Addio all’intellettuale editore
L’assoluto Calasso
La Mitteleuropa, l’Oriente, l’esoterismo e la fisica, Simenon e Richler, Nietzsche e Kundera… Anelava a un catalogo che fosse un unico infinito libro, una biblioteca esaustiva e assoluta. Da lettore, da scrittore e da editore ha percorso liberamente i sentieri della riflessione sull’essere
Quel libriccino – la copertina senza fronzoli color acquamarina, al centro solo titolo e autore – ha illuminato la mia giovinezza. E quella di tanti ragazzi, da quarantacinque anni a questa parte. Si intitola Siddharta, l’ha scritto Hermann Hesse. La sua pubblicazione – e con essa il rilancio e per molti giovani la scoperta in Italia – fu tra i primi regali a chi ama leggere di Roberto Calasso, l’intellettuale editore che è stato l’anima della milanese casa Adelphi e che è morto stamani, a ottant’anni, dopo aver lottato a lungo con il male.
Davvero da lui abbiamo imparato che stampare libri è una missione alta, per aprire la mente ed estasiare il cuore, in una ricerca continua della grande letteratura, al punto che l’anelito ultimo di Calasso – nato a Firenze il 30 maggio 1941, figlio di un giurista e per parte di madre nipote di Ernesto Codignola, docente universitario di filosofia e fondatore della casa editrice La Nuova Italia – era realizzare un catalogo che fosse un unico infinito libro, una biblioteca esaustiva e assoluta. Ciò implica che le ragioni del mercato, la rincorsa del titolo che calamitasse il lettore corrivo pur di far impennare le vendite, sono state sempre estranee ai suoi orizzonti. Del resto mai Adelphi è entrata nella mischia dei premi letterari, e allo Strega ha partecipato soltanto una volta, nel 1989, allorché il più amato libro di Calasso, Le nozze di Cadmo e Armonia, fu sconfitto per tre voti da La grande sera di Giuseppe Pontiggia.
Ciò che premeva invece era dare visibilità a letterature altre, a nicchie snobbate, ad autori nuovi scartati dai grandi marchi. In questo egli si smarcava dalla cosiddetta intellighenzia editoriale di sinistra, che aveva in Giulio Einaudi il proprio faro. Ma non perché volesse un’etichetta politica di segno opposto, egli si definiva «estraneo sia al bigottismo della sinistra sia al buzzurrismo della destra». Piuttosto perché gli interessava, gli è interessato fino all’ultimo respiro, dare pagine agli autori di vaglia, alle voci diverse, cacciate fuori da certi conformismi. Per fare un esempio, e delle sue intuizioni minori: fu lui a pubblicare per primo – era il 1993 – un autore appartato e a lungo trascurato, Mauro Maurensig, peraltro da poco scomparso. La variante di Lüneburg, l’esordio a cinquant’anni dello scrittore goriziano, fu un best seller. E con la stessa Adelphi, diciannove anni dopo, Maurensig vide uscire uno dei suoi ultimi romanzi, Teoria delle ombre. Ma intanto per il marchio milanese c’erano stati i boom di un fino ad allora ignoto Joseph Roth (nella foto) con La cripta dei Cappuccini, di Siddhartha, appunto uscito nella Piccola Biblioteca Adelphi con la traduzione di Massimo Mila, e poi Milan Kundera con L’insostenibile leggerezza dell’essere, Mordecai Richler con La versione di Barney, l’omaggio a George Simenon con la pubblicazione di tutti i suoi titoli. E le porte erano aperte per gli autori della Mitteleuropa come per le tematiche esoteriche e dei sapienti orientali, in un eclettismo che ha sempre mirato ai percorsi della riflessione sull’essere, e però in trame capaci di essere profonde e pop insieme.
La storia di Adelphi combacia con la vicenda umana di Calasso, quasi come un attore si identifica tutta la vita con un ruolo. A darle vita fu, nel 1962, Luciano Foà insieme con Roberto Olivetti. Ma il programma editoriale fu subito di Bobi Bazlen, lettore insaziabile al pari di Calasso, che a tredici anni aveva già letto la Recherche di Proust, scovata nel pozzo senza fondo della biblioteca del nonno. Dunque il giovane Roberto, dopo essersi laureato a Roma in letteratura inglese con Mario Praz, entra in Adelphi. A trent’anni, nel 1971, è direttore editoriale, nel 1990 consigliere delegato, nel 1999 assomma anche la carica di presidente. Ma segue passo passo la fucina della casa editrice, scrivendo anche la maggior parte dei risvolti di copertina, che nel 2003 sono stati riuniti in Cento lettere a uno sconosciuto.
È stato anche traduttore e raffinato scrittore, Calasso. Spaziando dalla antichità classica – ecco appunto Le nozze di Cadmo e Armonia – alla mitologia degli indiani Veda (Ka, 1996), al Settecento (Il rosa di Tiepolo, 2006), al ritratto di Kafka (K., 2002), a Baudelaire (La folie Baudelaire, 2008). Proprio nel giorno dell’addio al mondo, sono usciti i suoi ultimi due titoli, significativamente autobiografici: Memè Scianca, nel quale narra l’infanzia trascorsa a Firenze, e Bobi, con i ricordi attorno a Roberto Bazlen, il “socio” nella meravigliosa avventura di Adelphi. Roberto Calasso si è congedato guardandosi indietro, come in un testamento morale e intellettuale. E il “piano-sequenza” certamente lo avrà consolato.