Marta Morazzoni
La “Saga della vipera” di Daniela Pizzagalli

L’epopea dei Visconti

Con «la puntigliosità tutta femminile di chi osserva il dettaglio dentro la campitura della storia» l’autrice ricostruisce in tre volumi le battaglie, il potere, i soprusi e gli intrighi dei signori che vollero grande Milano segnandone la fisionomia oltreché il destino

La storia vista dalla parte dei potenti, osservata con una lente di ingrandimento che, direbbe Foscolo misinterpretando Machiavelli, «alle genti svela di che lacrime grondi e di che sangue»: mi sembra che in questa chiave si possa leggere il complesso lavoro di Daniela Pizzagalli dedicato ai Visconti, una trilogia che si raccoglie sotto la definizione di Saga della vipera, simbolo dei signori di Milano dal 1300 fino alla metà del ‘400, quando Filippo Maria, privo di eredi maschi, fa sposare la figlia Bianca Maria al capitano di ventura Francesco Sforza, aprendo così un’altra grande pagina della storia di Milano. Per più di un secolo questa dinastia ha cadenzato il passo della città, ne ha forgiato la fisionomia e in certo senso il destino. È un lungo momento che l’autrice percorre, sviscerando nei dettagli il tempo in cui una città è disegnata dalla volontà di chi imperiosamente la governa, o forse bisogna dire la possiede: la voce del popolo è poco o nulla rispetto all’autorità del signore, al suo arbitrio, parola spesso tremenda e foriera di una ferocia che ci sbalordisce oggi, ma era nelle cose di allora e rappresentava lo spirito del tempo. 

Battaglie, potere, soprusi e intrighi: ho pensato spesso che lo storico abbia un bel vantaggio sul narratore puro, perché ha tra le mani il materiale pronto per il racconto della complessità umana, quella che il romanziere deve ricavare dalla sua immaginazione, con il dubbio di sforare nell’inverosimile. Ecco invece qui raccontata, oltre ogni dubbio, l’impresa di una famiglia determinata nella convinzione di poter fare della propria città la prima nell’Italia che si apre alle signorie. Entriamo così nella terra di mezzo tra due epoche, quella comunale di una tentata democrazia diretta nelle mani del popolo e quella dei signori, la cui voce da un certo punto si alza sempre più forte, fino a soffocarne qualunque altra. Dai manuali di storia sappiamo con puntualità come andarono le cose a Firenze, dove il potere economico dei Medici divenne potere politico, mai dichiarato e sancito, per quanto paia un paradosso!, ma così imperativo e esplicito, da aver lasciato una traccia indelebile nella storia d’Italia. Merito dell’avvento dell’Umanesimo che quasi un secolo dopo ha preso piede nel paese? Sì, per tanti aspetti, merito della luce che l’arte ha portato, a illuminare un mondo in cui le tenebre hanno continuato a coprire la ferocia dei potenti. Lorenzo de’ Medici non meno di tanti altri! 

E i Visconti di Milano? Daniela Pizzagalli, storica e biografa di lunga esperienza, comincia a inquadrarne la vicenda a partire dal 1302: siamo ancora nel basso medioevo, i comuni sono tramontati o stanno tramontando, le famiglie maggiori si contendono il potere, e il rappresentante di una di queste, Matteo Visconti, in esilio pensa con nostalgia alla città da cui è tenuto lontano. Comincia con uno sguardo su quella nostalgia il lungo racconto dell’epopea viscontiana tessuto dall’autrice, che lo ha scandito in tre volumi (I Visconti: le battaglie della vipera, 218 pagine 13 euro; I Visconti: il potere feroce, 251 pagine, 13,00 euro, Bur Rizzoli; il terzo uscirà nel 2022), con una fittissima trama di avvenimenti, e l’ordito che mette in luce le gesta dei potenti e le memorie di annalisti, cronachisti e storici, sulle cui opere ha lavorato a ricavare un affresco minuzioso, caratterizzato della puntigliosità tutta femminile di chi osserva il dettaglio dentro la campitura della storia. È bene sottolineare che il lettore deve metterci una bella attenzione per non smarrirsi nei meandri, tra famiglie e alleanze e rivalità complesse; gli si concede un momento di respiro, quando sulla scena compaiono nomi la cui fama orienta meglio in un paesaggio intricato: Arrigo VII, come lo chiama Dante, il savoiardo Conte Verde, o Francesco Petrarca, il poeta che amava Milano e preferiva il marchio signorile dei Visconti alla tumultuosa gestione della politica del popolo fiorentino. 

Storia dei Visconti, dunque, e storia di Milano: ci si sente il respiro della città che i suoi signori vollero capitale di uno stato regionale i cui confini si allargavano ben oltre quelli che oggi gli conosciamo: Milano che avrà in Genova il suo porto, superando così il limite dell’ubicazione nel mezzo di una pianura, con le Alpi alle spalle e centinaia di chilometri per arrivare al mare. Milano che si imparenta per via di matrimoni con i sovrani d’Europa, che è come dire, per quel tempo, i sovrani del mondo. Milano che edificherà la chiesa più grande d’Italia (San Pietro, ricordiamolo, non è in Italia!) sotto l’egida di Gian Galeazzo Visconti, intenzionato a dare all’edificio religioso un ruolo rappresentativo della potenza politica e economica della città, nel segno del gotico che indica il tempo nuovo dell’architettura europea. Non a caso si è paragonato l’elevarsi delle cattedrali gotiche con lo slancio verticale dei grattacieli nel XX secolo. 

C’è poi, leggibile mi sembra in questa narrazione capillare della storia dei Visconti, l’affetto dell’autrice per la sua città, il piacere di percorrerla, di riconoscere il segno del suo passato, individuandone le tracce un po’ nascoste nel guscio della modernità. Milano è la città per eccellenza proiettata nel futuro, e la sua attuale fisionomia dominata da un’architettura fortemente innovativa ne segna il carattere. Il passato di Firenze non si dimentica, quello di Milano sembra più segreto e sottaciuto. Tanto più è bello che di questa modernità si sottolineino le radici. 

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