Georgi Gospodinov
Ceppo Atto II, si premia Gospodinov

Il presente non è più la nostra casa

Lo scrittore bulgaro che riceve oggi a Pistoia il Premio Ceppo Racconto 2021 riconosce nella scrittura «un sistema di precoce preavvertimento». Così è stato per lui rispetto alla pandemia appena vissuta. Ma, ci rassicura, «i libri o le storie ci aiutano a sopravvivere…»

Oggi 13 ottobre a Pistoia Georgi Gospodinov riceve il Premio Ceppo Internazionale Racconto 2021, a cura di Paolo Fabrizio Iacuzzi. Del grande scrittore bulgaro è uscito nel 2021 per Voland il romanzo Cronorifugio, tradotto da Giuseppe Dell’Agata. Ecco un estratto dalla “Ceppo – Regione Toscana Lecture 2021” dedicata alla parola “Crisi” che sarà presentata a Pistoia. Per il testo completo: https://paolofabrizioiacuzzi.it/ceppo-2022-georgi-gospodinov-ceppo-regione-toscana-lecture/

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Noi siamo sempre alla vigilia di una qualche crisi. Sapete che il significato della parola “crisi” è quello di rovesciamento, trasformazione. Sappiamo anche che i nostri libri sono più saggi di noi stessi. Leggo ora con data retroattiva i titoli dei miei ultimi libri. 

Georgi Gospodinov

E tutto divenne luna, questo è il titolo della raccolta di racconti il cui tema fondamentale è la sensazione di una qualche fine e di una particolare apocalissi. Un’apocalissi che è un fatto molto personale. Un’apocalissi personale e quotidiana. Come quella che abbiamo vissuto nei primi giorni della pandemia. L’ultima mia raccolta di racconti, più vicina al momento dell’assegnazione del Premio Internazionale Ceppo, è uscita in Italia proprio all’inizio della pandemia. Si è scontrata con il contenimento e la quarantena, ma è riuscita ad arrivare alla riapertura delle librerie. Pensavo a lei come a una persona viva. Il suo titolo è, né di più, né di meno Tutti i nostri corpi (qualcuno con un buon senso dell’umorismo aveva scritto Tutti i nostri anticorpi). Nel tempo in cui tutti i nostri corpi erano rinchiusi nelle rispettive stanze, soltanto i libri potevano viaggiare. Mentre io rimanevo in una casa a Berlino (è lì che la pandemia mi ha sorpreso), tutti i nostri corpi delle mie storie stavano entrando in diverse case italiane. Ricevetti lettere e i più cari apprezzamenti. Sì, le nostre storie sono vive e hanno corpi. E si avverava quello in cui avevo sempre creduto: le storie salvano. Quello che Sheherazade sapeva, nel raccontare le sue storie ogni notte e guadagnando un giorno dopo l’altro, lo abbiamo provato noi stessi. Quello che Boccaccio fa nel Decamerone, descrivendo lo scambio di storie durante la peste, è capitato anche a noi. La letteratura non è solo invenzione. Lo scambio di storie è terapeutico e salvifico, vaccino e medicina. Qualcuno aveva detto da qualche parte che gli scrittori costituiscono un sistema di precoce preavvertimento. Un altro, se non mi tradisce la memoria, sosteneva che gli scrittori sono come le oche che salvarono Roma. Può non sembrare particolarmente carino paragonare gli scrittori a oche ma comunque, chiunque di noi scriva, scrive con una delle penne di quelle oche che salvarono Roma. Mi permetto di leggervi una delle storie superbrevi di Tutti i nostri corpi. È intitolata Errore: «Lei ha cinque anni. Ha schierato per terra tutti i suoi animali di peluche e chiede loro: “Come state oggi, ragazzi?”. Poi si mette dietro di loro e risponde: “Meglio di domani…”. Si sarà sbagliata, penso dall’altra stanza. Di solito noi diciamo: “Meglio di ieri”. “Meglio di domani” presuppone, come posso dire, un grado superiore di allarme. Ma quand’è che un errore diventa un segnale?». Sì, talvolta i segnali si nascondono tra le parole di un bambino. Nell’ultimo anno e mezzo di vita della pandemia è come se nel tempo qualcosa si sia inceppato, le direzioni si sono capovolte e il passato e il futuro si sono scambiati i posti. Oso dire che questa sensazione di crisi e di inceppamento del tempo alitava nell’aria ancor prima che accadesse tutto. 

Qualche anno fa mi sono messo a scrivere il mio ultimo romanzo, Cronorifugio, con l’inquietante sensazione che il presente non è più la nostra casa. Un’inquietante sensazione di futuro abolito. Se il futuro fosse un aereo e noi fossimo in aeroporto, sul tabellone ci sarebbe scritto: “Future cancelled”. Oppure, in maniera un po’ più consolatoria: “Future delayed”. Cosa si deve fare in tempi angosciosi come il nostro, quando il presente è sconfortante e il futuro è assente? Si cambia la direzione e si prova a vivere nel passato. Nel romanzo Cronorifugio si parla proprio di tempi di disgregazione del genere e di afflusso di passato che arriva come un diluvio. Uno dei capitoli si apre con le frasi seguenti: «E allora il passato ha iniziato a conquistare il mondo… Si trasmetteva da uomo a uomo come un’epidemia, come la peste di Giustiniano o l’influenza spagnola. (…) Il contagio si era diffuso ovunque…». Il romanzo, che narra del virus del passato, fu finito un mese prima che comparissero i primi comunicati sul nuovo virus. Non si tratta di profezia e di cose simili. Semplicemente c’era nell’aria l’allarme e il presentimento della crisi che erano in attesa di essere raccontati. Niente di più e niente di meno. Nel romanzo si parla della ricerca di un rifugio nel tempo, dato che i rifugi nello spazio non sono più in grado di esserci d’aiuto. Se distruggiamo lo spazio intorno a noi, l’unico rifugio verso il quale correre è quello del passato. Per questo Gaustin nel romanzo costruisce le sue “cliniche del passato”.

Il passato è un discreto mostro. Quelli che scendono nel suo regno sotterraneo, di rado riescono ad uscirne. Specialmente se questo scendere nel passato è intrapreso da interi Stati. Ma lasciatemi dire qualcosa di rasserenante. La consolazione che ci dà la letteratura è che, presto o tardi, ogni pestilenza passa e si trasforma in un libro o in una storia. E questi libri o storie di nuovo ci aiutano a sopravvivere anche alle pesti e alle crisi attuali, nelle quali siamo sprofondati. La letteratura è salvifica.

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