L'estate del nostro scontento?/5
Costretti alla felicità
«I passi in avanti in vista dell’estate sembrano decisivi per tenerci contenti ma la variante di turno (ah, la filologia del virus: ora tocca a delta e speriamo non si debba arrivare all’omega!) ha riproposto ancora incertezze...»
Posso pensare che sia stato un inverno del nostro scontento? Partiamo dall’aspetto più doloroso, con ben in mente i diversi livelli di compartecipazione emotiva: quanti che l’hanno incontrata avrebbero voluto che potesse palesarsi almeno secondo l’icona del Settimo sigillo di Bergman e invece non c’è stata neppure partita. Tante e fin troppe volte è giunta all’improvviso. E lo scontento prende maggior corpo. Senza poi considerare che in questo inverno, forse in maniera ancora più incidente rispetto il primo lockdown, le trasformazioni delle abitudini sociali ci hanno resi claustrofobici, da un lato, e immersi in una persistente solitudine quantunque ci sian state maggiori occasioni di incontro: tra uno smart working e un altro si son potuti riallacciare contatti ai minimi sindacali con i colleghi di ufficio e con una dose palliativa di amici e parenti, sempre tra distanze e mascherine. Ma è rimasta la percezione che ancora si vedeva l’altro e l’alterità come potenziale nemico (ogni occasione sembra essere buona), lasciando in sottofondo “chissà se ha fatto il tampone… se non è infettivo…”. Occhio diffidente con un’idea di persona considerata avversa. Una stagione, dunque, in cui la solitudine interiore e la paura, non solo quella giustificata dal contagio e dal morire, ma anche quella generalizzata, non ci ha consentito di distinguere un pericolo reale da uno immaginario e ci ha spinto a isolarci con cautela e a richiedere vicinanza (dentro e fuori allo stesso tempo).
Poi però le cose cominciano a cambiare: un effetto hanno avuto le vaccinazioni, globali e nazionali, ma non entrerò neppure sotto tortura nelle questioni scientifiche, non ne ho le competenze e le lascio molto volentieri ad altri. Allora “la speranza divampa” come quando Gondor chiama Rohan (e Rohan risponderà) e al suo divampare, però, l’effetto dell’Anello del potere ha fatto sentire la sua fascinazione perversa: si è cominciato un po’ troppo a urlare, a scontrarsi invece di dialogare. Certo, quando qualcuno mi trascina per i capelli su questo terreno di discussione mi difendo, facendo appello alla statistica che comprova passi in avanti notevoli. Ma poi aggiungo anche questo minestrone filosofico che recita grosso modo così: “non voglio tirare in ballo Rousseau e la sua proverbiale questione dei confini della libertà personale, però ricordiamoci quanto la pandemia ha inciso profondamente sulla pelle di ognuno di noi preso singolarmente prima di alzare i toni e urlare in una lotta quasi da homo homini lupus”. E con questo spiccio riassunto da bignami provo a smorzare i toni degli urlatori (che non fanno mai bene ad alzare la voce, se pensano di avere ragione) anche ricordando che “dentro” o “fuori” con questa pandemia si sta tutti insieme. E ora mi sembra che andiamo verso un’estate tutti fuori e tutti dentro: fuori nella speranza della fine, dentro a una condizione di vigile attesa dell’autunno e di cosa ci porterà.
Nell’inverno del nostro scontento, ci ritorno, sono emersi cambiamenti di vita radicali che ciascuno di noi ha vissuto in modo diverso e singolare. E che “ciascuno di noi ha vissuto in modo diverso e singolare”, per l’appunto, questo va tenuto ben presente ancor di più ora che continuano a levarsi grida forti e contrasti che l’impazienza, e la paura, amplifica megafonando schiamazzi spesso condizionati più dalle esperienze esteriori che da quelle interiori (“in interiore homine habitat veritas”, sempre per quel bignamino di filosofia di cui sopra, citando Sant’Agostino). Un senso che è cambiato nella misura in cui si sono articolate le condizioni esteriori della nostra vita.
I passi in avanti in vista dell’estate sembrano decisivi per tenerci contenti ma la variante di turno (ah, la filologia del virus: ora tocca a delta e speriamo non si debba arrivare all’omega!) ha riproposto ancora incertezze. C’è tuttavia da augurarsi che – per tornare al quesito – quest’estate possa essere sfolgorante ai raggi del sole, tanto per restare sulle tracce shakespeariane. Perché è la stagione dove finalmente dovrebbe sormontare luce diffusa e splendore.
“L’estate è essenziale e costringe ogni anima alla felicità” affermava Gide. Toni perentori che potrebbero rianimare divisioni: il combinato disposto Gide applicato alla pandemia è divisivo, non solo e non tanto per l’autore ma su quei due termini, “costringe” e “felicità”, credo si potrebbe rigenerare un ampio, l’ennesimo, dibattito politico-social (non è un errore è proprio così, social). Allora mi fermo qui, non procedo oltre per evitare nuove urla manzoniane che oggi nei social troverebbero fiate di fiati: «Che qualsivoglia persona, così di questa Città, come forestiera, che per due testimoni consterà essere tenuto, e comunemente riputato per bravo, et aver tal nome, ancorché non si verifichi aver fatto delitto alcuno … per questa sola riputazione di bravo, senza altri indizi, possa dai detti giudici e da ognuno di loro esser posto alla corda et al tormento, per processo informativo …». Ecco, proprio così: “processo (sommario NdA) informativo”.
Le fotografie sono di Roberto Cavallini