Every beat of my heart
Attraversare la morte
Essere Nessuno, come Ulisse con Polifemo, sapere di esserlo di fronte a realtà che sgomentano, esserlo «per iniziarsi alla poesia» che si consegue in piena vita, affrontando le prove. Così Salvatore Quasimodo in questi versi…
Assume il nome falso, ma profondamente vero, con cui Ulisse si salva da Polifemo, non solo si salva, lo farà fuori, accecandolo e rendendolo ridicolo. Inventando per se stesso un nome falso, Nessuno, non quello autentico, Ulisse. Ma dicendo il vero: di fronte alla sgomentante realtà dell’ominide Polifemo, del preumano, come agli incanti delle sirene e alle catture oblianti dei lotofagi, l’uomo sa di essere Nessuno.
Ma Salvatore Quasimodo – grande poeta italiano sottoposto post mortema un ingiustificato quanto programmatico e determinato oblio – Quasimodo interprete geniale dell’anima greca nei suoi Lirici, e quindi intimo con i versi di Omero e il poema di Ulisse, si dichiara e proclama Nessuno di fronte al Signore. Non nel tempo dell’oltretomba buio dei Greci, ma nel tempo cristiano.
Chi sono io? Forse un bambino che ha paura dei morti, ma che la morte chiama… Quasimodo sta autodefinendosi: sono uno che ha paura dei morti ma che deve stare accanto, sempre, per vocazione, alla morte: sono Nessuno, cioè un poeta.
Come è Nessuno il poeta di Keats, il poeta Keats, incontrato sette giorni fa, «l’essere più impoetico del creato».
Il poeta è nessuno? No, si è fatto Nessuno per iniziarsi alla poesia, iniziazione che non si consegue con un diploma di scrittura creativa, la Scuola Radio Elettra dei nostri tempi, ma con l’attraversamento della morte, in piena vita.
Nessuno
Io sono forse un fanciullo
che ha paura dei morti,
ma che la morte chiama
perché lo sciolga da tutte le creature:
i bambini, l’albero, gli insetti;
da ogni cosa che ha cuore di tristezza.
Perché non ho più doni
e le strade son buie,
e più non c’è nessuno
che sappia farlo piangere
vicino a te, Signore.
Salvatore Quasimodo
Da Ed è subito sera
(Foto © Getty Images-Keystone)