“Ritratto di un assassino”
Tragedia d’inverno
Proposto per la prima volta in Italia un testo di Anne Meredith, autrice inglese di “crime fiction”. Una storia di “illusioni perdute”, ben costruita nel dipanarsi della trama, dal punto di vista di ciascun personaggio e della sua capacità di comprensione
È stato riproposto da Vallardi un testo sconosciuto in Italia, scritto nella prima metà degli anni Trenta da Anne Meredith, un importante nome della “crime fiction”: Ritratto di un assassino (“I classici del giallo della British Library”, traduzione di Gaia Sartori, 253 pagine, 16,90 euro), libro sicuramente accattivante per la profonda penetrazione psicologica dei vari personaggi, in primis l’assassino che viene rivelato fin dalle prime pagine. In genere sapere subito chi è il colpevole in un giallo demotiva dalla lettura. In questo caso la rende ancora più interessante, avvincente per l’intreccio complesso, l’inevitabilità delle azioni dei vari personaggi, tutti fratelli e sorelle su cui grandeggia un padre dalla facciata bonaria, ma che cela un animo meschino e cinico.
Lo scenario è una dimora antica che si innalza maestosa nella campagna inglese, una casa vecchia di parecchi anni che domina una vasta estensione di alberi. Dalle sue finestre non si vede alcun tetto, alcuna costruzione; qualcosa di pesante l’avvolge come la neve che scende copiosa in quella strana vigilia di Natale. Nessuno degli ospiti della casa lo immagina, ma sta per accadere un delitto. In questo romanzo si avverte con chiarezza quanto la felicità e la beatitudine non siano prerogative della condizione umana. Tutti sono soggetti alla sfera del fato e alle sue leggi, ossia alla infelicità e alla colpa. Ed è nella tragedia, in quella classica, che il destino si compie in termini di scioglimento fatale, tragico. Così riflettere l’assassino: «Non capita a tutti di uccidere il proprio padre in un accesso di rabbia; così molti faranno fatica a credere che io non riuscissi a capire, non riuscissi ad abituarmi all’idea di quello che era successo…». «Era intollerabile l’idea che mio padre, il quale con ammirevole tenacia aveva stroncato e deluso ogni speranza avessi coltivato, riuscisse a perseverare nell’intento anche dopo la morte, con il mio contributo…».
Una storia privata nella quale la vita dei personaggi che la popolano appare fin dall’inizio condannata, destinata a un esito tragico, nel caso migliore alla pena della mediocrità più grigia e priva di speranza. La struttura del libro comporta una dimensione particolare: il caso è visto attraverso la diversità dei personaggi nella misura in cui, secondo le loro capacità, sono in grado di capire; quindi non perde nulla del suo mistero e delle sue complicazioni. Soltanto la scrittrice possiede la prospettiva ampia della vicenda e ne evidenzia via via gli elementi essenziali e indispensabili all’intera narrazione. Così la tragedia si mantiene naturalmente scenografica, imbalsamata com’è in una rigida atmosfera invernale. Nessun cambiamento è possibile, tutte le illusioni dell’assassino crollano miseramente. Nella sua disperazione l’ordine anziché infrangersi è lentamente ristabilito. Tutti personaggi sembrano diventare piano piano esseri muti, manca loro il sublime che solo l’eroe che sfida gli dei possiede.