Alla Casa delle letterature di Roma
Il colore delle parole
Qual è lo spirituale della poesia? E quale quello della prosa? Albertina Bollati prova a rispondere con le sue opere che si confrontano con le parole di alcuni grandi: da Pavese a Kafka, da Calvino a Magris a Rigoni Stern
Alla Casa delle Letterature a Roma c’è una mostra di piccole opere pittoriche, discreta e appartata ma molto curiosa, Per incantamento di Albertina Bollati: si tratta di 20 tavole ad acquerello, acrilico e china esposte in quel chiostro biblioteca che ospita studenti silenziosi, impegnati nella lettura e nella scrittura. Sopra le loro teste, alle pareti bianche interrotte da finestre e scaffalature, sono appese le tavole divise in due sezioni, Sconfinamenti e Iceberg. Nella prima “rimandi continui di colore, impreviste contiguità appena separate da sottili linee dorate, per raccontare l’incredibile varietà di visioni e lo straripante incastro di accostamenti e avvicendamenti cromatici tra cieli e mari, prati e rocce, fiori, nuvole, fiumi che incessantemente ci si offrono alla vista”; nella seconda “astri, sagome, confini immersi in paesaggi immobili e surreali di bianchi e di azzurri che volevo richiamassero le atmosfere sospese dei ghiacci, così uniche, così pervase di solitudine e fierezza, di bellezza e silenzi” , ci racconta l’artista stessa.
E, davvero, guardare quelle tavole è un lento e progressivo inabissarsi in un magma cromatico dove i confini delle cose non ci sono ma diventano soltanto uno scolorare progressivo dentro altre sfumature, altre tonalità: nessuno si aspetti di riconoscere parvenze umane o elementi naturali, piante rocce montagne prati; non c’è materia o meglio la materia è data dalla luce che hanno le infinite varietà dei colori e talvolta l’addensarsi di un’intensità di sfumatura cromatica maggiore o minore suggerisce una presenza, un fantasma, un’ombra di qualcosa. Tanto che l’improvviso apparire di una luna da favola, inargentata, ci appare come un colpo di scena, una sorpresa dell’infanzia. Ma siamo sempre in un accecante “incantamento”, appunto, e il termine preso a prestito da uno dei più sublimi componimenti della nostra storia letteraria mi sembra un suggello poetico perfetto: il sonetto dantesco sull’amicizia che celebra il piacere di quel sentimento non possessivo come l’amore ma capace di estasi altrettanto assolute.
Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
Fossimo presi per incantamento
E messi in un vasel ch’ad ogni vento
Per mare andasse al voler vostro e mio…
E qui arriviamo all’altra curiosa provocazione di questa mostra: il mettersi in gioco con le parole, con la letteratura. Il nome di famiglia di Albertina suggerisce di suo, a qualunque italiano non analfabeta, una tradizione di amore per i libri e per l’assillo di rivestirli di adeguate vesti grafiche, di nitore editoriale che sistemi in un’immagine spaziale coerente le parole dette dai libri stessi. Per questo ho sempre immaginato che il percorso artistico di Albertina illustratrice di favole, poesie, accompagnatrice visiva di amici che lavorano con le parole, sia la declinazione autonoma e personalissima di un destino ereditato.
Questa volta, la direzione di ricerca si è invertita e l’esito è fatalmente raggiunto come controprova: i committenti della mostra, decidendo di accogliere quelle opere nella Casa delle Letterature, le hanno chiesto di legarle a suggestioni letterarie e Albertina Bollati, muovendo dalle sue immagini, le ha pazientemente e felicemente cercate, in Pavese, in Kafka, in Calvino, in Magris, in Rigoni Stern, in tanti altri: riuscendo a rivelare con efficacia le possibilità infinite di quel gioco palingenetico che è la contaminazione delle forme. Dove è dolce naufragare: tanto per aggiungere un’altra suggestione letteraria capace di trasmettere fisicamente, a chi ancora non ha visto la mostra, quella sensazione ipnotica di perdersi nel colore e nella luce accompagnati dalle parole.