Giacomo Battiato
Una lettura controcorrente

Flaubert e i no-vax

«Siamo immolati agli imbecilli»: rileggere, oggi, Bouvard et Pécuchet di Flaubert è un'esperienza terribile. Nel disperato tentativo del grande narratore francese di ritrarre la stupidità del mondo c'è la nostra condizione di spettatori attoniti dell'ignoranza fatta metodo virtuoso

Ecco, quel signore carnoso, epilettico e incazzato è un genio. Molte notti si dimentica di andare a dormire perché deve perfezionare una frase che ha scritto e riscritto. Le parole non suonano mai abbastanza bene per lui, la costruzione non è mai abbastanza perfetta. Lavora alla luce della lanterna come un minatore con il suo piccone, alla caccia di gemme che non è per niente sicuro di trovare. I suoi capelli lucidi scoperchiano una fronte immensa. La finestra della sua stanza è spalancata, fuori è sotto zero, lui è in maniche di camicia e gronda sudore. Il signore carnoso ha 59 anni, è francese, normanno. No sa che sta per morire. Sono otto anni che lavora alla sua opera. Ci ha pensato per gran parte della sua vita. Si è rovinato la vista. Per realizzarla, ha raccolto, appuntato e studiato migliaia di volumi. Wilkipedia non c’è ancora ma, anche se ci fosse, non gli basterebbe.

Sta scrivendo un libro disturbante, folle; vuole costruire unmonumento alla Stupidità.

Il normanno carnoso è convito che nel suo tempo si stia assistendo alla morte dell’intelligenza, della vera conoscenza, della bellezza, di ogni cosa grande. Tutto gli sembra finire in un pantano dilagante di idee precotte, di false opinioni, di false notizie, di false verità, di opinioni sbraitate da chi non è in grado di avere opinioni e così via verso un gigantesco sciocchezzaio che domina e incretinisce la vita di tutti.

Sto preparando un libro…” scrive, “… in cui sputerò fuori tutta la mia bile.” Lo lavora con una dedizione totale, assoluta.

E dichiara: “Mi sento sommerso dall’onda di stupidità che ricopre la Francia, dall’inondazione di cretinismo sotto cui scompare. E provo il terrore dei contemporanei di Noè, quando vedevano che il mare continuava a salire () Provo, contro la stupidità del mio tempo, ondate di odio che mi soffocano. Mi sale la merda alla bocca, come nelle ernie strozzate. Ma voglio conservarla, farla rapprendere, farla indurire. Voglio farne una pasta con cui imbratterò il mio secolo come si dorano di sterco di vacca le pagode indiane () Oh, Santo Dio! Bisogna irrigidirsi e emmerder l’humanité qui nous emmerde! Oh! Mi vendicherò! Certo che mi vendicherò! Sarà un grande romanzo moderno

Sulla sua scrivania troneggia quello che per lui è il libro dei libri – Don Chisciotte.

“È sabato 1°agosto. Comincio, infine Non posso più tornare indietro! Ma che paura che ho! Che angoscia! Mi sembra di imbarcarmi per uno spaventoso viaggio verso regioni sconosciute e dal quale non torneròTutto questo con il solo scopo di sputare sui miei contemporanei il disgusto che mi ispirano. Finalmente dirò quello che penso davvero, esalerò il mio risentimento, vomiterò il mio odio, espettorerò il mio fiele, eiaculerò la mia collera, detergerò la mia indignazione.

Sto parlando di Flaubert, è chiaro, e del libro che l’ha ucciso e che è stato definito “una pretesa di divina Commedia alla rovescia”: Bouvard et Pécuchet.

Un capolavoro assoluto e incompiuto, una leggenda. Per alcuni – che non vogliono vedere – si tratta di una pazzia stonata. Il fatto è che questo scrittore, oltre 140 anni fa, ci ha lanciato un messaggio terrorizzato, un urlo letterario: tutto, non esclusa la cultura, sta sprofondando nella Stupidità.

Non so che cosa avrebbe risposto Flaubert all’ottimismo dello storico Harari, nostro contemporaneo, che crede che “In un mondo alluvionato da informazioni irrilevanti, la lucidità è potere.”  Mi azzardo a pensare che avrebbe precisato che l’alluvione non è quello delle idee irrilevanti (inutili e innocue) ma delle idee stupide vestite di verità (produttive e malefiche). Forse avrebbe anche aggiunto che la lucidità è ormai cosa sempre più rara e certo non dà il potere. Il potere sguazza nella Stupidità.

I due uomini qualunque, protagonisti del romanzo, si imbarcano, esaltati, in infiniti viaggi per avvicinarsi alla verità. Sono avventure che si risolvono nella confusione, nella delusione, nel più totale scoraggiamento: la verità cercata e trovata non è la verità ma una sua stupida messa in scena, il suo fallimento. I due anti-eroi sono simpatici modelli, loro stessi, della Stupidità. Sono i Chisciotte e Sancio del tempo moderno alla ricerca del vero e del giusto, dovunque, in tutti i campi della scienza e della vita. Flaubert scrive l’odissea di due poetici/patetici personaggi che annegano nelle sciocchezze offerte dai piazzisti di verità – cioè di falsi -, siano essi professori, “esperti”, politici, imbonitori, “influenzatori”, procacciatori di voti, venditori di felicità. 

Un romanzo rivoluzionario, il tentativo immane di un’enciclopedia della Stupidità contemporanea: “Devo finirlo prima di crepare o nell’attesa di crepare!”  Non farà in tempo.

Aveva subìto già un processo per immoralità per Madame Bovary. Ora… dice divertito, “… per questo libro mi farò cacciare dalla Francia e dall’Europa”.

Flaubert riesce in un’impresa letterariamente eroica. Trasforma un libro repulsivo – nel senso proprio del re-pellere, cacciare indietro, buttare fuori, via, vomitare – in un’opera d’arte elaborata, elaboratissima. Non a caso Flaubert confessa: “… la mia povera vita, così piatta e tranquilla, dove le frasi sono un’avventura”. Con due corollari: “Lavoro a finire la frase” e “La frase non finisce mai”.

Per una simile furiosa ricerca di stile, Flaubert è stato definito l’ultimo scrittore classico… ma poiché questo lavoro è smisurato, vertiginoso, nevrotico, provocatorio, Flaubert diviene il primo scrittore della modernità. Realizza una follia. Una follia della scrittura, un furioso lavoro sul linguaggio e sulla sonorità poetica delle parole.

Siamo immolati agli imbecilli.

Flaubert riflette, nella più scorata malinconia, su una affermazione del grande Boileau, vecchia di duecento anni. Boileau non parlava di quello che leggeva o ascoltava per la strada o nei salotti, ma dei discorsi uditi nella grande, sacra, Académie Française, i discorsi dell’élite del suo paese: “Le sciocchezze che sento dire all’Accademia…” scriveva “… affrettano la mia morte.”

Flaubert a Turgenev, 9 mesi prima di morire per un ictus: “Bouvard et Pécuchet mi sfinisconoCi vuole proprio una bella indole e dell’ascetismo per infliggersi simili penose fatiche! E certi giorni mi sembra che m’abbiano salassato gambe e braccia e che il momento di crepare sia arrivato! Ma poi mi rialzo e mi ci butto comunque. Ecco…”

“In Bouvard et Pécuchet è stato detto, “… la questione della verità e dell’obbiettività svela abissi di interrogativi sull’arbitrarietà del linguaggio e sui nomi da dare alle cose, sulla storicità dei saperi, sulla circolazione dei pregiudizi, sul realismo, sulle verità e sul relativismo. Quest’ultima opera, incompiuta, esplosiva, lascia tutte queste questioni aperte. Non le risolve”.

E ci credo, come potrebbe?

Ci identifichiamo con i due simpatici idioti protagonisti del romanzo e nello stesso tempo li compatiamo. Li immaginiamo gettati nel fango dell’ignoranza dalle pale di tutti i mulini a vento che avevano scambiato per delle bocche della verità… Ma quei due siamo noi!

Flaubert dice che il suo tempo è “il tempo delle orecchie d’asino”.

A proposito del “dominio degli asini”, ha parlato Benedetto Croce (ripreso da Leonardo Sciascia): “… il pericolo degli ignoranti che teorizzano, giudicano, sentenziano, che fanno scorrere fiumi di spropositi, che mettono in giro formule senza senso, che credono di possedere nella loro ignoranza stessa una miracolosa sapienza, lo conosciamo perché lo abbiamo sperimentato bene. Si è chiamato, nella sua forma più recente, «fascismo». Io ho pensato denominarlo in greco: onagrocrazia.

Parlando di questo libro che tutti cercano disperatamente di storicizzare –forse per paura di entrare involontariamente e inesorabilmente nel catalogo dei cretini che fanno bla bla – il mio pensiero – ma anche il vostro, credo – corre di continuo all’oggi e ai mezzi di cui oggi la Stupidità dispone e si serve. Dovrei accuratamente evitare il pensiero cretino di “cosa direbbe Flaubert…”, per esempio, dei suoi connazionali che marciano in decine di migliaia contro i vaccini e vandalizzano i centri vaccinali. Eh sì, tra le angosciose rivelazioni e gli orrori usciti dal vaso di Pandora aperto dalla pandemia di Covid-19 c’è anche un’onda anomala di Stupidità. La schiuma di quest’onda rigurgita complottisti, no-vax di varia estrazione e ignoranza; ci mostra anche il pericolo letale di coloro che pensano che “usciti dal tunnel” tutto può tornare come prima.

Oggi ci ritroviamo sull’orlo di un abisso molto più pericoloso di quello in cui Flaubert si è gettato. Lui ha visto e ha cercato di raccontare la presunzione ottusa del primate che ha preso possesso del pianeta Terra.

Negli anni dopo Flaubert quel primate insignificante e violento, rivelandosi sempre più un genio nella tecnologia, ha fatto passi da gigante nel diffondere la Stupidità e renderla una infezione universale. È lei, come nel dipinto di Bruegel, il cieco che guida gli altri ciechi verso il futuro.

Vi lascio con una epigrafe. Ancora parole di Flaubert: “L’arte è un lusso; esige mani nette e ferme. Si fa prima una piccola concessione, poi due, poi cento. Ci si illude a lungo sulla propria moralità. Poi non ci si pensa più affatto. E infine si diventa imbecilli.”

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