Cartolina dagli Usa
L’età di Obama
Barack Obama ha festeggiato i suoi sessant'anni. Un'occasione preziosa per riflettere meglio sulla sua parabola alla Casa Bianca: ha rappresentato il sogno di un'America che abbandona i suoi fantasmi. Ma il razzismo, la prassi antidemocratica della destra e Trump hanno cancellato nella violenza
Il 4 agosto l’ex presidente americano Barack Obama ha compiuto sessant’anni. Divenuto il 44esimo presidente degli Stati Uniti a soli 47 anni è stato il primo presidente afroamericano della storia statunitense. Figlio di madre single bianca e di padre keniota nero ha studiato prima alla Columbia University e poi ad Harvard dove si è laureato in legge. La sua carriera politica si è svolta principalmente a Chicago dove ha lavorato nella comunità nera diventando nel 1996 per otto anni senatore nel parlamento dell’Illinois. Sempre a Chicago ha incontrato la moglie Michelle, anch’essa avvocatessa, che ha sposato nel 1992 e dalla quale ha avuto due figlie Malia Sasha. Nel 2004 è stato eletto senatore per l’Illinois a Washington e nel 2007 ha annunciato che avrebbe corso per le presidenziali del 2008. Divenne presidente quello stesso anno dopo avere battuto entro lo stesso partito democratico, Hillary Clinton, e l’avversario repubblicano John Mc Cain.
I suoi due mandati sono stati difficili e sempre in salita, con un partito repubblicano sempre più ostile, aggressivo, che ha praticato un ostruzionismo cieco e pregiudiziale. Le sfide che ha dovuto affrontare sono state molte. L’economia ufficialmente in recessione precipitò nella crisi del 2008, la peggiore da quella del ’29, mentre in politica estera gli Stati Uniti avevano ancora un gran numero di truppe dispiegate in Iraq e in Afghanistan e diversi fronti aperti. Con una House of Representatives a maggioranza democratica nei primi due anni di presidenza Obama è riuscito a varare la tanto discussa riforma sanitaria, quella che va sotto il nome di Obamacare, (tanto criticata dai repubblicani benché Trump non si sia neanche sognato di eliminare, pena una sollevazione popolare) a risollevare l’economia e a far ritirare la maggior parte delle truppe dall’Iraq. Dopo che i repubblicani hanno guadagnato la maggioranza nella House nel 2010, nonostante defatiganti negoziazioni che hanno ricevuto dinieghi continui tanto che si è perfino parlato di razzismo di ritorno nei confronti del primo presidente nero degli Stati Uniti, Obama non è riuscito a trovare un accordo su tasse, bilancio e deficit.
Alla sua rielezione nel 2012 tentò, anche qui senza successo, di far passare una riforma sull’emigrazione e una sul controllo delle armi. La potente lobby NRA tiene in pugno i repubblicani mentre nel frattempo una quantità incredibile di giovani, nella maggior parte neri, continuano a morire, vittime di scontri tra le gang o uccisi dalla polizia. Quante volte abbiamo visto Obama partecipare ai funerali di ragazzini di colore accanto alle madri e ad altri familiari! Lo abbiamo visto anche piangere. Altre volte partecipare o a quelli di altri giovani vittime di quelle forme di follia collettiva che solo un paese che permette la libera circolazione delle armi senza nessuna restrizione si ritrova ad affrontare.
In politica estera Obama ha iniziato un dialogo con la Cina, ha cercato accordi in Medio oriente, ha concluso un importante trattato sulle armi nucleari con l’Iran e ha aperto a Cuba. Ha puntato molto inoltre sui cambiamenti climatici varando il Climate Action Act che si proponeva di ridurre le emissioni di anidride carbonica nell’aria e incrementare fonti alternative di energia.
Una presidenza, quella di Obama, che ci ha fatto sperare e sognare con i suoi slogan “Yes we can” “Hope” per le possibilità di cambiamento che lasciava trapelare. Un presidente con un’oratoria scelta e raffinata, spesso anche troppo, ma che ha dato al paese grandi chance di cambiare e allo stesso tempo di mantenere una leadership mondiale. Se avesse avuto la possibilità di muoversi con più libertà, invece di rimanere incatenato dall’ostruzionismo pregiudiziale dei repubblicani, avrebbe potuto varare molte altre riforme importanti per il paese e per il mondo. Invece quelle speranze si sono trasformate nell’incubo del presidente successivo che ha fatto precipitare il paese nel baratro di un pericoloso vuoto democratico. Obama come primo presidente nero della storia americana ha fatto risorgere pregiudizi razziali mai scomparsi nel paese, viceversa incistati nel suo DNA, qualcosa che ancora ardeva sotto la cenere, e che il suo successore, Trump, ha riportato a fiammeggiare, contro un presidente non bianco, giovane e pieno di entusiasmo. Qualcosa che, anche se pallidamente, ricorda i molti dubbi nei confronti di un altro presidente che aveva suscitato grandi speranze e grande entusiasmo nel paese, e che, seppure bianco, era, come Obama, giovane e pieno di energia, ma era cattolico in un’America ancora troppo WASP (White Anglo-Saxon Protestant): John Fiztgerald Kennedy ucciso a Dallas nel 1963.
A lui nel maggio del 1962 una Marlyn Monroe bellissima e sexy augurò, cantando 10 giorni prima del vero compleanno del presidente e pochi mesi prima della sua stessa morte, un Happy Birthday Mr President! memorabile. Con quello spirito e quella riverenza auguro a Barack Obama che nella mia Chicago ha svolto la maggior parte della sua attività politica un buon sessantesimo compleanno anche se, al contrario di Marilyn che lo cantò in anticipo, questa volta è in ritardo. Happy Belated Birthday, Mr. President!