Addio Alitalia/10
Grappa al volo
«Ecco il viaggio più ricco di sorprese che ho fatto ogni anno. Mica il Polo Nord o il Sahara. No, un posto distante in aereo poco più di un’ora da Roma, nel lembo d’Italia a nord-est. Ma c’è il mondo, a Percoto di Udine, là dove la famiglia Nonino celebra dal 1975 la sua grappa superstar»
Per quasi due decenni ho volato Alitalia l’ultimo venerdì di gennaio, all’ora di pranzo. Airbus, volo AZ e un numero appresso, soltanto un’ora e dieci di permanenza a bordo, posto finestrino, chiacchiericcio vivace. Appena il tempo di allacciare le cinture di sicurezza, slacciarle e poi riallacciarle. Con lo sguardo, prima di andare oltre le nuvole, sulla linea arcuata della costa laziale a ridosso di Fiumicino e, usciti dal manto ovattato per l’atterraggio, la vista di un’altra costa ad ala d’angelo, il golfo di Trieste.
Ronchi dei Legionari lo snello aeroporto d’arrivo, a servizio di Trieste e Udine. Il saluto del comandante e delle hostess – ah, le hostess, quanti tailleurs haute couture in quattro lustri, mica Daniela Martani, la pasionaria del mega sciopero 2009 finita all’Isola dei Famosi – poi la vettura ad attendere gli inviati dei giornali per condurli all’Hotel Astoria, centro di Udine, sotto i portici e nella piazza dove il sabato mattina si tiene il mercato. Eccolo l’antefatto del viaggio più ricco di sorprese che ho fatto ogni anno. Mica il Polo Nord o il Sahara. No, un posto distante in aereo poco più di un’ora da Roma, nel lembo d’Italia a nord-est. Ma c’è il mondo, a Percoto di Udine, là dove la famiglia Nonino – tra case basse, campagna e distilleria – celebra dal 1975 la sua grappa superstar – dagli Usa alla Russia al Giappone – con un Premio. Anzi, con quattro premi, che scelgono tra letterati e scienziati, drammaturghi e sociologi, registi e musicisti, ma anche tra chi coltiva la migliore uva, o magari il pomodoro ancestrale, semi tramandati e ripiantanti per secoli….
La “liturgia” che Giannola Nonino, la grande madre della grappa, propone da quando s’inventò il Premio con Gianni Brera, Mario Soldati e Padre Turoldo, riesce a contaminare persone, culture e sentimenti. Contaminare nel significato più nobile, dal latino, tagliare e mischiare eccellenze, come Plauto faceva nelle commedie. Perché l’atmosfera che crea insieme al marito Benito – il genio della distillazione che sperimentò con successo la grappa monovitigno, ovvero da un unico tipo di selezionata e fresca barbatella – e alle tre belle figlie, infaticabili in azienda, è di festa in famiglia, ancorché animata da cervelli internazionali, personaggi del jet set, facce da copertina. Il venerdì sera, vigilia della premiazione, nel salotto di Antonella Nonino, raffinata sobria casa affacciata sulla carrozzabile che attraversa Percoto, ho visto per anni Ermanno Olmi mettere a punto, davanti al camino, gli ultimi dettagli della festa che all’indomani avrebbe invaso la distilleria. Poi, alle 21, arrivano gli ospiti, con i taxi che fanno la spola da Udine alla bruma del paese. Nelle ultime edizioni la cena della vigilia si è spostata dalla dimora di Antonella al casale ottocentesco di Borgo Nonino, proprio all’inizio del bosco di pioppi cipressini che precede la distilleria. Il freddo di gennaio s’illumina con la scultura di luce ideata da Marco Lodola dove le sagome delle tre sorelle Nonino – Elisabetta e Cristina, oltre ad Antonella – danzano sfrenate sui tini. Ma, dentro, la sequenza dei caminetti accesi tra le mura restaurate con rispetto del genius loci scoppietta insieme ai saluti, alle risate, ai brindisi. E allora ho visto intrecciarsi le lingue e le facce: il poeta libanese Adonis solleva il calice avvicinandosi al pallido volto dell’irlandese John Banville; il premio Nobel Visnia Naipaul – compianto presidente del Premio – sostenuto dalla bella moglie pakistana è cordiale con il neuroscienziato Usa Antonio Damasio. Peter Brook s’affianca ad Edgar Morin, con quello sguardo da francese scanzonato che conosce il mondo, non solo perché è sociologo. Inge Feltrinelli avvolta in lungo boa chiacchiera con Rosellina Archinto e le dà appuntamento la mattina successiva, per l’acquisto annuale di “scarpet”, le pantofole friulane.
Su tutti la risata di Giannola, i suoi folgoranti evviva. La cena, nel mansardone al piano di sopra, comincia con le salviette imbevute di grappa, per nettarsi le mani. Prosegue con prelibatezze da chef, spesso firmate Gualtiero Marchesi. Però, a favorire il superlavoro degli stomaci, irrompono tra i commensali i suonatori friulani. Canzoni che abbracciano le tradizioni di tutto lo Stivale. “Quant’è bella l’uva fogarina” ritmava Olmi col vicino di tavolo Ottavio Missoni; “Le mantellate” rilancia la chitarra di Giovanna Marini; fino a Torna a Surriento, fino a Ciuri Ciuri. Ma poi il rock, il pop, la bossa nova, il twist, i cult anni Ottanta sparati da un complesso che sfida al tutti in pista: allora Benito Nonino si leva la giacca e svela la t-shirt nera buona per l’altalena della disco music. E gli innesti più improbabili si avverano: nel lento Cesare Romiti in doppiopetto si legava a Jakucho Setouchi, scrittrice antimilitarista, femminista nonché monaca buddista, saio e testa rapata come conviene. Antonella Boralevi si fa tentare dal fisico Giorgio Parisi – sì, il Premio Nobel appena laureato da Stoccolma – sudatissimo ma caparbio nella sequenza di shake, mosse caotiche e complesse quanto il volo degli storni che per tanti anni ha osservato; Fabiola Giannotti, la donna alla guida del Cern, cede al ballo e abbandona per un po’ il tavolo dove siede con Peter Higgs, pure lui fisico da Nobel.
La mattina dopo la consegna dei premi nel capannone della distilleria dominato dagli alambicchi ramati ha un parterre ancora più vasto, dal presidente di turno della Rai a Fabio Capello, a Riccardo Illy. Tazze di brodo, frico, crauti e zampetti di maiale, crostini e pressate vanno a braccetto con i discorsi alti dei prescelti dalla giuria spesso introdotti da Claudio Magris. Negli anni, Higgs spiega il buono per il mondo che verrà dal suo bosone, “ma non chiamatelo particella di Dio”; Pierre Michon avverte quanto la neo-modernità abbia inghiottito tutto, compresa la letteratura, nel magma dell’indifferenziato; Mo Yan (Nonino nel 2005, Nobel sette anni dopo) squarcia la sua Cina tra poesia, violenza, istinto. Si sollevano i coperchi degli alambicchi, i vapori della grappa inebriano narici e intelletti. Finisce con Benito Nonino che spezza con l’ascia un tronco di torrone.
Scrivo il pezzo con le interviste, lo invio in redazione, salgo sulla vettura che mi conduce all’aeroporto. Lì incontro Massimo Giletti in giacchettina, Simona Marchini in colbacco, Concita De Gregorio in piumino, il professor Parisi sempre un po’ spettinato. Nel trolley abbiamo tutti l’ampollina colma di grappa, dimensione mini per passare al vaglio dei raggi X senza essere sequestrata. A differenza dell’andata, meno chiacchiere e occhi puntati sui giornali. Un ultimo sguardo è per la corona di Alpi aguzze sullo sfondo infuocato del tramonto. A Roma arrivo che è già buio, in settanta minuti, volo AZ…..
Il prossimo ultimo venerdì di gennaio, chissà.
Le fotografie sono di Roberto Cavallini