Paolo Vanacore
Avventure di una medaglia d'oro

Vola, Marcell, vola!

Marcell Jacobs, con una finale perfetta alle Olimpiadi di Tokyo, è entrato nella leggenda. Italiano ma con una storia per metà texana: nella meraviglia del suo corpo c'è il segreto del suo destino di campione. Gli sono bastati cento metri per dimostrarlo

Dietro quell’aria da furbastro ribelle, dietro quel sorriso malizioso e lo sguardo ammaliante si nasconde un atleta preciso e rigoroso dotato di un corpo capace di anticipare per istinto quello che nessuno gli aveva mai insegnato. Marcell è sempre stato innamorato della velocità, prima i pattini, poi la bicicletta, infine la moto fino a quando un giorno non ha sentito la necessità di affidare al proprio corpo la responsabilità del movimento, di sostituire ciò che è artificiale con i muscoli, i tendini, le gambe. Come una magia.

Marcell Jacobs nasce da uno sbarbatello militare texano di soli diciotto anni in servizio a Vicenza e una giovane ragazzina italiana appena sedicenne. L’amore trionfa sempre, i due si sposano e si trasferiscono in America, dopo tre anni nasce Marcell ma solo dopo venti giorni il padre è costretto a trasferirsi in Corea del Sud, impossibile seguirlo. Viviana torna allora in Italia, a Brescia, quando il piccolino è ancora in fasce. Padre assente, è vero, padre con il quale poi si riconcilierà, ma madre tenace e forte, che lo accompagna alle gare e crede in lui e in quel corpo che lentamente si trasforma in una macchina straordinariamente perfetta. Marcell passa per il nuoto, il basket, fino a trovare il suo pieno appagamento prima nel salto in lungo e poi nella corsa, una disciplina in cui è necessario mantenere il controllo, gestire la pressione, in una fusione perfetta di mente e corpo, una sorta di abbraccio interiore in grado di sprigionare energia e produrre velocità allo stato puro. Correre, non hai fatto altro. Strade di campagna, colline scoscese, angoli di strada densi di asfalto e poi i filari dei vigneti delle colline del Garda fino alle piste di atletica di tutta Italia e di mezza Europa.

La corsa è la più straordinaria metafora della vita, la continua sfida con te stesso, gli imprevisti, le cadute (e tu ne sai qualcosa di infortuni), il coraggio e la forza di rialzarsi, le innumerevoli rinascite, i grandi traguardi.

 Quando il grande Carl Lewis, il figlio del vento, dieci medaglie in quattro olimpiadi, ha saputo di te, delle tue imprese, dei tuoi record, ha voluto conoscerti e così vi siete incontrati a Linate, in aeroporto, avevate entrambi una maglietta arancione, e proprio nel luogo in cui si inizia a volare è arrivata la sua benedizione, quella mano sulla spalla che ti ha sospinto verso un radioso futuro fino a giungere a queste meritatissime Olimpiadi, le prime, Tokyo 2021.

Stanotte ho sognato Pietro Mennea, il viso sorridente, la bocca spalancata e le braccia al cielo mentre taglia il traguardo, un’immagine indelebile, un’istantanea di ben quarantuno anni fa ancora perfettamente impressa nella memoria. A Savona, pochi mesi fa, non è stato un caso, quel giorno ci hai messo qualcosa in più. Forse ho capito che cos’è, mi piace pensare che sia stato proprio Mennea a suggerirmelo in sogno quindi adesso te lo dico: stavolta all’intelligenza motoria devi aggiungere la leggerezza dell’anima, solo grazie a lei potrai tornare a infrangere il muro dei 10 secondi.

Vola Marcell, tocca a te. L’oro di Tokyo è solo l’inizio.

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