Roberto Mussapi
Every beat of my heart

I segreti di Psiche

John Keats a tu per tu con l'Anima. Di lei non ha mai dubitato, ben sapendo che è potenza, sorgività, respiro e non quell’astratta iperrealtà a cui la modernità l’ha condannata. E così, con i versi del grande romantico inglese “Every beat of my heart” sospende per una pausa estiva, ma il battito della Poesia continua a pulsare…

Fanno così, certi poeti: si rivolgono direttamente, dando del tu, all’allodola, come Shelley, e alla nuvola o al vento d’Occidente, alla Luna, come Leopardi, al Sonno, all’Autunno, a tante entità animanti del mondo, come John Keats.
Qui a Psiche: il poeta da del tu alla sua ispiratrice prima e al segreto animante del mondo: Psiche, prima della decadenza psicanalitica e della perdita d’anima del mondo occidentale (fenomeni paralleli e connessi), Psiche era Anima. Anima è il pensiero vivo e generante, e Anima non si riduce a quell’astratta iperrealtà a cui il nichilismo, e anche certo cristianesimo novecentesco l’hanno ridotta, togliendole potenza, sorgività, respiro, anima. È grave che sia necessario Hillman per fare riscoprire l’anima, che soffia nei Vangeli e in Shakespeare. È grave perché Hillman è bravo e intelligente, ma può riportare in società l’anima, essendo più spiritoso di Jung, che l’ha riscoperta e riformulata nella sua potenza.
I poeti di una certa razza non hanno mai dubitato di lei: John Keats le si rivolge riconoscendole il ruolo supremo nel nostro universo umano inappagato di essere solamente umano.
Pausa di agosto, silenzio di questa rubrica per un mese: ma silenzio solo per i babbani, per dirla con Harry Potter, che non sentono. Chi è della stessa stoffa di Keats, anche se con lui condivide solo la professione di medico e non il mestiere di poeta, anche se lavora fuori dalla letteratura ma lavora vitalmente e con passione, ed è inconsapevolmente suo consustanziale fratello, mentre prende il sole e nuota, o mentre riposa, o cammina, o semplicemente sosta per qualche giorno o qualche ora, sente che i battiti non cessano.

Ode a Psiche
Ascola o Dea questi versi sconnessi,
dolce violenza e memoria d’affetti, 
e perdona che i tuoi segreti siano cantati
nella morbida conchiglia del tuo orecchio:
certo ho sognato, oggi, oppure ho visto
a occhi aperti l’alata Psiche?
Vagavo, inconsapevole, in una foresta 
e all’improvviso di colpo mi sono apparse,
due belle creature, accucciate accanto,
nell’erba più alta, sotto i sussurri di un tetto
di foglie e fiori tremolanti,
un ruscello, che si vedeva appena:
nel silenzio dei fiori freschi e profumati,
azzurri, bianco argento e rosso porpora, 
giacevano respirando calme sul letto d’erba,
le braccia abbracciate, abbracciate le ali…
le labbra non si toccavano, ma non si erano dette addio.
Come disgiunte dal sonno dalle soffici dita
e pronte a superare il numero dei baci passati
al tenero amore della nascente aurora.

Conosco bene il fanciullo alato,
ma chi eri tu, dolce colomba?
Tu, proprio tu, la sua Psiche!

Tu visione ultima nata, la più amata
del pantheon dell’Olimpo, svanito…
Più bella della stella di Diana tra gli zaffiri,
più di Venere, lucciola del cielo,
la più bella di tutte anche se non hai tempio,
né altare traboccante di fiori,
né coro di vergini a intonare dolci lamenti
nel pieno della mezzanotte,
e non voce, o liuto o flauto o incenso squisito
che fumighi dal turibolo scosso,
né santurio, né bosco, oracolo o il delirio
sulle pallide labbra di un profeta invasato.

Tu più splendida anche se nata tardi, ormai, 
per voti antichi, per l’ingenua lira appassionata,
quando i rami della foresta erano sacri,
e sacri l’aria, l’acqua, e il fuoco…
Eppure anche in questi giorni così lontani
dalle fedi felici, le tue ali lucenti
fluttuanti su quel che resta dell’Olimpo,
io vedo, e canto, dai miei stessi occhi ispirato.

Sarò io il tuo coro, e intonerò dolci lamenti
nel cuore della mezzanotte,
la voce, o flauto, o liuto o incenso profumato
che fumighi dal turibolo scosso,
il tuo oracolo, il tuo bosco e l’ardore
sulle pallide labbra di un profeta invasato.

Sì, sarò il tuo sacerdote, e costruirò un tempio
in zone della mia mente inesplorate,
dove come rami pensieri nati da lieto dolore
mormoreranno nel vento come pini:
e lontano, molto lontano macchie d’alberi oscure
vestiranno i crinali dei monti,
e là accanto a zefiri, ruscelli, e uccelli, e api
culleranno le Driadi dormienti sul muschio,
e in tutta questa vasta quiete
adornerò un santuario di rose,
con quanto il giardiniere Fantasia può inventare,
lei che non crea mai due fiori uguali…
E lì vi sarà per te ogni gioia
che un pensiero indistinto può conquistare
una torcia splendente, finestra sulla notte,
perché il caldo Amore vi possa entrare!

John Keats
Traduzione di Roberto Mussapi

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