Un incontro fra scrittori e politici
Tra pietre e memoria
La ricorrenza del terribile bombardamento dell'abbazia di Montecassino è una preziosa occasione per capire il senso della memoria e la necessità sempre più pressante di dare un senso alla storia
Sono passati 78 anni da quando, il 15 febbraio 1944, fu bombardata l’Abbazia di Montecassino: oggi, a Palazzo Badiale, in Piazza Corte a Cassino, dalle ore 15 alle ore 18, un gruppo di scrittori, professori dell’Università e politici, insieme all’Abate S.E. R.ma Donato Ogliari, si riunirà per riflettere su quell’evento che, ancora oggi, dopo tanti anni appare inspiegabile. Quello che segue è l’intervento che terrà Nicola Bottiglieri.
Fra due anni nel 2024 si celebreranno gli 80 anni della battaglia di Montecassino, e come succede con tutte le cose del mondo, la memoria di quell’evento va scomparendo. A scongiurare l’oblio interviene il rito, l’appuntamento con il calendario che fa emergere dal tempo profondo il ricordo di quanto è successo. Il rito si presenta quindi come un grido nella notte, il fuoco che illumina il passato lontano, la diga che ferma anche solo per un giorno lo scorrere del tempo. «I riti – dice Antoine de Saint-Exupéry nel romanzo La cittadella – sono nel tempo quello che la casa è nello spazio». Insomma i riti sono azioni simboliche che tramandano e rappresentano esperienze nelle quali si riconosce una comunità. E la comunità si rafforza proprio riunendosi in un determinato giorno, in questa casa del tempo che è il rito. Una casa che resta in piedi almeno per un giorno.
Il ricordo della distruzione dell’Abbazia, operata da 770 bombardieri che scaricarono 1250 tonnellate di bombe, a cui seguì l’azione di 740 cannoni, ci fa ricordare non solo la morte dei civili sotto il bombardamento ma anche la distruzione delle opere d’arte, delle pitture, delle sculture, la dispersione della biblioteca, di quella che fu la prima casa madre del monachesimo occidentale. Insomma la mattina del 15 febbraio 44 non furono uccise solo 150 civili ivi rifugiati ma fu uccisa la memoria contenuta in quell’edificio, l’idea di bellezza che gli uomini del passato avevano dipinto sui muri, l’idea di religione, di umanità e di futuro che essi avevano affidato alle pietre e quindi a noi. E se gran parte delle opere fu recuperata, non meno amara è la lezione che si ricava: la guerra non rispetta nulla, è capace di distruggere il presente ed il passato, l’arte ed il tempo in essa contenuto, ogni forma di civiltà che si incontra sulla sua strada.
Il tempo nel quale viviamo è un flusso caotico, frammentato, fatto di tanti piccoli episodi, la cui caratteristica è che è un tempo accelerato, tutto spinto in avanti. In questa corsa frenetica verso il domani vengono coinvolti i ricordi, la memoria, i riti, i simboli che ricordano il passato. L’anniversario del bombardamento vale quanto l’anniversario di Dante Alighieri o quello della nascita di Pasolini, o quello della marcia su Roma che avvenne proprio nell’ottobre del 1922. L’unica differenza per capire se la celebrazione della ricorrenza ha avuto successo è valutare quanta gente l’evento è riuscita a raccogliere, quanto spazio vi ha dedicato la stampa, la televisione, quanti soldi vi ha impegnato il Ministero. Va da sé che questo ritmo vorticoso di recupero del passato nel quale ogni fatto della storia è fine a se stesso, che viene consumato nel momento in cui si produce, a lungo andare svuota di senso ogni memoria, ogni celebrazione, ogni rito. Si perdono le differenze fra gli avvenimenti, la memoria diventa un pretesto per una forma di turismo culturale, che è un modo per comprare e vendere le tragedie della storia.
Io non so dare una risposta che valga per tutti alla domanda come si fa a ricordare il passato senza svuotarlo di senso, posso solo dire come risolvo io questo problema. La soluzione l’ho trovata una volta facendo una camminata a piedi fino alla sommità dell’Abbazia. Guardando le pietre. Quando si arriva all’altezza del cimitero di guerra polacco, dove riposano 1050 caduti, si vede un muraglione alla base del quale vi sono pietre scure antiche, sulle quali sono state messe durante la ricostruzione pietre più bianche, moderne. Il colore delle pietre antiche rispetto al biancore di quelle più moderne dànno la misura del tempo passato e della tragedia avvenuta. Ma non parlano solo le pietre delle mura antiche intorno all’Abbazia, parlano con voci diverse le pietre delle lapidi dei caduti di guerra, le pietre dell’obelisco di quota 593 («Per la nostra e la vostra libertà noi soldati polacchi demmo l’anima a Dio, i corpi alla terra d’Italia, alla Polonia i cuori»), le piccole pietre portate dalla Polonia dai familiari e depositate sulla tomba del generale Anders, le pietre calpestate dai soldati lungo la Cavendish road o le pietre che hanno lastricato altri sentieri usati nella guerra. Insomma le pietre non sono presenze silenziose ma raccontano storie e siccome le pietre durano più del corpo degli uomini, imparare ad ascoltarle significa riconoscere il passato e le storie che esse raccontano.
La ferita inferta all’Abbazia il 15 febbraio 1944 fa venire alla mente un mito della letteratura greco-romana, il mito del centauro Chirone. Racconta il mito greco che i selvaggi centauri ingaggiarono una furibonda battaglia contro il semidio Ercole, e, vistisi perduti, i centauri si rifugiarono nella grotta dove viveva Chirone, centauro sapiente e amico di Ercole. Nella confusione della lotta Chirone fu ferito da una freccia al ginocchio scagliata proprio dal suo amico Ercole. Finita la battaglia Ercole cercò di curare il suo amico con erbe raccolte a Collepardo (che si trova vicino Veroli, cioè Frosinone) senza esito. Poiché il centauro era immortale non poteva morire, ma continuava a soffrire per la ferita ricevuta. Allora per alleviare la sofferenza Chirone chiese a Giove di scambiare la sua immortalità con la natura umana di Prometeo. A questo punto Chirone morì ed il suo corpo fu messo nel cielo a formare la costellazione del Centauro, mentre Prometeo divenne immortale ed andò a rubare il fuoco agli dei. Cosa ci dice la storia di Chirone, lasciando da parte Prometeo ed il fuoco? Ci dice che per alleviare il dolore, l’uomo ferito deve essere assunto in cielo, vale a dire, la ferita, il dolore devono diventare arte, simbolo e riferimento.
Un esempio di una ferita derivata da bombardamento divenuta arte è il monumentale dipinto di Pablo Picasso, Guernica, che è conservato nel Museo Reina Sofia di Madrid. Alto 3,49 m e lungo 7,77, Pablo Picasso dipinse il quadro in solo due mesi dal 1° maggio del 1937 fino al giugno dello stesso anno, alcuni giorni dopo il bombardamento durato tre ore del 26 aprile della città di Guernica, avvenuto nel pomeriggio, quando era giorno di mercato. Nell’attacco, secondo il governo basco, morirono 1645 innocenti, 889 rimasero feriti. L’attacco fu opera della Legione Condor, corpo volontario composto da elementi dell’armata aerea tedesca Luftwaffe con il supporto della Aviazione Legionaria, unità volontaria e non ufficiale della Regia Aeronautica Italiana, in una dimostrazione di forza contro la popolazione civile. Fu quello l’inizio di una serie di bombardamenti sulle città che si sono prolungate durante tutta la guerra fino all’agosto del 1945, quando due città del Giappone Hiroshima e Nagasaki furono distrutte con la bomba atomica.
Guernica di Picasso è un esempio di come la ferita sia stata trasformata in arte, divenendo un messaggio contro la guerra. Trasformare la ferita in arte, fare un’arte che duri nel tempo, un arte che sia ricordo, riferimento e simbolo per le generazioni futuro. Questo è l’impegno civile degli scrittori, la testimonianza da tramandare alle nuove generazioni.