Lidia Lombardi
Itinerari per un giorno di festa

Tra passato e futuro

Il fascino della storia e della possente architettura romana. Riapre al pubblico l’Arco di Giano, costruito nel 337 per ricordare l’imperatore Costantino fattosi cristiano, e intitolato al dio romano dagli studiosi rinascimentali per i quattro ingressi che evocano la specularità delle facce

La cancellata si apre ogni sabato mattina, dalle 10 alle 14 (in primavera-estate dalle 16 alle 20). Così ridiventa visitabile, gratuitamente, l’Arco di Giano, monumento dimenticato, soprattutto a causa dell’attentato che ferì, nel 1993, l’attigua chiesa di San Giorgio in Velabro. Sicché, la via nella quale campeggiano entrambi, sbarrata al pubblico, isolò uno dei punti più suggestivi di Roma, in quel Foro Boario dove la leggenda vuole si fosse arenata la cesta con cui gli infanti gemelli Romolo e Remo “navigarono” il Tevere.
La riapertura si deve alla collaborazione Stato-privati, in questo caso della Soprintedenza Speciale di Roma e della “Fondazione Alda Fendi – Esperimenti”. Da decenni, spiega la mecenate nata nel mondo della moda, ha esplorato i Fori imperiali lanciando gli innovativi spettacoli ideati da Raffaele Curi. Poi ha acquisito il seicentesco edificio che costeggia l’Arco di Giano, e dopo il restauro firmato da Jean Nouvel, lo ha chiamato Palazzo Rhinoceros (omaggio all’energia primitiva e istintuale degli animali) con una galleria d’arte al piano terra, venticinque appartamenti in affitto (per artisti, curatori e galleristi) e una terrazza-ristorante. 

Non poteva mancare l’attenzione all’Arco di Giano e l’impegno per la sua fruizione. Ne ha davvero bisogno, questo che è l’unico arco onorario a pianta quadrangolare nel centro della città ma che è snobbato dai turisti non solo per la cancellata che lo isola, ma per la “concorrenza” che gli fa la vicina chiesa di Santa Maria in Cosmedin, con quel mascherone nell’atrio, la cosiddetta Bocca della Verità, per la quale stranieri e non sono disposti a fare la fila in attesa di infilarci dentro una mano e sapere, in seguito ad eventuale morso, se sono bugiardi.
Invece il resto della piazza dovrebbe avere un potere attrattivo infinitamente maggiore. Il Foro Boario, nella vallata tra Palatino e Aventino, è circondato dal rotondo Tempio di Ercole (una volta detto di Vesta) e dal rettangolare Tempio di Portuno. Ecco poi, al di là di via Petroselli, gli archi degli Argentari e appunto di Giano. Quella vallata paludosa ottocento anni prima della nascita di Cristo fu l’approdo, si diceva, dei mitici bambini partoriti da Rea Silvia e allattati dalla lupa. Divenne – saldando mito e storia – il primo mercato della neonata Urbs. Perché qui era possibile l’unico guado del Tevere e dunque il passaggio dei commerci da Nord a Sud. In questo luogo, più tardi, si fermavano le imbarcazioni che da Ostia risalivano il “biondo fiume” portando sale, spezie, sete, merci da tutto il Mediterraneo. E si mischiavano le genti del mondo allora noto.

L’Arco di Giano assomma in sé il fascino della storia e della possente architettura romana. Per questo qualche anno fare è stato restaurato e illuminato grazie a World Monuments Fund-American Express e a fondi della Soprintendenza. È un manufatto di epoca costantiniana, fatto di laterizi coperti di marmo. Un registro degli edifici della caput mundi compilato nel IV secolo dopo Cristo lo chiama Arcus Divi Constantini. La conferma è venuta durante il restauro: su un blocco marmoreo ripulito l’incisione Cos certifica che è un Arco onorario per l’imperatore fattosi cristiano. A costruirlo nel 337, dopo la sua morte, furono i figli. Che vollero replicare nella inusitata pianta quadrangolare, di 12 metri per 16, l’arco quadrifronte costruito da Costantino stesso a Malborghetto, sulla via Flaminia, per celebrare la vittoria nella battaglia di Ponte Milvio.

Che c’entra allora Giano? Lo chiamarono così gli studiosi di antiquaria del Rinascimento interpretando i quattro ingressi dell’arco come la specularità delle facce del dio che secondo i Romani guarda il passato e il futuro e che può essere rappresentato come bifronte o quadrifronte. E poi Ianus in latino significa “passaggio coperto”, luogo di ritrovo e di riparo. Tante altre suggestioni rimanda il monumento: è collocato sopra la Cloaca Maxima e, come detto, nel sito della nascita di Roma. E se decadde quanto altre diventarono le vie del commercio dell’Impero, il manufatto, costituito di materiale di recupero di precedenti edifici, rimase tuttavia integro grazie ai Frangipane, che nel Medioevo ne fecero fortezza come avvenne per uno spicchio del Colosseo, mentre i templi di Ercole e Portuno divennero chiese. I secoli “bui” però si impossessarono delle quarantotto statue che ne decoravano le nicchie con semicupola a conchiglia: triturate, servirono per altre imprese edilizie. Ma intriga, a una osservazione ravvicinata, riscoprire sui marmi riutilizzati e capovolti le decorazioni originarie. Poi lo scorrere dei secoli condusse al suo parziale interramento. Tornò alla luce nel 1827: durante questo intervento – allo scopo di eliminare le aggiunte di epoca successiva – venne asportato anche l’attico, del quale rimaneva solo il nucleo di mattoni e per questo ritenuto medievale, ma originariamente di marmo, come tutto il resto. Il rifacimento della copertura, durante l’ultimo restauro, si è mostrato fondamentale. Era stata sistemata alla buona, con sampietrini, bitume e pendenze, come una strada che viene allagata dalla pioggia, infiltrandosi nei marmi sottostanti.

Se non rimane neanche una delle quarantotto statue, restano le decorazioni nelle quattro chiavi di volta. Rappresentano Roma, Giunone, Minerva e probabilmente Cerere. Il tema augurale è quello di eternità, saggezza e prosperità per la caput mundi.

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