Massimo Rocca
Il senso di una crisi

Guerra freddissima

Per Janan Ganesh, commentatore del “Financial Times”, quello tra Russia e Ucraina non è un conflitto tra democrazia e autocrazia ma una ripresa, in grande stile, della vecchia guerra fredda. Qualcosa che salta a pie' pari ogni convinzione sulla globalizzazione

Dopo un mese, arriva il commentatore più “atlantico” e “occidentalista” del Financial Times, Janan Ganesh, per mettere nero su ocra il pensiero che frulla in mente fin dall’ inizio. Non è una guerra tra la democrazia e l’autocrazia, non è nemmeno, non solo, la guerra della Russia all’ Ucraina. È la prima pagina calda della trappola di Tucidide. È l’inizio della lotta tra l’Impero in carica, quello americano, e gli inevitabili rivali la Cina e la Russia. E, come nella guerra fredda, bisognerà rimboccarsi le maniche e sporcarsi le mani. Che come la dottrina Truman, aiutare tutti i popoli liberi, fu solo il velo dietro cui gli Stati Uniti «dovettero essere pragmatici fino all’ immoralità», per i decenni a venire bisognerà «avere la stessa dicotomia tra mezzi e fini».

Se questa machiavellica lettura è, finalmente, aderente al sentore di napalm che circonda il dibattito politico culturale, allora cade il gioco, improvvisamente ozioso, delle cause e delle origini. L’allargamento della Nato vs. il risorgere paranoico di una Russia imperiale. Come per la guerra fredda, si tratta di dinamiche inesorabili come leggi fisiche. Succede perché non poteva che accadere. L’ ironia della storia ce la fa scoppiare in mano dove non avremmo mai pensato, sulle terre nere e non nello stretto di Formosa, con il vecchio nemico iperatomico e non con il nuovo armato di telefonini. Ma il dove in fondo non conta. Una città al confine dell’impero austriaco, o lo scontro tra Corcira ed Epidamno, o il Donbass.

E la presa di coscienza serve a demolire alla Orson Welles la stanza degli specchi in cui ogni nostra parola, ogni valutazione, era immagine rovesciata del vero. Quelli che l’Armata rossa ci ha liberato e quelli che Putin coi baffetti o baffoni. Ci fa capire, anche, perché a dettare il ritmo, prima delle anticipazioni e poi della risposta, sia lo Sleepy Joe della Casa Bianca. A farci cogliere la continuità profonda tra le sanzioni trumpiane alla Cina e quelle di oggi. Noi facciamo retorica, la Capitale scruta l’altro campo, ed agisce. Tocca prendere parte ma, come ci esorta Ganesh, senza infingimenti, da buoni alleati di Atene o di Sparta, sapendo che ogni città ha il suo partito a favore della prima ed uno a favore dell’altra. E sapendo che oggi stiamo ribattendo i chiodi nella bara della globalizzazione.

Pensavamo che mai la guerra si sarebbe svolta tra due che mangiavano lo stesso hamburger, scopriamo che ogni guerra locale può travolgere la struttura del mondo interlacciato che abbiamo costruito. Ricordatevi della Cop 21 quando farà troppo caldo, perché la Cop 26 la vedo molto, molto lontana.

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