A cinquant'anni dalla morte
Vita da editor
Ricordo di Niccolò Gallo, raffinatissimo studioso di letteratura, per tanti anni editor presso Mondadori e amico e sodale (e spesso "correttore") di tanti grandi del Novecento, da Vittorio Sereni a Mario Soldati, da Cesare Garboli a Piero Citati
Quattro settembre, muore
oggi un mio caro e con lui cortesia
una volta di più e questa forse per sempre.
Ero con altri un’ultima volta in mare
stupefatto che su tanti spettri chiari non posasse
a pieno cielo una nuvola immensa.
Con questi versi Vittorio Sereni ricordò la morte improvvisa dell’amico Niccolò Gallo nel 1971, di cui sono caduti i cinquanta anni in questi giorni, il 4 settembre appunto. Finissimo studioso della letteratura e poi consulente editoriale e editor per la Mondadori, dopo la sua morte la critica notò che alcuni autori avevano una scrittura un po’ diversa, meno precisa e risolta, proprio perché le sue notazioni puntigliose e attentissime sui manoscritti, i suoi consigli di scrittura e costruzione erano venuti meno. Al suo lavoro ha dedicato un saggio nel 1975 Gian Carlo Ferretti, Niccolò Gallo, storia di un editor, edito da Il saggiatore.Basterebbe questa curiosità per capire l’importanza di questa figura sconosciuta oggi ai più perché operò sempre nell’ombra, incarnazione della discrezione e dell’educazione, in stretta collaborazione fiduciaria con gli autori, ma ci sono anche i suoi pochi saggi pubblicati e poi la vita che si svolgeva nel salotto di casa sua a Roma, dove è passata tutta la letteratura del secondo Novecento, dove si sono formati, tra discussioni, suggerimenti, incontri, critici raffinati come Cesare Garboli o Pietro Citati e tanti scrittori, se sempre dopo la sua scomparsa per un pezzo molti dei nuovi libri che uscivano portavano una dedica in suo ricordo. «Correggeva bozze, faceva ricerche in biblioteca per noi, aggiungeva note, controllava manoscritti: si sobbarcava i compiti più faticosi ed umili, con una gioia, una costanza e una forza che nessuno avrebbe mai sospettato in una persona così delicata” e alla fine – ha scritto in un suo ricordo Pietro Citati – i suoi erano giudizi sin troppo benigni, “Perché, allora, andavamo a cercarlo? Per venire lusingati? Non credo […] quelle minime cancellature dovevano consentirci di capire la strada che avremmo dovuto percorrere con le nostre forze».
Garboli invece, che gli dedicò alcune pagine intitolate “L’ultimo lettore” ora nel libro Falbalas, ha scritto che «tendeva voracemente ad annullare la distanza tra sé e l’autore, nella consapevolezza indifferente e orgogliosa che l’unione mistica col testo non si sarebbe realizzata mai». E ancora, che Gallo preferiva gli autori vivi, i suoi contemporanei, e con loro realizzava un abbraccio fraterno, «mezzo vampiresco e mezzo sacrificale», con un talento che faceva leva sulla capacità di «mimetizzarsi e di scomparire».
Niccolò Gallo si formò attraverso anni di sacrifici, di studi, di lotta antifascista, di resistenza, di lavoro quotidiano svolto con umiltà, sotto la guida dei suoi due maestri ideali, Michele Barbi e Emilio Cecchi, facendosi le ossa e diventando alla fine quel lettore rabdomante e professionale che fu, in grado di mettere al servizio degli altri il suo talento, la sua sensibilità alla scrittura e il suono della lingua da «siciliano sciacquato nella Senna e nell’Arno». Col poeta e amico Vittorio Sereni diresse anche quella collana di scoperte e novità che fu Il tornasole della Mondadori. L’elenco dei suoi meriti, delle sue scoperte e suggerimenti, vanno da Soldati a Consolo o Tomizza, da Zanzotto e Pagliarani per far anche due nomi di poeti, sino al suo impegno per spronare al lavoro e poi strappare dalle mani di Stefano D’Arrigo, che non vedeva mai concluso il proprio lavoro, Horcynus Orca, solo per fare degli esempi. Questo senza dimenticare che fu un rigoroso studioso di Dante, impeccabile curatore, insieme a Garboli, delle opere di De Sanctis e di Leopardi e, con Giansiro Ferrata, di Gramsci; traduttore di Rivière e di Thibaudet. Più volte definito ‘critico militante’, ha sempre ritenuto lo studio della letteratura italiana, di cui era al servizio, un punto di vista privilegiato per esplorare l’animo umano, i valori della vita, scandagliandone tutte le trasformazioni.
Tomizza in Dove tornare ricorda come Gallo avesse «un’antica cura del particolare che si manteneva costante nella scelta della carta e dell’inchiostro come nella scrittura precisa, finissima, da moderno amanuense di lusso, che tanto umiliava il mio goffo aggettivo da togliere, l’esclamativo da sopprimere, il verbo inesatto da sostituire. In netta perdita, sulle prime scattavo in difesa della mia espressione raramente mediata, ma poi ammettevo che l’indicazione era esatta e mi veniva proposta con discrezione persino dubbiosa ed estremo rispetto».