Una città da ritrovare
Roma per Della Seta
Un convegno di studi ricorda Piero Della Seta, esperto di urbanistica e uomo delle istituzioni sempre vicino agli ultimi. Insieme ad altri studiosi e amministratori (Calzolari, Cederna, Insolera) contribuì a ridisegnare la Capitale. Per renderla moderna
Roma matrigna. Difficile non pensarlo quando si ragiona di alcuni civil servant, razza quasi sparita, che alla città hanno dedicato passione e conoscenza, e che non vengono ricordati nemmeno dall’intitolazione di una strada. Aldo Natoli, che ha dedicato a Roma venti indimenticabili anni, ponendo all’avanguardia il Pci che ha puntato il dito contro la speculazione edilizia, a Roma prima che nelle altre città. Italo Insolera, pur torinese, che a Roma ha dedicato i suoi anni maturi, e ha scritto Roma moderna, indispensabile alla comprensione della Roma d’oggi. O Vittoria Calzolari, limpida urbanista e assessore della giunta Petroselli. E poi c’è Antonio Cederna, a cui pure era stato dedicato un Belvedere affacciato sui Fori imperiali, oggi travolto dai cantieri della metropolitana, e chissà se sarà ripristinato.
Tra i suoi figli dimenticati anche Piero Della Seta, consigliere comunale e assessore, conosciuto per aver scritto, tra i tanti libri dedicati alla nostra città, anche I suoli di Roma, firmato anche dal figlio Roberto. A stemperare il rammarico della dimenticanza – non abbastanza, però – un convegno di studi organizzato giovedì 12 maggio dalla Fondazione Gramsci e ospitato dal Comune di Roma nella sala della Protomoteca. Un pomeriggio di studi, tanti ce ne vorrebbero ancora, per celebrare i cento anni della sua nascita e per percorrere le tappe del suo impegno politico. Con il non rituale saluto del sindaco Gualtieri.
Sì, un uomo del Pci. Uno di quelli che pensava alla politica come occasione per il riscatto dei poveri e della città, uno di quelli di cui si sente oggi la disperata mancanza. Il 6 febbraio 2001, ricorda Francesco Giasi, Fondazione Gramsci, “Piero Della Seta ci lasciava. Vent’anni sono passati e non c’è ancora stata nessuna occasione pubblica per ricordarlo. Eppure sono moltissimi, fin dagli anni ‘5’, gli atti degli archivi capitoli che riportano il suo passaggio come consigliere comunale prima, come assessore poi. Da universitario iscritto a ingegneria si è accostato negli anni ’40 al Pci e al gruppo romano della Resistenza coordinato da Aldo Natoli, insieme Giovanni Berlinguer e Lucio Lombardo Radice. Prima aveva frequentato il Visconti con Carlo Lizzanti e Carla Capponi”.
La scelta della militanza nel dopoguerra è stata, come per altri, necessaria. Come avveniva allora, ha accettato tutti gli incarichi che il partito gli affidava. Tra i quali il centro studi su Roma moderna, un gruppo che raccoglieva intellettuali di varie appartenenze (oltre ai comunisti, liberali, radicali, socialisti; tra loro Cafagna, Caracciolo, De Felice, Cattani) che cominciò a analizzare la questione della rendita e della speculazione. Niente affatto una questione accademica, ma strettamente correlata alla questione della casa, in quegli anni drammatica.
Lotta per la casa e lotta alla rendita fondiaria e alle speculazioni sono stati due corni di una stessa questione. Il fascismo aveva lasciato in eredità una città slabbrata, cinta d’assedio da borgate e borghetti oltre la cinta muraria, abitata per lo più da edili e sottoproletariato, poverissimi e niente affatto cittadini romani. La Democrazia cristiana favorì un’edificazione dissennata, destinata non ai senza casa ma ai ceti più abbienti, tollerando e sancendo lottizzazioni e affaristi. Senza la mobilitazione civile avviata dal Pci, i guasti di Roma, l’espansione a macchia d’olio, sarebbero stati davvero irrimediabili. Senza la critica puntuale agli scempi edilizi, non ci sarebbe stata la stagione delle giunte rosse, che almeno ha cancellato (per qualche decennio, almeno) baracche e borgate abusive.
Tra le sue battaglie, ha ricordato lo storico Michele Colucci del Cnr, quella “per il diritto alla residenza. Negata da una legge fascista del ’39 a ben 350.000 abitanti nel comune di Roma. Abitanti senza diritti. Una legge abrogata finalmente solo nel 1961, dopo una lunga battaglia”. Diritto alla casa, una casa salubre e decente, diritto alla cittadinanza. Diritto ai servizi, come l’asilo nido, che mettono insieme i bisogni di diverse figure sociali. Ma anche una forte, anticipatrice sensibilità ambientale, ricorda Colucci: “Tutela del verde e delle ville storie, certo, ma anche del verde di prossimità, quegli standard che soprattutto in periferia sono così preziosi. E energie rinnovabili, dal solare in poi. Insomma, un intellettuale che, partito da una forte empatia con le figure sociali che popolavano le borgate, è riuscito a migliorare la vita di molti romani, dando alla città occasioni di riscatto”.
Nelle giunte di centrosinistra Della Seta è stato assessore ai servizi tecnologici prima, alla casa e alle borgate poi. Assessore al tecnologico è denominazione desueta e tecnica. Ma dietro il lavoro di Della Seta si nascondeva un enorme trasferimento di valore dal comune ai quartieri più poveri. Un’azione di ridistribuzione.
Abbattere le baracche e dare una casa dignitosa ai suoi abitanti, rendere legali le borgate portandovi acqua luce fogne scuole e trasporti è stato uno sforzo immane, oggi inimmaginabile. Uno sforzo, dice la storica Grazia Pagnotta, “che è andato di pari passo con il recupero del centro storico, anch’esso abbandonato almeno nelle abitazioni pubbliche, ad esempio a San Paolo alla Regola. Nel 1979 l’abusivismo fu fermato. Eppure il Pci nel suo complesso non riesce a leggere la successiva modificazione sociale dell’abusivismo, non più azione di necessità ma di speculazione. Piero Della Seta si oppose con intransigenza a questa lettura. Così come proseguì a combattere, dopo gli anni ’70, per la salvaguardia delle aree naturali contro le seduzioni speculative. Un intellettuale di grande valore, a cui si devono le basi della cultura ambientalista, la capacità di studiare, il rigore della moralità e la capacità di autocritica”.
La casa, la mobilità, i diritti, i servizi: ne ha parlato Silvia Viviani, urbanista e assessore all’urbanistica di Livorno. “Sono le campagne d’Italia – ha detto – come stelle polari la pianificazione dal basso e la tutela dei patrimoni culturali. Basta consumo di suolo, dobbiamo esprimere appieno, è l’eredità di Della Seta, la gestione e la programmazione democratica del territorio. Contrastando gli stereotipi, studiando. E ricordando anche la lezione di Cederna: solo chi sa preservare l’antico può capire il presente e intravedere il futuro. Chi fa urbanistica non può essere indifferente”.
Chi come me ha conosciuto Piero Della Seta sa che era un uomo appassionato. Mite ma di enorme cultura. Ha saputo dire no non fermezza alla Comunità ebraica durante la guerra del ’67, pagandone i prezzi anche umani. Era capace di grande empatia, e insegnava con fiducia ai giovani. Una persona ricca, dal cuore grande, pieno di gentilezza.
“A Piero Della Seta e a Eduardo Salzano si deve la salvezza della pineta di Capocotta – ricorda Vezio De Lucia, che con lui ha collaborato a lungo – da assessore ha demolito quattromila baracche, ha varato una linea di metropolitana, ha avviato il Piano Acea, ha costruito 5.000 aule scolastiche, aperto 150 asili nido… E ha sostenuto il Progetto Fori. Di lui ricordo una foto: Piero e il sindaco Petroselli che soprintendono alla demolizione di via della Consolazione, una strada che portava le auto fin dentro l’area archeologica. Fu tra i pochi sostenitori della legge Sullo, un democristiano per bene che avrebbe voluto l’esproprio automatico di ogni area edificabile. Già, e dove sarebbero gli extraprofitti degli speculatori fondiari, allora? Per questo Sullo e la sua legge furono fatti scomparire dalla vita politica. Pochi coraggiosi, Piero tra loro, lo capirono e lo sostennero. Quella legge è stata una occasione mancata”.