A proposito di "Carne"
Amnesie della carne
Il nuovo romanzo di Giulio Neri gioca con gli opposti: apparenza/realtà, erudizione/ignoranza e, in particolare, interno/esterno. Si racconta, con grande ironia, la storia di uno psichiatra cocainomane che convince i suoi pazienti a governare le pulsioni sessuali
Ridurre la complessità dei fenomeni sociali a un binarismo bene/male annacquato con una certa filosofia orientaleggiante, è una di quelle involuzioni del pensiero di cui non ci si stancherebbe mai di parlare. Nel suo nuovo romanzo Giulio Neri lavora per restituire al lettore i paradossi di questo binarismo. Carne (Il Maestrale, 352 pagine, 20 Euro) gioca infatti sull’esibizione spettacolarizzata delle polarità: apparenza/realtà, erudizione/ignoranza e, in particolare, interno/esterno. A nutrire le demarcazioni subentrano le improbabili teorie para-psicanalitiche sulla psicologia del profondo di uno dei personaggi, lo psichiatra Silverio Mameli la cui deontologia professionale tende a vacillare: complice l’abuso di cocaina. Tutto sarebbe, in buona sostanza, riconducibile alla necessità di abbandonarsi a una sessualità sfrenata (interno che è inutile combattere ma che, con la sapiente guida dello psichiatra, può invece essere controllato nelle manifestazioni esterne) cui i personaggi sembrano non opporre un’eccessiva resistenza.
A condurre in maniera efficace questo esasperato prodursi di atteggiamenti spesso autolesionisti o, quantomeno, svilenti è senza dubbio lo stile narrativo. Le formule espressive appaiono fin da subito caratterizzate dall’accostamento di un registro simil-quotidiano a un italiano colto, arricchito dalla ricercatezza dei termini, tant’è che la primissima impressione è che il romanzo abbia un’ambientazione primo novecentesca o, alla peggio, che ci si trovi davanti a un caso di ricerca, sconclusionata, di letterarietà.
Questo andamento, invece, favorisce una fortunata frizione tra un’apparenza che tenta di essere aristocratica e un contenuto di fatto degradante. Si verificano situazioni in cui, ad esempio, una lingua compita e a tratti raffinata è adoperata per descrivere mere, o semplicemente squallide, scene quotidiane. In altri casi i cortocircuiti sono all’interno della lingua stessa, per cui passaggi linguisticamente ingloriosi sono serenamente affiancati a tecnicismi quasi professorali: (in merito a una giarrettiera sganciata) «Manolo, in posa da gorilla a sbarramento poté constatare l’inconveniente; uomo d’altri tempi, l’Onorevole e Patriarca guardava alla saggezza degli antichi, che della femmina solevano dire «puttana sì, ma onorata»; io propugno volontà di potenza a gogò; fissava incredulo il proietto stecchito»(che di per sé non avrebbe connotazioni particolari se il referente, l’appunto proietto, non fosse una pantegana).
Gli effetti comico-grotteschi sono rimarchevoli e a supportare l’indiscutibile cura lessicalesubentra un’ironia insistita che dà alla narrazione un ritmo carnevalesco. L’oggetto dei toni ironici, puntualmente accompagnati da riferimenti colti alla filosofia, l’arte e la letteratura, sono quasi sempre la sessualità, la seduzione, l’amplesso nelle sue possibilità più pittoresche: «Poi, con uno scatto più vicino all’ira che alla passione, la scaraventò sull’ampio letto […]. Ma subito, al primo passo scivolò sulla pipì e cadde all’indietro battendo la testa contro il pouf. Una bestemmia risuonò alta, fino allo stagno». E va sottolineato che, senza l’impennata carnevalesca verso cui l’autore fa muovere il testo, il rischio di un esito caricaturale sarebbe stato concreto.
Gli unici momenti in cui i personaggi si mostrano al netto delle loro dualità sono caratterizzati dalla violenza, verbale e fisica, e da un misto di misoginia e maschilismo che sfocia quasi immancabilmente nell’autodistruzione. Senza sottovalutare che il caso e la profetizzata scalogna (che curiosamente sembra dare una tregua proprio a Edmondo, drammaturgo fallito e protagonista principale di questo movimentato romanzo corale, che l’aveva preavvisata) favoriscono il susseguirsi di sevizie, omicidi casuali, ritualità post-mortem di ispirazione omerica (e se a infierire è un iroso Achille, il cadavere al traino poco ha del nobile Ettore). Niente, dunque, che lasci trapelare un filo di speranza o una qualche possibilità di redenzione, solo un’infruttuosa congiuntura di amnesie morali.
La foto accanto al titolo è di Roberto Cavallini