Umberto Brunetti
Il nuovo numero de «La freccia e il cerchio»

Senza il nemico

La rivista curata da Edoardo Sant’Elia si concentra sul tema binario Nemico/Scelta. Dai versi di Alberto Fraccacreta agli interventi critici di Patricia Peterle, Salvatore Ritrovato, Massimo Capaccioli, Bruno Moroncini e altri, una riflessione a più voci sulla fratellanza

La freccia e il cerchio è il titolo che Edoardo Sant’Elia ha scelto, traendolo da una poesia di Marina Cvetáeva, per la rivista edita dal 2010 al 2021 dalla casa editrice La scuola di Pitagora, con valore ovviamente programmatico: se, come recita il distico della poetessa russa, «Il pensiero è una freccia. / Il sentimento – un cerchio», sotto questo titolo si desidera abbracciare la vastità dell’esperienza umana, ospitando un dibattito tra i diversi saperi con l’intento di costituire una piccola enciclopedia delle idee contemporanee tra filosofia, letteratura e scienza. L’ambizioso progetto, che ora volge al termine, prevedeva di approntare otto numeri, ciascuno dei quali contenenti dodici articoli, dipanati attorno a una duplice tematica. L’ottavo e conclusivo numero, uscito per l’appunto nel 2021, ruota attorno al binomio “Nemico/Scelta”.

All’interno si susseguono ­– come il progetto stesso della rivista dichiara e prescrive ­– contributi molto vari: si passa da un coinvolgente alterco tra filosofia e scienza a cura di Massimo Capaccioli e Bruno Moroncini, all’ambito letterario indagato da Rosanna Valenti e Patricia Peterle, la prima con focus sulla cultura classica, la seconda sulla poesia italiana contemporanea. Salvatore Ritrovato si muove tra letteratura e cinema, ambito quest’ultimo affrontato anche da Giulio Brevetti e Massimo Bocchiola. Rosanna Cioffi declina il tema invece in ambito artistico, concentrandosi sul linguaggio della scultura, mentre Ulderico Pomarici approfondisce la riflessione sul piano giuridico con il contributo più denso del volume. Dopo una sfilata di soldatini di carta a cura dell’illustratore e fumettista Marco Bianchini, si apre la sezione conclusiva della rivista, dedicata alla poesia con le liriche di tre autori: Alberto Fraccacreta, Marco Sonzogni e Richard Harrison.

È proprio la sezione poetica, che la ricca mole di pagine precedenti potrebbe mettere in ombra, quella da cui vorrei partire, sia perché è il campo in cui i miei studi mi permettono di avventurarmi meno alla cieca, sia perché ho apprezzato molto il valore che queste ventisei pagine in versi assumono all’interno dell’ampio numero della rivista, che ne conta in tutto circa quattrocento.

Nel poemetto Canzoni del cacciatore di scalpi, Fraccacreta, «Impegnato a leggere i trionfi della violenza / a occidente del mappamondo», ci immerge nella vegetazione arida del New Mexico per approdare, tramite la logica delle «parole antagoniste», dai «nemici invisibili» incarnati simbolicamente nel cacciatore di scalpi all’immagine sacra della Vergine di Guadalupe, rievocando il miracolo della tilma. La lirica intreccia una sofisticata catena di immagini, dove le numerose indagini fotografiche, svolte sul manto ritraente la Vergine apparsa sulla collina del Tepeyac a Juan Diego nel 1531, sono rievocate tramite la figura retorica dell’iterazione (III, vv. 5-6: «tutto è slavato musicalmente dalla pioggia, / la grandiosa pioggia della dimenticanza»; IV, vv. 4-6: «e la fiamma rimane, alta /sempre più estroflessa, la fiamma inconcussa / e violacea della donna sempre più pura»; V, vv. 3-4: «per osservare nell’occhio / la scena vista dall’occhio quattrocento anni prima»).Nemica, o antagonista, è anche la natura, «impassibile», descritta con scrupolose enumerazioni: «tra rami rinsecchiti di mesquite, faglie di selce e quarzite e piste / punteggiate di opunzie» (I, vv. 3-4), «zinnia, genziana, ipomea, / ginepro, agrifoglio, carota di nuovo» (VI, vv. 5-6). La natura viene anche personificata nell’immagine del dolore causato dall’«efferatezza / inspiegabile» dell’uomo: «puntuta come l’orchidea selvatica / quando apre le labbra lanceolate e sembra stia urlando / l’aiuto che non possiamo dare». Nel finale Fraccacreta consegna al lettore una visione salvifica della poesia, rappresentata come un fiore campanulato, arma di protezione «contro l’orrore / della scalpatura di noi stessi». La poesia, che ci riconduce al «senso splendente del nome», è dunque per l’autore riparo dalla «grandiosa pioggia della dimenticanza», che in questa lirica può essere tradotta anche come impassibilità di fronte alla violenza del mondo cui siamo, nostro malgrado, assuefatti.

Canzoni del cacciatore di scalpi ci invita a riflettere in chiave etica sul tema proposto in questo ottavo numero de «La freccia e il cerchio» e in ciò il componimento collima pienamente con la prospettiva condivisa nei contributi saggistici di Nemico/Scelta.È, infatti, un pregio dell’intero volume quello di avere lo sguardo ben rivolto al presente, di cui si denunciano i drammi e le criticità, declinando la riflessione proposta dal titolo oltre i confini ristretti del proprio ambito d’indagine. Salvatore Ritrovato, ad esempio, nel suo articolo Da Antigone a Sophie ad Agnese: i giorni della scelta collega la scelta etica di Antigone a quella cui siamo chiamati noi tutti cittadini dell’Europa mediterranea in questi anni difficili: «Mutatis mutandis, per venire ai nostri giorni, di fronte alla scelta se abbandonare alla deriva degli esseri umani che, in precarie condizioni di salute, navigano su un barcone sfondato, o raccoglierli e portarli in salvo, ci potremo dividere a seconda che consideriamo quegli uomini come nostri simili in fuga o, in quanto diversi (stranieri, sconosciuti, accattoni), come potenziali delinquenti» (pp. 177 s.).

La stessa attenzione è riscontrabile nell’articolo di Patricia Peterle, che include nella sua disamina un componimento del 2006 di Valerio Magrelli dal titolo Su un’aria del “Turco in Italia” (da Disturbi del sistema binario), incentrato proprio sul «fenomeno dell’immigrazione così urgente in Europa e, in particolare, in Italia» (p. 136). In esso Magrelli descrive dapprima in tre versi «brucianti» i corpi degli affogati come una collana intrecciata attorno all’Italia; poi l’immagine dei corpi è associata a quella di briciole fatte cadere «per ritrovare la strada». La seconda quartina del breve componimento recita infine: «Ma i pesci le hanno mangiate e i clandestini, / persi nel mare senza più ritorno, / vagano come tanti Pollicini / seminati nell’acqua torno torno». L’articolo di Peterle si chiude su una poesia, affine per tematica a quella magrelliana, di Antonella Anedda, inserita nella sua raccolta del 2018 Historiae e che cita in epigrafe proprio una frase dell’omonimo libro dello storico latino Tacito: Plenum exiliis mare, infetti caedibus scopuli. Le parole sono «riportate anacronisticamente per parlare al nostro contemporaneo», come si evince sin dai primi tre versi: «Oggi penso ai due dei tanti morti affogati / a pochi metri da queste coste soleggiate / trovati sotto lo scafo, stretti, abbracciati» (la poesia prosegue poi con un altro verso affilato: «Mi chiedo se sulle ossa crescerà il corallo»).

Il significato del binomio “Nemico/Scelta” apparirà ormai chiaro a chi legge queste righe. All’origine c’è una riflessione linguistica, molto elegantemente chiarita in quello che, non a caso, è posto come primo contributo del numero, ovvero Oltre il nemico: compiere una scelta. Moroncini e Capaccioli riflettono sulle coppie lessicali xenos/filos del greco e hostis/hospes del latino. Limitandoci al latino, è interessante osservare come i due termini che significano “nemico” e “ospite” derivino l’uno dall’altro. Come spiega Moroncini, infatti, «poiché l’ospite è una figura doppia – ospite è sia colui che accoglie sia colui che viene accolto – quest’ultimo, in origine, poteva anche avere il carattere dell’estraneo, dello straniero, forse del nemico», ma ciò non impedisce che «chi originariamente si presenta o è di fatto il nemico» possa «essere alla lettera ‘addomesticato’, ricondotto alla sfera dell’amico». Da questo presupposto linguistico la riflessione si amplia al concetto di libertà e al rapporto ambiguo dell’uomo con la natura per poi confluire sulla scelta etica, certamente difficile perché comporta una messa in discussione dei nostri valori, ma non impossibile, di «trasformare i nemici in amici» («e come applicazione immediata penso al grande fenomeno dell’immigrazione», specifica Moroncini).

Anche la lingua, potremmo concludere, deve abbracciare una dimensione etica, pena la deriva della menzogna, della cultura dell’odio, dei triti slogan dei politici, facili trappole per i delusi e gli insoddisfatti. Ascoltiamo allora, ancora una volta, il monito di un poeta, Giorgio Caproni, che della parola aveva denunciato la minaccia peggiore (la poesia, tratta da Res Amissa, è citata nell’articolo di Patricia Peterle a p. 90):
La parola.
           La tagliola.
Occhio!
                   Sono una cosa sola.

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