Lidia Lombardi
Itinerari per un giorno di festa

Nei misteri di Roma

Per presentare ai visitatori la nuova illuminazione e i nuovi restauri, riapre per tre giorni la Basilica Sotterranea di Porta Maggiore, risalente al I secolo dopo Cristo. Forse sede di culti misterici o monumento funerario, le pitture riemerse testimoniano la più raffinata arte dell’età Giulio-Claudia

“Succedeoggi” se ne occupò due anni fa, salutandone il disvelamento al pubblico dopo il restauro finanziato dalla società svizzera Evergète. Ma le programmate visite possibili tre domeniche al mese sono poi state bloccate dalla pandemia. Ora è arrivato il momento di scendere sottoterra per rivederla, segno incoraggiante che con il coronavirus si può convivere e che si riesce a riappropriarsi del Bel Paese. Dunque torniamo a salutare un monumento particolarissimo della Roma Antica, la Basilica Sotterranea di Porta Maggiore, che la Soprintendenza Speciale di Roma riapre per tre giorni, da oggi al 20 marzo, per presentare ai visitatori la nuova illuminazione e i nuovi restauri. È una ulteriore tappa nella restituzione di questo enigmatico edificio risalente al I secolo dopo Cristo: «Un luogo magico che torna al pubblico dopo un accurato lavoro, un risultato importante per tutte le persone che lo hanno visitato rimanendone colpite e per quanti ancora non lo conoscono», dice Daniela Porro, Soprintendente Speciale di Roma. «La Basilica è un luogo unico al mondo per la sua natura sotterranea, resa ancor più affascinante dal mistero sul suo uso. Da oltre un secolo archeologi e storici discutono se si tratti della sede di culti misterici o di un monumento funerario, ma le due funzioni potrebbero aver convissuto».

Il rapporto con la luce naturale che penetrava dal lucernario del vestibolo è alla base di un progetto di illuminazione che suggerisce una serie di chiaroscuri tra i bassorilievi a stucco e i volumi architettonici. La nuova illuminazione suggerisce anche il colore azzurro dell’abside, in origine dipinto con un pigmento molto costoso, la fritta egizia che venne asportata già in antico. Realizzato con luci a led di vari colori e gradazioni, l’impianto restituisce con consumi ridottissimi una luce tenue tipica degli ambienti sotterranei. «Negli ultimi due anni, segnati dalla pandemia, la Basilica sotterranea per le piccole dimensioni è dovuta rimanere chiusa», spiega Anna De Santis, direttore del monumento. «In questo periodo oltre all’illuminazione, abbiamo realizzato nuovi interventi, studiato approfonditamente il microclima interno e la presenza di microrganismi per una conservazione sempre migliore di questo edificio unico nel suo genere. Lo riapriamo per tre giorni, dando l’opportunità di visitarla prima che ripartano i lavori di restauro della volta della navata sinistra». Per la natura ipogea del monumento, sulla decorazione della Basilica si creano periodicamente efflorescenze, macchie di carbonatazione, patine di microrganismi. Il recente intervento ha interessato la parete d’ingresso e i pilastri della navata sinistra, nonché la parte inferiore del vestibolo, affrescata su uno sfondo di colore rosso morellone. Riemergono così le pitture di figure umane, animali e paesaggi della più raffinata arte dell’età Giulio-Claudia.

La Basilica ha una storia particolare. Venne infatti alla luce il 23 aprile 1917 in seguito a un cedimento della linea ferroviaria Roma-Cassino, che era in costruzione, a circa 9 metri sotto il livello dell’attuale via Prenestina, un percorso non molto diverso da quello antico. Soltanto nel 1951 però si decise di proteggere il prezioso rudere con una intercapedine in cemento armato e barre di acciaio. A questi presidi si aggiunsero cuscinetti ammortizzatori tutto intorno all’opus del manufatto al fine di attutire le vibrazioni causate dai treni, che presero così a viaggiare sopra la basilica. In tal modo è giunto a noi un esempio eccezionale se non unico dell’architettura della età imperiale: non avendo subito i pesanti rimaneggiamenti tipici della maggior parte delle costruzioni della Roma antica, si è conservata così come era stata progettata e realizzata, con una sontuosa decorazione. Altrettanto particolare è il complesso sistema di costruzione, rivelato dalle indagini della Soprintendenza Speciale di Roma. L’edificio fu realizzato già sotterraneo per fasi successive: scavo, riempimento con getti di calce e pozzolana con blocchetti di selce della struttura portante, mura e pilastri. Infine gli ambienti furono svuotati dalla terra.

Ma chi erano i suoi proprietari? Gli Statili, homini novi che ebbero accesso a un brillante cursus honorum a partire dal capostipite Tito Statilio Tauro, uomo di fiducia di Ottaviano Augusto che comandò tra l’altro la truppe di terra durante la battaglia di Azio, decisiva per la sconfitta di Marco Antonio. Ebbene, quella gens possedeva nella zona suburbana a ridosso della Prenestina – denominata Horti Tauriani – una grande tenuta. E qui volle edificare una basilica sotterranea finemente decorata con dipinti, mosaici pavimentali, bassorilievi in stucco resi ancora più candidi dall’impasto che inglobava la madreperla. Posare ora lo sguardo sugli ambienti emoziona anche perché si percepisce l’enigma che essi nascondono. Infatti, che uso ne fecero gli Statili? Due le ipotesi degli studiosi, che non si escludono l’un l’altra, ma si completano a vicenda: potrebbe essere la camera funeraria di immediati discendenti del capostipite, gli omonimi Tito Statilio Tauro, l’uno triumvir monetalis l’8 dopo Cristo, l’altro consul ordinarius tre anni dopo. Ma poi, regnante Claudio, fu probabilmente utilizzata per riti misterici od orfici dai figli del “consul”, Tito Statilio Tauro Corvino che organizzò nel 46 una congiura contro l’imperatore, e soprattutto, Tito Statilio Tauro che nel 53 si suicidò dopo essere stato denunciato per empietà e superstizione. Una scelta tragica effettuata durante il processo diffamatorio istigato da Agrippina, probabilmente interessata alla proprietà degli ormai troppo potenti Statili.

Rende suggestiva questa ultima interpretazione – sostenuta da Jerome Carcopino, professore di storia romana alla Sorbona – l’affresco dell’abside: raffigura il suicidio di Saffo, che si getta nel mar Egeo dalla rupe di Leucade. Un gesto che l’artista depurò di ogni connotazione drammatica. La morte simile a una rinascita, come per i seguaci dei riti misterici. Disperdersi nell’azzurro dell’Egeo (la fascia sottostante l’affresco era infatti blu, ma fu asportata per appropriarsi del prezioso pigmento) era tornare in un appagante mondo. Del resto le stesse dimensioni degli ambienti, tutte riconducibili al numero tre, rimandano alla religione neopitagorica. 

Anche l’elettronica della realtà aumentata contribuirà ad esaltare la raffinatezza delle decorazioni: proiettata in una saletta attigua la visione ravvicinata di stucchi, pitture e mosaici rivelerà anche la firma di colui che realizzò l’apparato di immagini: è in un’iscrizione conservata al Museo Nazionale Romano ma proviene dall’adiacente Colombario degli Statili, 720 loculi per gli schiavi liberati tra i quali si distingue il nome del “tector”, lo stuccatore: Secundus Tarianus, uno dei liberti diventati artigiani al servizio della grande proprietà sulla via Prenestina. Le sue invenzioni nella Basilica sotterranea accrescono di stupore quanti vorranno visitarla. (Prenotazione obbligatoria on line www.coopculture.it, ingresso con green pass e mascherina in piazzale Labicano 2, dalle 10 alle 17, durata visita 35 minuti).

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