A proposito di “Crossroads“
Il vangelo di Franzen
Il senso di colpa e la possibilità di riscatto (ovvero di resurrezione) sono al centro del nuovo romanzo di Jonathan Franzen. Una vicenda di debolezze e opportunità, ambientata in una strana setta nel Midwest
Con il suo nuovo libro, Crossroads (Einaudi, traduzione di Silvia Pareschi, pagine 600, 22 Euro, il primo della trilogia A Key to all Mythologies) Jonathan Franzen torna a raccontare il suo Midwest in un momento cruciale per la storia americana ovvero gli inizi degli anni ’70. Al centro della vicenda un’organizzazione religiosa giovanile chiamata «Crossroads», appunto, e la famiglia Hildebrandt: il padre, il pastore Russ, incastrato in un matrimonio infelice; la madre, Marion, donna instabile con un passato dal peso sconcertante; il primogenito, Clem, che torna dal college deciso ad arruolarsi per il Vietnam; Becky, la figlia all’apparenza perfetta e il suo rapporto con la fede; Perry, deciso (con qualche ricaduta) a liberarsi dalla sua dipendenza da alcol e droghe. Tutto nei mesi fra l’Avvento e Pasqua.
Ed è questo il punto focale dell’intera opera di Franzen.
Lo scrittore è di formazione cristiana, non un ateo violento ma distante da un sincero credo religioso. I suoi scritti, i romanzi tanto quanto i saggi, rispecchiano la morale del senso di colpa cristiano, un senso di colpa che l’autore declina da parte dei figli verso i padri e viceversa (ma non sempre, purtroppo) e che trova in Crossroads il suo culmine.
Sono figli che si vergognano dei genitori (come Clem che, scoperta la tentazione di suo padre – una tentazione in carne e ossa che ha nome Frances Cottrell – gli dice «è difficile essere tuo figlio») e sono genitori che trovano insostenibile il peso della genitorialità, un peso che diventa inconciliabile con gli umani bisogni, d’animo o carnali.
Franzen pone questi genitori continuamente alla prova, chiedendo loro una resistenza alle tentazioni (di Dio e sociali) quasi insostenibile, come a dire che una volta diventati responsabili di un altro essere umano si smette di essere persone complete per appiattirsi sul ruolo del genitore. E così Marion, che in gioventù ha subito tragedie familiari e sevizie sessuali, non si sente in diritto di confessare a marito e figli di andare in terapia (come se vi fosse una vergogna insita); Russ non ha il coraggio di dire che pur essendo Pastore, un uomo di Dio, può provare odio, ribrezzo, disprezzo. E desiderio sessuale.
Lo stesso vale per i loro figli: provano vergogna nei confronti dei genitori ma difficilmente riescono a staccarsi dal rispetto dell’autorità che questi rappresentano.
Il modello genitoriale è inabile a insegnare e dare il buon esempio; il modello filiale è incapace di perdonare le debolezze umane dei genitori. L’incomprensione familiare è invalicabile, per Franzen, il senso di colpa che ne deriva una voragine incolmabile. Si tratta di una dinamica che permea tutte le opere di Franzen e cerca di mettere i sentimenti “negativi” sotto il tappeto per impedire alla morale pubblica di intravederli permettendo alla famiglia di cancellarli come se non fossero mai esistiti.
«Tutti i suoi amici erano persone perbene e avevano amici perbene, e dato che di solito le persone perbene allevavano figli perbene, il mondo di Enid assomigliava a un prato in cui l’erba cresceva così folta da soffocare il male: un miracolo di perbenismo». (Le correzioni, Einaudi, 2001, traduzione di Silvia Pareschi). È il perbenismo dell’America che incide sulla vita di stenti dei personaggi di Franzen ma in Crossroads si evidenzia un fattore aggiuntivo: la redenzione cristiana, la resurrezione, il perdono incarnati nel personaggio di Rick Ambrose, il giovane capo della setta religiosa che dà il nome all’opera. Ha le fattezze del Cristo e all’apparenza dimostra una purezza d’animo che si eleva al cielo: in una scena, una delle più alte dell’opera omnia di Franzen, Ambrose si pone dinanzi all’uomo che gli ha appena mostrato tutto il suo odio e il suo disprezzo, Russ, si inginocchia e gli lava i piedi con i capelli lunghi e scuri che gli cadono sul viso.
Il perdono esiste, la ricompensa è la resurrezione.
Non è la prima volta che Franzen ci regala attimi di purezza e speranza, però, seppur mai così esplicitamente ricondotti al Cristo e ridimensionati. Esattamente come nella morale cristiana, infatti, lo scrittore americano dopo aver distrutto i suoi personaggi, averli fatti sguazzare nell’autocommiserazione e nella depressione, proprio nelle pagine finali dà loro un attimo di sollievo o meglio di speranza, facendoli quasi ascendere al cielo, alla felicità. «Solo quando il cielo riaprì le cataratte […] Pip pensò che forse ce l’avrebbe fatta» (Purity). «[…] Enid sentì che niente poteva più uccidere la sua speranza, niente. Aveva settantacinque anni e intendeva cambiare alcune cose nella sua vita». (Le correzioni)
Dopo l’agonia della Passione, per Franzen c’è la Resurrezione, la possibilità di cancellare i propri errori del passato ed essere meritevoli di redenzione. «Lui le aveva chiesto solo di dargli una possibilità, e lei gliela stava dando». Non è un caso che lo scrittore scelga queste parole per chiudere il nuovo Crossroads.
Porgi l’altra guancia, ci dice Franzen, dandoci un po’ di speranza. Certo, dalla bocca di un uomo bianco, etero, cisgender e occidentale queste parole si fanno leggermente più amare, ma chissà che stavolta, scoprendo la compassione e il perdono reciproci, riusciremo a vincere la morte. Mai esenti dal pregiudizio ma sempre nella fratellanza degli esseri umani. Tutti gli esseri umani.