La nuova raccolta di Davide Puccini
Il cielo a rovescio
Un atlante della Natura osservato e catalogato con «francescana umiltà», il mare amato, di fronte al quale l’autore toscano si «spoglia il cuore» sperando che «ne nasca poesia». Di rara ricchezza compositiva e sperimentale nel solco della grande tradizione “Animali diversi ed altri versi”
Uno sguardo di non comune profilo ed estensione presiede all’architettura del nuovo libro di poesia di Davide Puccini e alla sua rara ricchezza compositiva. La raccolta (Animali diversi ed altri versi, Ladolfi 2021, 156 pagine, 12 euro) organizzata in undici stazioni del pensiero, undici loci autonomamente ideati per omogeneità tematica ma sottilmente in relazione tra loro, sembra prestarsi a un unico disegno, quasi a un intento “enciclopedico” sì che l’impressione è di trovarsi dinanzi a un medievale tesoretto cui si dia ingresso per le più diverse necessità conoscitive. L’assillo a descrivere, a dare conto e, etimologicamente, a comprendere, convive con un’affabilità di tono e una temperata ironia che consentono una visione ferma e prospettica. E va detto che la superficie descritta rimanda di preferenza a un cuore nascosto che si verrà a scoprire modificando la percezione: l’eleganza di una libellula di impalpabile essenza, per fare solo un esempio, ci dice qualcosa di decisivo sulla bellezza, situata fuori da vincoli di “messaggio” e di “scopo”.
Un’idea classica, profondamente laica che ricorre in altri punti del libro e il poeta la presenta in apertura al suo viaggio, nella sezione eponima in cui prende importanti misure nel grande atlante della Natura. Muove di lì Davide Puccini, da una francescana umiltà quanto al nostro terreno situarci e un creaturale convivere tra le specie: un punto di raffronto da tenere presente quando si decida di seguirlo nelle pieghe della storia come della confessione intima, nello spazio del ricordo come nell’idea del tempo o delle cose, secondo un percorso reso con la discrezione del naturalista e la sensualità appagata del nuotatore. Il mare occupa un posto di rilievo nell’ordito del libro, il bellissimo mare che inazzurra tra l’arcipelago dell’Elba e la costa toscana dove da sempre il poeta vive, oggetto di un amore esclusivo e a tratti bruciante perché «Nuotare è solcare / il cielo a rovescio / ed esserne il centro». È un mare visto attraverso l’intero arco delle stagioni, restituito nell’intensità cangiante dei colori e delle temperature che le assecondano, assaporato sempre al massimo dell’intensità possibile: «ma se fa troppo freddo, / mi spoglio solo il cuore: / e spero che ne nasca poesia».
Le cose, e non è peregrino il richiamo a Ponge e al suo parti pris, hanno invece altra natura e offrono motivo privilegiato di riflessione. «Le cose sono spietate» ci dice Puccini per poi aggiungere – e nella sua affilata ironia pare di ascoltare la voce di Wisława Szymborska – «Le cose non conoscono / la discrezione di morire». L’ala del tempo, nel suo inevitabile dispiegarsi, riguarda invece noi soli, il nostro modificarci, il cerchio degli affetti che ci accompagnano; e siamo portati a constatare la sua ombra visitando la densa sezione degli Epicedi.
Molto ci sarebbe da dire sui tanti temi che da questo libro ci vengono incontro, seguendone auspicabilmente il non casuale ordo chartarum, ma questa nota non va chiusa senza avere almeno accennato alla sua altrettanto notevole e originale qualità stilistica, frutto di una cospicua sperimentazione di forme e metri – l’endecasillabo su tutti – della grande tradizione letteraria. Sperimentazione e non sperimentalismo, come ha osservato molto opportunamente Giancarlo Pontiggia nella bella pagina di premessa, giacché si tratta di una poesia che non possiede «il senso dell’oltraggio e del ribaltamento programmatico di forme ed esiti della tradizione: è sperimentale, paradossalmente, proprio nell’adesione ai nuclei espressivi o tematici di una grande tradizione. Un’adesione libera, quasi istintiva, che è […] dettata dal piacere di pesare la lingua in tutte le sue forme». E va aggiunto, e non è dettaglio di poco conto, come tale sperimentazione, tale utilizzo o riutilizzo metrico retorico, siano volti in direzione di una modernissima tonalità colloquiale, confidente, cordiale anche nella necessaria amarezza che leopardianamente ci accomuna.