Il riconoscimento dell'Accademia svedese
Ecco chi è Gurnah
Lo scrittore afro-inglese Abdulrazak Gurnah ha vinto il premio Nobel per la letteratura. Nella sua lunga attività narrativa ha raccontato ciò che ha vissuto: la contraddizione tra la povertà dell'Africa e lo sfruttamento dell'Occidente. Piccola guida alla lettura...
Abdulrazak Gurnah – premio Nobel per la Letteratura 2021, annunciato come tradizione alle 13 del primo giovedì di ottobre – è uno di quei nomi che manda nel panico le redazioni Cultura dei giornali. Un autore sconosciuto ai più, appartato, in Italia poco tradotto. Se ce ne fosse bisogno, basta scorrere i primi tweet sconcertati, e, cartina di tornasole, quello del giornalista Jacobo Iacoboni che palesa un “non ci crederete, ma ho letto tutti i suoi scritti”.
L’Accademia di Svezia però non si smentisce. La scelta di quest’anno ne replica tante altre, che hanno acceso i riflettori su autori magari non marginali, ma marginalizzati dalle periferie del mondo nelle quali sono letterariamente cresciuti. Operazione che si può considerare da una parte snobistica, dall’altra massimamente democratica ed educativa, se non politica tout court: la scrittura letteraria ha diritto di cittadinanza nell’empireo del Nobel da qualsiasi parte provenga, specie se da Paesi indigenti e sottomessi.
Abdulrazak Gurnah, poi, incarna il premio di Stoccolma come meglio non si potesse in questo 2021 che sbrigativamente potremmo definire di post-pandemia e che sta conoscendo l’esodo degli afghani schiacciati di nuovo dal potere talebano. Perché è nato in Africa, il continente meno vaccinato del pianeta contro il Covid e che tra l’altro ha appena agguantato, con una pronuncia dell’Oms, la possibilità di vaccinare contro la malaria i bambini (ne scompare uno ogni due minuti a causa del virus inoculato dalla zanzara). Perché, in un periodo nel quale sempre maggiore è la pressione dei migranti e dei rifugiati dall’Est e dal Sud del mondo, egli ha un passato di rifugiato, uno di quelli che ce l’ha fatta però a esprimersi come uomo e poi come intellettuale nell’opulento Occidente. Infine perché la sua opera non fa sconti agli invasori forgiati nella fucina amorale del Capitalismo. E infatti recita così la motivazione del Nobel: «Per la sua intransigente e profonda analisi degli effetti del colonialismo e del destino del rifugiato nel golfo tra culture e continenti».
Quello che narra nei suoi dieci romanzi Gurnah lo ha vissuto sulla propria pelle. Dal dittatoriale Zanzibar, oggi Tanzania, dove nacque nel 1948, fuggì nel Regno Unito di fine anni Sessanta. A vent’anni si iscrisse all’università, un anno dopo già scriveva in inglese, lui che aveva lo swahili come prima lingua. Un incessante lavoro di formazione sulla letteratura britannica, da Shakespeare a V.S. Naipaul, non a caso nato a Trinidad ma diventato scrittore di fama grazie all’idioma di Londra e anch’egli insignito del massimo alloro letterario mondiale. Ancora, Salman Rushdie e una nutrita schiera di romanzieri africani, indiani, caraibici sono stati nel suo Olimpo. Fino a diventare professore di “Post Colonial Literatures” all’Università del Kent.
La memoria dell’Africa vissuta da ragazzo torna nella narrativa di Gurnah. Pochi i titoli pubblicati in Italia, anni fa, da Garzanti: Il Paradiso (1994, selezionato al Booker Prize), ambientato nella parte orientale del suo continente durante la Prima Guerra Mondiale, che narra di un dodicenne venduto schiavo dal padre a un mercante arabo per pagare i debiti di famiglia; Sulla riva del mare (2001), protagonista un anziano richiedente asilo che vive in una cittadina di mare inglese; Il disertore (2005), storia dell’amicizia tra un natio della costa africana affacciata sull’Oceano indiano e un viaggiatore e studioso occidentale che dall’indigeno viene salvato e del quale sposa la sorella, un legame che si riverbera su tre generazioni. Libri difficili ora da reperire, ma che il clamore del Nobel rilancerà.
Del resto, era dal 1986 che un africano nero (Wole Soyinka) non vinceva il riconoscimento svedese. Una scelta che scompagina le previsioni della vigilia. Restano a bocca asciutta la francese Annie Ernaux – probabilmente bruciata anche dalla notorietà derivatole un mese fa dal film Leone d’Oro a Venezia, tratto dal suo romanzo L’Evénement – e due nomi da anni in odore di Nobel, ma invano: il giapponese Haruki Murakami, penalizzato forse dal proprio grande successo commerciale, e la canadese Margaret Atwood, sulla cresta dell’onda perché dal suo Il racconto dell’ancella è stata tratta una fortunata serie tv.