Itinerari per un giorno di festa
A teatro con Bernini
Opera d’arte totale d’architettura e scultura, la Cappella che a Santa Maria della Vittoria a Roma accoglie l’Estasi di Santa Teresa d’Avila, si svela in tutta la sua bellezza dopo il restauro. Ed è una studiata “rappresentazione” di abilità anche politica
Un’enciclopedia del Barocco, sfolgorante di capolavori firmati Reni, Guercino, Domenichino. Eppure la chiesa Santa Maria della Vittoria, dei Carmelitani Scalzi, è meno visitata di quanto meriti. Colpa della posizione, all’estremo di via XX Settembre, proprio davanti a un semaforo che regola il quadrivio con largo di Santa Susanna. Le auto sgommano al via del verde, il rumore e lo smog inducono ad allontanarsi rapidamente. Eppure, varcato il portone sopra una breve scalinata, ecco la sequenza di quadri, sculture, organo, altare, affreschi. Ed ecco l’acme delle opere d’arte qui conservate, la Cappella Cornaro che accoglie il gruppo scultoreo dell’Estasi di Santa Teresa d’Avila: architettura e scultura uscite dalla mente e dalla mano di Gian Lorenzo Bernini.
Per sette mesi le impalcature hanno nascosto questa che l’autore definiva la sua “men cattiva opera”, ovvero la migliore, a dispetto di una smisurata multiforme produzione, dal baldacchino della Basilica di San Pietro alla chiesa di Sant’Andrea al Quirinale al Ratto di Proserpina della Galleria Borghese. Gli è forse per il fatto che qui Bernini realizza un’opera d’arte totale, un “bel composto” che include anche pittura, decorazione, scienza dell’illuminazione. Ora la Cappella Cornaro, che appartiene al Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno, restituisce chiari agli occhi e alla comprensione dei visitatori i simboli e il modo di lavorare del maestro napoletano. Sono stati impiegati centomila euro da parte dei Beni Culturali, Soprintendenza Speciale di Roma diretta da Daniela Porro, per il restauro, e appare una cifra modesta di fronte alla mole di bellezza e conoscenza restituita alla città. E infatti, se la scultura di Santa Teresa era stata pulita nel 2015, sull’intera cappella non si era mai messo mano.
Invece l’installazione di un ponteggio dal pavimento al soffitto insieme con lo studio delle fonti tanto ha rivelato e confermato. In primis la rivoluzionaria concezione della cappella come camera di luce. Bernini deve agire in uno spazio dato, e contenuto. Allora “sfonda” la parete con gusto scenografico. Il tabernacolo è un palcoscenico, le quinte sono due coppie di colonne di marmo ai lati e un timpano in alto. Al centro, invece di un dipinto, una scultura come coup de théâtre: la protagonista, la Santa colta nel sensuale momento della transverberazione, la trafittura del cuore con una freccia tenuta da un angelo che le permette l’ascesa all’empireo. Il quale è lassù, nel cupolino, nei colori pastello dell’affresco ma anche nella consistenza tridimensionalmente gessata della nuvola che lo avvolge. La Colomba dello Spirito Santo è il fulcro, la meta finale dell’esperienza mistica di Teresa d’Avila, mentre nell’arcone che incornicia la cappella candidi angeli in stucco sciorinano un cartiglio dove è scritto – parole attribuite dalla Santa a Gesù – “Se non avessi creato il cielo, lo creerei soltanto per te”.
«Sono state le cattive condizioni della parte superiore della cappella, dove la vetrata era stata danneggiata da un evento meteorologico, a dettare la necessità di intervenire», spiega Mariella Nuzzo, direttore scientifico del restauro. «Ma quanti particolari abbiamo scoperto. Soprattutto il modo con il quale Bernini ha catturato la luce, in un’opera esposta a sud-ovest e dunque buia nelle prime ore della giornata. Ha creato una finestra a bocca di lupo nella parte nascosta del tabernacolo e con un sistema di specchi e vetri ha convogliato la luce all’interno, in modo che sembrasse discendere su Teresa grazie ai raggi di legno dorato. E infatti la copertura in vetro che sormonta la statua è color giallo ambra, come dicono le fonti e come la realizzò nel 1915 l’allora Soprintendente di Lazio e Abruzzo Muñoz».
L’ispezione dietro il gruppo scultoreo offre conferme. «Abbiamo trovato frammenti vitrei color ambra», certifica Giuseppe Mantella, alla guida dell’impresa che ha eseguito il restauro. «E abbiamo anche rinvenuto pietruzze di marmo. Perché, dietro, sono vuote le statue della Santa e dell’angelo. Bernini, dopo averle posizionate al centro della scena come dimostra il ritrovamento di un chiodino che fissava il punto di vista, ha scavato le sculture per renderle più leggere. Sono dunque simili a maschere, che nella parte anteriore l’artista ha rifinito, lisciato, al fine di ottenere i migliori effetti luministici». E luce emanano anche le quattro scene della vita di Teresa nei bassorilievi ai lati dell’arcone: anche in questo caso di forte impatto emotivo, con l’azzardo del suo corpo nudo dalla cintola in su perché lei, sottoponendo la propria carne viva all’autoflagellazione, voleva moltiplicare la sofferenza.
Di questa messinscena tragica nelle sculture e lieve nell’affresco dell’Empireo realizzato in diciassette giornate (altro dato acquisito dopo la pulitura dal nerofumo causato da un incendio del 1833) sono spettatori i membri della famiglia Cornaro: che il Bernini sistema ai lati dell’altare, affacciati a una balaustra, come stessero in due palchetti: alcuni intenti a parlare tra di loro, altri pensosi, la testa china, altri ancora attenti alla “rappresentazione”.
Del resto la vicenda della committenza la dice lunga anche su retroscena in Vaticano. Il cardinale veneziano Federico Cornaro ottenne il giuspatronato della cappella nel 1647, venticinque anni dopo la canonizzazione di Santa Teresa. L’incarico a Bernini, che terminò il lavoro nel 1653, conteneva un messaggio “politico”: i Cornaro avevano rapporti tesi con Innocenzo X per via dei contrasti del Papa con la Serenissima, e anche Bernini, dopo i successi con predecessore, Urbano VIII, era malvisto dal Santo Padre, che infatti lo aveva estromesso dai lavori per il Giubileo del 1650. Ma, appena ultimata, la Cappella ebbe grande popolarità, facendo così “rialzare le azioni” di Gian Lorenzo presso il Palazzo Pontificio.
Del resto il principe del Barocco aveva ingaggiato per i Cornaro la sua più fedele e apprezzata squadra di collaboratori: Guidobaldo Abatini (affresco) aveva dato il suo contributo nella navata della basilica vaticana e nelle chiese di Sant’Agostino e di San Pietro in Montorio, Marc’Antonio Inverno (stucchi monocromi raffiguranti la vita della Santa) era stato al suo fianco per la Fontana dei Quattro Fiumi, Baldassare Mari e Giacomo Antonio Fancelli (angeli dell’arcone) avevano lavorato l’uno in San Pietro l’altro a Piazza Navona.
Un gruppo coeso per un risultato unitario ideologicamente ed esteticamente. «Quest’opera d’arte totale è anche catechesi», chiosa Padre Angelo, rettore di Santa Maria della Vittoria. Intorno ha un trionfo dorato di capolavori. Peccato che lo smog li insidi, dietro lo spesso legno del portone. Al punto di aver già un po’ impolverato, a sei anni dalla ripulitura, la celeberrima primadonna in estasi di nome Teresa d’Avila.