Cartolina dall'America
Il colpo di Stato
Il partito repubblicano Usa sta modificando tutte le leggi che sovrintendono lo svolgimento delle prossime elezioni per favorire la proclamazione di un suo candidato ancorché numericamente perdente. E qualcuno comincia a parlare di "colpo di Stato"...
Non è un caso che Joe Biden abbia scelto le celebrazioni della festa nazionale del luglio scorso a Filadelfia (America a rischio) per denunciare I tentativi, da parte repubblicana, di sovvertire i principi basilari della democrazia americana. L’allarme era già certamente grave allora se un mese prima 100 intellettuali di molte discipline umanistiche (L’allarme dei cento) delle più grosse università di tutto il paese, pubbliche e private, hanno firmato una petizione per sollevare lo stesso problema.
L’anno scorso, con uno studioso del fascismo, Enzo Antonio Cicchino, avevamo anticipato i tempi scrivendo un libro, Trump e moschetto, in cui paventavamo, indizi alla mano, già allora, l’ombra di tentativi sovversivi per istaurare un regime antidemocratico da parte dell’allora presidente Donald Trump. Tentativi che lo facevano somigliare al dittatore nostrano per metodi, per idee, per azioni, per incitamento alla violenza e perfino, caratterialmente, per un narcisismo esagerato. In molti allora, specie tra i giornalisti di casa nostra, ci hanno snobbato e hanno ritenuto il paragone troppo irriverente. Ora il libro è in corso di traduzione negli Stati Uniti da parte di una casa editrice universitaria.
Quando uscì il libro non erano ancora avvenuti i gravi fatti del 6 gennaio 2021 che avevano fornito testimonianza dell’assalto da parte di alcuni facinorosi, seguaci di Trump, di Capitol Hill, sede del Parlamento americano a Washington. Un atto sacrilego, mai avvenuto prima, per una democrazia storica come quella americana. Si contestava la legittimità del risultato elettorale e si affermava che Trump era stato derubato della vittoria.
Sembrano lontani i tempi in cui Steven Spielberg, impegnato sul versante politico progressista, nel 2017 aveva girato il film The Post. Non a caso il regista americano scelse il tema della libertà di stampa e della controversa diffusione da parte del Washington Post, dei Pentagon Papers, sulla guerra in Vietnam, ancora top secret, e vietati ufficialmente dal presidente Nixon al New York Times, pena ritorsioni di carattere giudiziario, per parlare dei pericoli che la democrazia americana stava correndo sotto la presidenza Trump che sbeffeggiava quotidianamente i giornali che non gli piacevano chiamandoli fake news.
Oggi la prestigiosa rivista americana, Atlantic, pubblica un articolo a firma di Barton Gellman dal titolo drammatico Trump’s Next Coup Has Already Begun in cui il giornalista afferma che i fatti del 6 gennaio erano solo l’inizio, una sorta di banco di prova generale che si concluderà alle prossime elezioni del 2024. Con un vero e proprio colpo di stato. E per di più alla luce del sole e, almeno apparentemente, senza colpo ferire
Dunque il 6 gennaio ha rappresentato semplicemente il preludio di un processo a lungo termine i cui meccanismi saranno pronti e già ben oleati per la prossima tornata elettorale. Il partito repubblicano vuole essere sicuro che per quella data non succederà quello che è accaduto nel 2020 e cioè che la sconfitta di Trump venga ufficializzata. Vuole che le elezioni, indipendentemente dai risultati numerici che usciranno dalle urne, vengano vinte da lui o da qualunque candidato si presenti con il partito repubblicano. E per ottenere questo risultato il partito non esita a manomettere le procedure elettorali vigenti. Pertanto il suo campo di azione si sta esercitando su come vengono contati i voti, su chi sovrintende alle elezioni, su chi sceglie i grandi elettori e su cosa accade nei tribunali chiamati a ratificare i risultati. Terreno privilegiato di tale strategia sono gli stati del sud a maggioranza repubblicana chiamati a scegliere i grandi elettori al posto dei votanti e i tecnici che ratificano il processo elettorale. Essi verranno sostituiti con persone favorevoli al partito che promulghino i risultati finali. Legalmente, alla luce del sole il partito repubblicano cosi potrà dominare il paese a prescindere dal fatto oggettivo di chi ha vinto le elezioni .
Più che entrare nello specifico delle procedure che vengono alterate sul piano legislativo e giuridico nella ridefinizione dei collegi elettorali, nelle procedure di decisione dei grandi elettori, di conteggio dei voti e di ufficializzazione del risultato (per cui rimando al primo articolo America a rischio), vediamo di capire perché questo avviene nell’America di oggi. Perché cioè molti cittadini che credono nelle teorie del complotto siano disposti ad azioni violente pur di recuperare il terreno perduto a dispetto dei processi democratici. Molti di essi sono allarmati dalla possibilità che le minoranze etniche, che numericamente stanno superando i bianchi, possano esercitare un controllo mai visto in precedenza. E questo è motivo di allarme, di insicurezza e di paura. È ancora il tarlo del razzismo, una piaga mai eliminata dal DNA del paese, che impesta il tessuto sociale della più grande democrazia occidentale e ne depotenzia il ruolo istituzionale.
Dopo avere fatto riferimento al fatto che neanche l’esercito confederato sconfitto nella guerra civile ha mai marciato su Capitol Hill per sconfessare l’elezione di Abraham Lincoln, Biden nel discorso dello scorso luglio a Filadelfia ha affermato: “Non dico questo per allarmarvi ma perché dovete essere preoccupati”. E ha invitato il Congresso a votare una legge che protegga il diritto al voto. “Dobbiamo promulgare il For the People Act, legge che non a caso è stata bloccata dai repubblicani. È un imperativo nazionale. Dobbiamo inoltre lottare per far passare il John Lewis Voting Rights Advancement Act per restaurare ed espandere la protezione del voto e per prevenire la sua soppressione”.
Quello che il giornalista Barton Gellman paventa è che il sistema politico americano formato da due partiti che si alternano al potere, in realtà al momento è formato da un solo partito, quello democratico, pronto ad accettare i risultati elettorali che scaturiscono dal volere popolare, mentre l’altro è disposto a sacrificare gli elementi essenziali della democrazia nel proprio paese pur di prevalere.
Tuttavia, sfortunatamente, non mi sembra che il partito democratico sia sufficientemente allarmato dalla minaccia che le istituzioni democratiche vengano prese d’assalto dal partito repubblicano e che in generale, a differenza del presidente, abbia in programma a breve scadenza azioni decise a contrastare la strategia repubblicana per scongiurare tale pericolo. Proprio come accadde alle deboli democrazie europee prima che andassero al potere i funesti dittatori che portarono il mondo al disastro della seconda guerra mondiale.