Il senso di una crisi
Multilateralismo!
L'ideologia del dubbio, qui da noi, ha smesso di contestare la verità (troppo difficile): si esercita predicando il multilateralismo. E negando i valori. Leggete Mo Yan, Yu Hua, Anatolij Kuznecov e Antonio Scurati per capire di che cosa si parla
La guerra, qui da noi in salotto, ha fatto un salto significativo: la discussione è passata dalla verità ai valori. Buona parte dei dubbiosi hanno dovuto ammettere l’attendibilità delle informazioni raccolte in prima persona da chi è sul fronte ucraino e quindi – per costoro – il tema sul tavolo è diventato l’esigenza di un mondo multilaterale, non meramente americanizzato. Ed ecco che entrano in gioco i valori, appunto. Si predica il “multilateralismo” per svincolare il mondo dai loschi interessi del capitalismo occidentale. Forse pensando che Cina, Russia, India, Emirati Arabi ecc., punte di diamante di un nuovo Illuminismo, non abbiano sposato un capitalismo selvaggio del tutto privo di correttivi etici, ma propugnino i diritti dell’uomo. Insomma, il multilateralismo (ossia l’opposto della globalizzazione) è visto come baluardo estremo da opporre al cinico sfruttamento dell’uomo sull’uomo e all’esercizio quotidiano della «menzogna di Stato».
* * *
C’è uno scrittore cinese che molti conoscono e apprezzano ovunque nel mondo, si chiama Mo Yan. Il suo libro più celebre, Sorgo rosso, è, io credo, bellissimo: un’epopea che, al pari di Cent’anni di solitudine, attraversa generazioni diverse per tracciare il ritratto di una vasta identità geopolitica (uso volutamente un termine ambiguo e di moda, oggi). Partendo dalla guerra tra cinesi e giapponesi nella prima metà del secolo scorso, Mo Yan arriva alla vigilia della Rivoluzione culturale: giunge, cioè, lì dove la millenaria identità cinese divora se stessa e si arrotola come un serpente sull’albero della conoscenza negata. Chi abbia letto il romanzo non può dimenticare la scena in cui un personaggio appartenente al passato della cultura cinese, Zio Liù, finisce scuoiato dai giapponesi un po’ per gioco un po’ per rappresaglia. Violenza estrema, comunque. È a quel punto che la nuova generazione giura vendetta e rinuncia alla sua identità millenaria abbracciando il verbo del comunismo maoista. Ma Mo Yan lo lascia intuire bene: si tratta di una rivolta che porta con sé la negazione della storia.
Come dire? La Cina di oggi – è il tema ricorrente dei romanzi di Mo Yan, leggete almeno Canzoni dell’aglio e Grande seno, fianchi larghi – è un mondo intriso di violenza e sopraffazione. Costante violenza e ben tollerata sopraffazione. Qualcosa che la Rivoluzione Culturale maoista ha piegato ai propri interessi di parte adornandola di corruzione (Mo Yan, che in quegli anni si formò, parla spesso di questo grumo spaventoso). Nessuna propensione alla libertà né al libero arbitrio: chi insegue un proprio modello di vita viene calpestato non solo dai poteri, ma anche dalla gente comune. Dai contadini che diventano intellettuali e dagli intellettuali diventati contadini (questo fu la Rivoluzione culturale). Non pare si possa dire che sotto Deng o sotto Xi Jinping le cose siano cambiate poi tanto.
Inutile aggiungere che Mo Yan, malgrado tutto, è uno scrittore vezzeggiato dal potere di Pechino: il regime gli ha riservato le massime cariche letterarie dello Stato. E anche l’Accademia di Svezia gli ha conferito il Nobel per la letteratura nel 2012. I – pochi – dissidenti cinesi lo biasimano, spesso. Liu Xiaobo, con il garbo che lo contraddistingueva, non lo amava.
La Cina, pilastro del multilateralismo predicato nei nostri salotti, dopo aver tergiversato vagamente nelle scorse settimane, ieri l’altro ha spedito in Serbia alcuni aerei carichi di armi dirette in Russia.
* * *
Della sostanziale prossimità non solo geografica tra Cina e Russia ho già scritto qui e quindi non mi ripeterò. Ma, insomma, credo sia impossibile negare che i due Paesi – due imperi – siano sovente sulla stessa lunghezza d’onda. Che è un terreno geopolitico, culturale, quasi antropologico. Parecchi osservatori, data per digerita – finalmente – la morte del comunismo, sostengono che la Cina abbia preso nel mondo il ruolo della vecchia Urss. Ossia che la Cina sia la guida spirituale di quel pezzo di mondo che si contrappone ideologicamente alla potenza economica e militare degli Stati Uniti e alla vastità culturale dell’Europa. Ieri stesso, il ministro degli Esteri cinese ha esortato la Nato a «non destabilizzare l’Asia e il mondo» con affermazioni dettate da «linee basate solo sull’ideologia». Nel senso che la democrazia e la libertà (ciò che qui in Occidente difendiamo malamente, mescolando buone intenzioni a malefatte), lì in Cina sono considerate ideologie. Vedo i poveri Voltaire e D’Alambert rivoltarsi nelle tombe. E vedo i morti ucraini chiedere perché.
* * *
Multilateralismo, si dice oggi con passione antagonista. Come a sostenere il Milan contro l’Inter. C’è un libro che consiglio a tutti di leggere: si intitola Babij Jar e porta la firma di uno «scrittore sovietico di lingua russa» (la definizione è degli ignoti sapienti di Wikipedia) nato e vissuto a Kiev dal nome Anatolij Kuznecov. Uno scrittore ucraino, insomma. Babij Iar è una collina di Kiev affacciata su un burrone terribile in cima al quale i nazisti – quelli veri, non i presunti di oggi – che nel 1941 occuparono l’Ucraina mitragliarono diverse decine di migliaia di ebrei in pochi giorni buttandone i cadaveri, poi, nella fenditura sotto ad essa e ricoprendo l’orrendo misfatto con l’alacre lavoro di alcune escavatrici che buttavano sabbia sulla verità. Non c’era l’Anpi, all’epoca, sicché nessuno chiese commissioni indipendenti per valutare correttamente l’accaduto. Anche perché una sola persona uscì viva da quella spaventosa ecatombe: si chiamava Dina Mironova Proničeva. Una su settantamila: Anatolij Kuznecov impiegò anni per convincerla a raccontare la sua esperienza. Ma la storia di questa donna è piuttosto significativa: leggete Babij Jar e ve farete un’idea. C’è sempre tempo per chiedere una commissione indipendente.
Quel che spaventa, o che fa riflettere, oggi, 2022, è che una parte del racconto di Dina Mironova Proničeva, e di ciò che Anatolij Kuznecov descrive intorno a quegli eventi, è di terribile attualità cronachistica. Vicende che suonano identiche a quanto narrato oggi dai cronisti che hanno visitato le catacombe di Bucha, di Kramatorsk, di Makariv. Salvo che l’Anpi, il ministro degli esteri russo e quello cinese, i multilaterali, insomma, chiedono di sapere più precisamente che cos’è successo, stavolta. Di chi la responsabilità, ecc.
* * *
Il libro di Kuznecov, una testimonianza letteraria che per molti versi richiama il nitore stilistico di Se questo è un uomo di Primo Levi, non si ferma ai fatti del settembre del 1941. Parte dall’ascesa dello stalinismo (tre milioni di ucraini morti nella procurata carestia del 1933) e prosegue con la riconquista dell’Ucraina da parte dei sovietici prima della fine della Seconda guerra. Inoltre, offre una premessa tra il comico e il drammatico che racconta le peripezie che hanno portato alla pubblicazione del libro in Unione Sovietica ai tempi di Krusciov. Nel senso che Babij Jar di Anatolij Kuznecov fu effettivamente stampato in Unione Sovietica, ma previo una vasta quantità di tagli la cui ragione l’autore spiega nel dettaglio nell’introduzione all’edizione occidentale del suo libro. La pregevole versione in italiano di tre anni fa (Adelphi, 414 pagine, 22 Euro, traduzione di Emanuela Guercetti) segnala con grande rigore grafico tutti i tagli delle varie edizioni sovietiche. E la possibilità di seguire le tortuosità dei censori è un ulteriore motivo di interesse di questo libro.
Nel quale, va da sé, Kuznecov descrive con chiarezza ciò che ha accomunato nazisti e stalinisti: la propensione alla violenza gratuita, all’orrore, alla convinzione che ci fosse un pezzo di umanità da annientare senza un preciso motivo, ma solo per affermare il principio della propria superiorità.
Un consigliere di Putin, tale Sergey Karaganov, intervistato da Federico Fubini del Corriere della sera, alla domanda come si possa pensare che l’Ucraina sia un paese nazista pur avendo un presidente ebreo, risponde: «L’Ucraina è stata costruita dagli Stati Uniti e altri Paesi Nato come una punta di diamante, forse di aggressione o almeno di pressione, per avvicinare la macchina militare occidentale al cuore della Russia. Vediamo ora quanto si fossero preparati alla guerra. E il nazismo non riguarda solo l’essere contro gli ebrei. Nazismo è supremazia di una nazione sull’altra. Nazismo è umiliazione delle altre nazioni». Appunto. Spiegatelo all’ucraino Kuznecov.
* * *
Multilateralismo? E sia. Un altro grande scrittore cinese che i multilaterali nostrani dovrebbe leggere, Yu Hua, ha scritto un bel romanzo che si intitola Vivere e che racconta di un giovane possidente cinese il quale perde al gioco le sue ricchezze e si ritrova contadino misero, senza radici e incapace di far fronte alla corruzione e agli azzardi della vita fino, di fatto, a morirne. È una metafora, neanche troppo nascosta, della Rivoluzione Culturale quando le identità collettive furono violentate dall’ideologia. Violenza, ancora una volta. A Oriente. Ma di violenze ne sappiamo bene noi, che il fascismo l’abbiamo inventato dal nulla: dello spettacolo M che Massimo Popolizio ha tratto dal “romanzo” di Antonio Scurati colpiva proprio la semplicità, la scandalosa banalità con la quale venivano raccontate le violenze dei fasci tra il 1919 e il 1925. Storia che dovremmo conoscere perché tramandata dai nostri padri e dai nostri nonni. Eppure facciamo appello alle ideologie e al multilateralismo. Come se la violenza fosse un incidente di percorso, non un discrimine. Balbo, Farinacci e altri miserabili simili non avrebbero sfigurato in un libro di Mo Yan o di Anatolij Kuznecov.
* * *
Il di qua e di là, oggi, non è nelle ideologie ma nell’esercizio della violenza. La violenza è multilaterale, si annida dovunque nel mondo: il problema è schierarsi dalla parte opposta. La violenza è oltrepassare i confini di un paese sovrano con i carrarmati. Violenza è bombardare e distruggere infrastrutture edificate negli anni da popoli sovrani. Violenza è calpestare vite e sogni, qualunque siano le vite e i sogni, anche se lontanissimi dai nostri. Schierarsi dalla parte opposta significa stare da quella parte del mondo nella quale la libertà è un valore imprescindibile. Putin e Xi Jinping sono dalla parte della libertà? Biden è dalla parte della libertà? Qualcuno può contraddire, nei rispettivi paesi, Putin e Xi Jinping? Qualcuno può contraddire, nel suo paese, Biden? Pensateci e datevi una risposta. Qui da noi c’è un mentecatto che pubblicamente, nelle tv pagate da noi, sostiene che l’Italia sta agli Stati Uniti come la Bielorussia sta alla Russia: la differenza è tutta qui. Noi qui pratichiamo la globalizzazione dei diritti, compresi quelli degli idioti.