Roberta Passaghe
A proposito de «Il fruscio degli eucalipti»

Prose in formazione

La prova d'esordio di Maria Grazia Zedda è un romanzo di formazione che si sviluppa tra Cagliari e Londra. Una trama forte e convincente si scontra con l'andamento ritmico frammentato dello stile di scrittura che non facilita l'adesione del lettore

Il 25 gennaio è uscito nelle librerie Il fruscio degli eucalipti (Il Maestrale, 259 pagine, 18 euro), romanzo d’esordio di Maria Grazia Zedda (nella foto accanto). Di matrice autobiografica, racconta la storia di Martina, una ragazza quasi completamente sorda, dal carattere vivace e di spiccata autoironia («Sei solo stonata […]. – Forse è perché sono SOLO sorda, tesoro!») che si trasferisce a Londra in cerca di migliori opportunità. A lasciare Cagliari insieme a lei ci sarà Francesca, amica, cugina e complice preziosa con cui superare difficoltà e condividere gioie e successi.

Appare chiaro fin da subito che si tratta di un romanzo di formazione: la protagonista principale compie un percorso di crescita che la porta, nonostante o anche grazie agli ostacoli che le si presentano, a una maggiore sicurezza di sé e a importanti traguardi professionali. La parabola dell’evoluzione investe anche altri personaggi, che nel raggiungere nuovi livelli di maturità riescono a esprimere al meglio il loro potenziale, a riconoscere un errore o ad affrontare apertamente una situazione dolorosa. Non mancano, di contro, gli antagonisti irredimibili come Morris, titolare di Martina, che impersonifica un becero pietismo, o il sedicente tutor Jack, un misogino dagli atteggiamenti poco trasparenti che sfociano presto nel desiderio di controllo e nella molestia.  La narrazione di fondo resta quella di un mondo che, per chi è disposto a crescere e a rivedere le proprie posizioni, ammette sempre una seconda possibilità.

Non sfugge che oltre alla potenza dei legami familiari (vitali e soffocanti allo stesso tempo), al valore di un’amicizia sincera e profonda, e all’importanza del credere nelle proprie capacità, venga raccontata a metà tra la finzione letteraria e il richiamo alla realtà una società in cui ancora persistono abilismo, violenza e sessismo. 

Fin qui, la trama. Se si passa a considerare Il fruscio degli eucalipti da un punto di vista narratologico e stilistico, non si può tacere che alcune scelte suscitano in più punti delle forti perplessità. La struttura narrativa è retta in larga parte dall’uso dei dialoghi a cui però viene affidata una funzione didascalica fin troppo marcata. Di conseguenza, complici le incursioni della voce narrante che interviene per rettificare o fornire dettagli, le conversazioni perdono di efficacia e se ne avverte l’artificiosità. Si va dai frequenti botta e risposta che intendono, probabilmente, restituire le dinamiche della quotidianità ma finiscono per essere banali o superflui, a scambi di più ampio respiro che sfiorano il documentarismo. In entrambi i casi, il ritmo della prosa risulta spezzato e appesantito.

Per quanto riguarda la scrittura, invece, un accostamento maldestro di frasi fatte, parole inconsuete (una su tutte: «velivolo»), colloquialismi e termini marcatamente letterari, che non sembra motivato in alcun modo da precisi intenti espressivi, la rende ben poco fluida. Un esempio lo si trova nelle primissime pagine: «Aveva soggezione del carattere deciso di Nicoletta, del coraggio che mostrava nell’affrontare i suoi genitori, del preoccuparsi per lei anche se avrebbe potuto tranquillamente fregarsene. – Sta squillando. Dai! Rispondi! – Nicoletta tamburellava nervosamente con le dita sul tavolo. Aveva un’espressione plumbea sul viso, il mento sporgente, le labbra increspate. – Ciao! Sono io, Nicoletta. Cos’è successo? Tua figlia è qui in uno stato tremendo. Che cosa le ha fatto tuo marito? Cosa significa che non è successo niente? Ah, vedo che neghi tutto! – Le narici le si dilatarono per la rabbia. – Senti, ho gli occhi per vedere! Il collo di tua figlia… – Tacque, fissando il telefono incredula. Poi si girò verso Francesca. – Mi ha sbattuto il telefono in faccia. Mise giù la cornetta con violenza e si avviò verso la cucina con passo pesante, stringendosi il petto e scuotendo i capelli ricci biondo grano. Parole di rabbia le uscivano dalla bocca».

Il romanzo ha una trama forte e ben delineata, non del tutto scontata o prevedibile ma una totale immersione è resa difficile dall’andamento ritmico frammentato che sottopone la tensione narrativa (e chi legge) a un grande sforzo di resistenza. I presupposti restano buoni, e come esordio non si esita a definirlo dignitoso, ma in ottica futura c’è da lavorare per acquisire una maggiore padronanza stilistico-espressiva.

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