L'estate del nostro scontento?/2
Il mare e gli altri
«Io sono viva, viva ancora e vigile, attenta più che mai alla realtà che mi circonda. Pronta ad ascoltare voci. Non voglio perdermi una virgola di questo mondo che non deve più andare alla deriva...»
Presto, la mattina, quando il mare è calmo e trasparente, visto che ormai dopo settimane il fiato sembra essere tornato, decido di spingermi in acque aperte, non oltre le boe. Regolare il ritmo delle bracciate, bussola e timone, buono il sostegno delle gambe, motore posteriore propulsivo. Respiro ogni tre a stile libero, sento che scivolo senza ostacoli, assaporando con gioia quest’avventura marina, riserva di movimento, di ossigeno, áncora di salvezza che mi resta, per fortuna, negli anni crepuscolari della mia esistenza. Dono acquisito grazie alla gracilità infantile, ai consigli di un benemerito pediatra che ancora riesco a ricordare, alla saggezza di genitori che per me scelsero un’attività natatoria mai interrotta.
Mi accorgo per caso che un cormorano mi sta nuotando accanto: ci fermiamo a scrutarci, lui con un solo occhio, la testa lucida, il collo lungo. Ma non gli interesso, per quanto io cerchi di seguirlo per carpirgli segreti della sua mutazione subacquea in siluro velocissimo e affusolato, che ingoia pesci piccoli e sicuramente appetibili: continua imperterrito a immergersi, inarcandosi e poi scendendo a perpendicolo, volando lontano in una frazione di secondo. Già, nuotare è volare, nuotare è correre, nuotare è viaggiare in un mondo alternativo, dove gli esseri non hanno nome ma solo pinne formidabili, branchie per stare lungamente in profondità. Quando potrò trasformarmi in delfino, oppure in ippocampo, foca o balena? non ho che l’imbarazzo della scelta. Perché lo so, io sarò pesce, creatura dei mari, che avrà imparato così bene a mutar pelle e natura per risalire ai primordi della vita sulla terra, ai tempi delle gigantesche maree che si elevavano in alto sino ai confini della luna, mentre gli oceani trovavano il loro assetto stabile e covavano nuove creature acquatiche.
Il sole sta salendo, la luce si farebbe accecante se non avessi i doppi occhi, vale a dire occhialini per ripararmi dal salino che li fa bruciare. La meraviglia del cielo spalancato e pulito sopra di me mi incanta: sono distesa, galleggio come se non sapessi fare altro, e guardo, divoro la commozione che mi da questo azzurro sconfinato. E allora penso, ricordo, rivedo: immagini e gesti di questo ultimo anno trascorso in un lampo e insieme mai trascorso, interminabile e assurdo. Indigeribile.
Rivedo Marcella, che l’estate scorsa mi accompagnava al largo, possente nella sua stazza da ex nuotatrice, cuoca insuperabile, compagna di bevute e parole notturne senza freni. La vedo e la sento, è ancora qui con me, che ride e grida forte, ma non c’è più: come sarà stato il suo ultimo corpo a corpo con la malattia che se l’è portata via in soli tre mesi?
Rivedo Marina, che non sa tornare alla vita dopo il forzato isolamento: vive al sud, in una regione da me sempre amata, sul mare, quel mare che d’inverno è anche più desiderabile. Ma la voce del mare lei non la sente più, quel richiamo di sirena che la invogliava a entrarci di corsa. Dice che è tutto immerso nell’oscurità, non riesce a ritrovare il filo da cui ripartire, gli ingranaggi che la trasformavano in una domatrice di folle quando parlava di libri, di storie, di letteratura, e intervistava gli scrittori preferiti. Dove sei? Che cosa hai passato? Perché non rinasci? dai, è facile. Sorridi. Torna nel flusso, nella corrente che ti dava emozioni, in mezzo ai tuoi libri.
E Marushka? che l’anno addietro portavo sino alle boe, incurante dei richiami acuti dei bagnini con fischietti e quant’altro per riportarci a riva. Certo, avrei dovuto essere consapevole che a 84 anni è un azzardo, ma le avevo insegnato il segreto delle mani e delle gambe che tengono a galla, con colpetti lievi qua e là: vedi? un po’ in basso, un po’ di lato e puoi andare all’infinito, e se vuoi spostarti tieni le dita serrate, non farci passare l’acqua in mezzo, altrimenti starai sempre ferma dove sei. E lei, con la testa fuori, i capelli rosso fuoco, mi seguiva docile e allegra. La gioia di nuotare a ottant’anni suonati. Quest’anno non ha voglia, non si sente più la stessa. Che cosa è successo in tutto questo tempo? Che cosa ci ha cambiati?
Galleggio come se non avessi peso, non sento nemmeno il lieve fruscio del mio respiro, e quello sfrigolio nelle orecchie sott’acqua che mi avverte che negli abissi è un brulicare di esistenze nascoste e misteriose. Io sono felice, sto bene adesso, qui. Sono tornata a casa: il mio mare mi ha attesa per lunghi mesi non facili e ora mi sta cullando, stretta nel suo abbraccio. Vuole farmi sapere che non mi farà del male. Posso fidarmi. Lasciarmi finalmente andare.
E allora, per una volta, permettetemi di scordare tutto. Tutto quello che è stato voglio abbandonarlo alle spalle. Persino mia madre che ha cambiato i tratti del volto: una metamorfosi che le ha impresso vecchiezza, rabbia e smemoratezza. Mi guarda quando vado a trovarla, e forse mi riconosce, ma ciò che dice ormai è privo di senso. Eppure anche lei è uscita indenne dalla battaglia che abbiamo combattuto tutti. Nessuno di coloro che avevo intorno si è ammalato, si è ammorbato, ma qualcuno – anche giovane – se ne è andato per altri mali crudeli, per altre vie funeste. Troppo presto.
Io, funambola per caso, sono riuscita a stare in equilibrio sul filo sottile e trasparente teso sul vuoto. Sono rimasta miracolosamente nel cono di luce. Non mi sono arresa. Come ho fatto? lettura e scrittura mi hanno tenuto compagnia nel silenzio. La mia dimensione ideale. Mi mancava nuotare, questo è certo, ma di notte sognavo di volare nuotando. Ed eccomi qui, dopo un’attesa durata giorni e notti, settimane e mesi di solitudine. Di gesti ho vissuto, gesti immaginari, come gli abbracci che finalmente è venuto il tempo di dare e di ricevere. Un sospiro profondo e la capacità di dismettere una pelle di serpente che ci stava stretta, tanto arida e squamosa era diventata. Rinascendo, possiamo dire con convinzione che questa no, non è l’estate del nostro scontento, ma l’estate della gioia. Non lo so dove ho lasciato il mio corpo, forse tra le onde, dolcemente addormentato. Ma io sono viva, viva ancora e vigile, attenta più che mai alla realtà che mi circonda. Pronta ad ascoltare voci. Non voglio perdermi una virgola di questo mondo che non deve più andare alla deriva.
Le fotografie sono di Roberto Cavallini