, recenti) ma “affrancandoli” dai confini delle singole raccolte e così adombrando una visione d’insieme per molti aspetti nuova e “intima”, che si offre allo studio e all’approfondimento critico.
Con Storia d’Iris, riconsegnato alla data di composizione che è il 1974 (la pubblicazione, a titolo Iris, segue di tre anni) possiamo così seguire questo itinerario di poesia fin da un inizio prossimo al clima sperimentale di quel decennio. Iris, figura alata che porta i messaggi degli dèi, ne è dunque introduzione allegorica e i messaggi si caricano di invenzioni, sorprese lessicali, neologismi, figure retoriche, dissonanze, echi allitterativi nella disposizione del verso libero (col tempo al verso libero si affiancherà l’ordito del poème en prose). La pagina si dà con la forza di un bassorilievo, da cui aggettano sorprendenti parole composte (craniocenacolo, coagulisussulti, fioremaggio, iriseccidio), come figure favolose di un antico bestiario. In realtà, in omaggio all’amatissimo Rimbaud – Larocchi ne è studiosa e sperimentata traduttrice – l’intento è absolument moderne, a condurci «nel castello minaccioso dei suoni / nella fertile culla dei segni». Significativa è la vicinanza come si può allora comprendere a un poeta quale Andrea Zanzotto, che di Larocchi segue e incoraggia la vocazione poetica fin dalle prime prove negli anni sessanta, quanto è a testimoniare un cospicuo carteggio oggi donato dalla poetessa alla Biblioteca dell’Università Cattolica di Milano insieme al suo importante fondo archivistico.
Né va taciuta l’incidenza del discorso psicanalitico, in special modo lacaniano, tanto come sfondo critico quanto, cosa che ancora più importa, nel farsi di una scrittura che non rifugge dalle oscurità della psiche, ma prova ad addentrarvisi, ad estrarvi bagliori di senso, rifrangendone chiarori e allarme. Poesie dunque, come ha osservato Cesare Segre, che «sul piano dei significati chiedono un grande impegno, compensato quando se ne viene a capo». Ma anche, se è lecito aggiungere, disponibilità ad abbandonarsi a una musica di non comune energia e percussiva modernità che chiede ascolto e si fa spazio tra le comuni illusioni. «Poi verrà l’upupa insana / dei poeti: nel becco fiale / di visioni dense e tremuli / iati con rime repentine / sulle gobbe nude / di un soggiorno a valle. / Che sollievo speravi da tante / sillabe illecite già affogate / tra lacrime e menzogne?».
Il volume, che si segnala anche per la raffinatezza tipografica dell’editore poeta Massimo Scrignoli, è corredato da un’antologia critica che raccoglie le parole di autori come Yves Bonnefoy, Giorgio Orelli, Antonio Porta, Giancarlo Pontiggia, Cesare Greppi e i già citati Zanzotto, Segre e Agosti; il critico più consentaneo, quest’ultimo, di cui è riportato per intero il notevole saggio in postfazione a Fato(Società di poesia, 1987, poi riproposto in S. Agosti, Poesia italiana contemporanea, Bompiani, 1995).