Una rassegna che partirà a ottobre
La scena del G8
Il Teatro di Genova ha commissionato nove testi ad altrettanti autori della scena internazionale per raccontare il dramma del G8 a vent'anni di distanza. Ne parliamo con Kiara Pipino, studiosa e regista italo-americana che ha seguito il progetto
Nell’anno in cui ricorre il ventennio dai tragici e violenti fatti del G8 di Genova, in cui molti manifestanti subirono l’ingiustificata violenza da parte delle forze dell’ordine italiane e per cui il nostro paese è stato anche condannato dalla Corte Europea per i diritti umani, il Teatro Nazionale di Genova ha deciso di dedicare, a partire da ottobre di quest’anno, una serie di pièce teatrali ispirate a quegli accadimenti. Ne parliamo con Kiara Pipino che ha tradotto alcuni dei testi e che dirigerà la pièce di Wendy MacLeod.
Kiara Pipino è Professore Associato di Teatro. Italiana, ma residente negli Stati Uniti, ha conseguito il MFA in regia teatrale presso l’Università dell’Arkansas e ha continuato a insegnare e dirigere negli Stati Uniti e all’estero. La sua esperienza è legata a Movement for Actors, avendo anche completato una certificazione nella tecnica di Michael Chekhov (GLMCC). È stata insignita del premio Excellence in Directing dal Kennedy Center nel 2020 per la regia di The Wolves di Sarah DeLappe. Ha una collaborazione professionale continuativa con PragueShakespeare (Repubblica Ceca) e con il Teatro Nazionale Italiano di Genova (Italia). Il suo libro più recente Women Writing and Directing in the USA è stato pubblicato da Routledge nel marzo 2020. È un membro attivo di ATHE e SDC.
Come nasce l’idea di una pièce teatrale sul G8 di Genova?
L’idea è del direttore del Teatro Nazionale di Genova, Davide Livermore, nell’anno in cui ricorre il ventennio dai tristi eventi del G8. Ci si vuole interrogare su quanto successe allora, su quanto possa essere cambiato o non cambiato da allora. Sono stati commissionati 8 testi a 8 drammaturghi dei paesi che fanno parte del G8. Gli autori sono liberi di ispirarsi direttamente agli eventi, oppure di trarre ispirazione dai temi sollevati dal G8 del 2001, come la violenza delle forze dell’ordine o la libertà di manifestare e protestare.
Quali sono gli autori coinvolti?
Gli autori sono: Sabrina Mahfuz per Regno Unito, Roland Schimmelpfennig per la Germania, Ivan Vyrypaev per la Russia, Toschiro Suzue per il Giappone, Nathalie Fillon per la Francia, Guillermo Verdecchia per il Canada, Fausto Paravidino per l’Italia, Wendy MaCleod per gli USA e Fabrice Murgia per l’Unione Europea.
Che ruolo hai avuto?
Inizialmente ho aiutato a creare i contatti con alcuni dei drammaturghi, poi traduco i testi di Wendy MacLeod e di Verdecchia dall’inglese all’italiano. Inoltre, curo la regia del testo della MacLeod, che si intitola Basta! ed è una commedia di satira politico- sociale piuttosto dark, in stile Dario Fo.
Quali riflessioni sono emerse?
I testi non sono ancora pubblici e siccome sono stati commissionati appositamente per l’evento, che inizierà il 9 ottobre, al di là del testo della MacLeod che dirigo adesso e che quindi ho già tradotto, non so nulla degli altri. Basta!, il testo che dirigo, è chiaramente ispirato a un possibile interrogatorio in commissariato nei giorni del G8 di Genova, anche se viene condotto con una sorta di astrazione. Si tratta di satira politica, in cui vi sono moltissimi doppi sensi e un dialogo molto serrato. Si tenta di raccontare e far comprendere l’assurdo di quello che è avvenuto in quei giorni. Accadimenti che si è tentato di far passare come normalità. MacLeod ha utilizzato molte fonti, non solamente italiane, per raccontare quei tragici giorni e ne è uscita una splendida pièce teatrale. Vi sono un “colore” e un’atmosfera molto particolari che mi piace paragonare, con un confronto che può sembrare ardito, ma che secondo me non lo è, a quella presente nei Simpson, dove la satira politica diviene derisione amara e lieve allo stesso tempo. Mi sono ispirata anche ai Griffin che sono ancora più politicamente scorretti. La scena in cui si svolgono i fatti verrà costruita con proiezioni di scenografia virtuale, un “ledwall” in cui ognuno si potrà muovere.
Che differenze vedi tra il teatro negli Stati Uniti e in Italia?
In entrambi i paesi, in tempi di pandemia, diventa tutto più complicato. Mi fa piacere che si ritorni in presenza, sia per le prove che per gli spettacoli veri e propri. L’organizzazione è un po’ diversa, forse più tradizionalista in Italia e più pragmatica, business style, negli Stati Uniti. In Italia si sente di più, secondo me, l’aspetto “artigianale” del processo teatrale, dove il regista fa un po’ di tutto e si relaziona con attori, designers, e produttori in modo più diretto. Negli U.S.A. tutto è più formale, con procedure molto più definite. Non so cosa sia meglio.
Quali altri progetti stai curando negli Stati Uniti?
Adesso sto curando la regia di un testo di Nicole DeSalle, Broken Bluebird, per la rassegna di nuova drammaturgia dell’associazione ATHE che è andato in scena il 6 agosto online, anche le prove sono state online. Poi inizierò a provare The Revolutionists di Lauren Gunderson, che debutterà a Oneonta NY il primo ottobre.
Che speranze hai per il nuovo anno accademico negli Stati Uniti dopo un anno e mezzo di pandemia?
Intanto, spero che si riesca definitivamente a tornare in presenza, lo scorso anno abbiamo cominciato in presenza e poi si è dovuti tornare in didattica a distanza. Per il teatro la modalità a distanza a mio avviso funziona davvero poco e soprattutto da poca soddisfazione, sia allo studente, che ai docenti. Secondo me ci sarà anche un periodo di aggiustamento, prima che questa fase possa considerarsi davvero chiusa. Dopo quasi due anni di distanziamento sociale, mascherine e quant’altro, secondo me ci sarà un po’ ti timore o scetticismo, a tornare alla normalità pre-pandemia. Non so se questa sia una cosa buona o no, certo che in teatro il distanziamento sociale funziona poco, sia nel pubblico che sul palco, bisognerà aspettare e vedere.