Paolo Fabrizio Iacuzzi*
A Pistoia consegnato il Ceppo Leone Piccioni

La manutenzione dell’anima

Dall’opera di Giuseppe Conte, insignito del premio “Letteratura e Vita” intitolato al critico letterario, emerge «il primato dell’immaginazione, della volontà come allegria dello spirito malgrado il male del mondo». Secondo quel “principio di speranza” da Piccioni rintracciato nella “perpetua poesia maggiore”

Giuseppe Contevince il Premio Ceppo Leone Piccioni Letteratura e Vita per il complesso della sua “opera mondo” che attraverso la poesia, la narrativa, la saggistica e la traduzione in particolare è capace di incarnare oggi, come non molti altri poeti, quell’idea di «perpetua poesia maggiore» che Leone Piccioni ha indicato per un altro Giuseppe, Ungaretti, nell’introduzione al Meridiano Mondadori Vita di un uomo da lui curato. Introduzione, appunto, e non postfazione come nell’attuale nuova edizione, e si direbbe meglio viatico alla poesia tout court, un breviario per conoscere che cos’è la poesia che Conte ha tenuto ben presente nel rendere omaggio ai novant’anni di Leone quando, dell’Ungaretti restituitoci da Leone, cita come proprio del poeta «il principio di speranza, capace di offrire ogni volta una “lettura di conforto e di meditazione”».

Questo primato dell’immaginazione, della volontà come allegria dello spirito malgrado il male del mondo è quanto emerge in Conte in più di cinquant’anni di scrittura. In primiscome si è detto nella sua poesia, e in particolare con quella raccolta Ferite e rifioriture (2006), il cui titolo è stato preso in prestito per definire l’intera edizione del 65° Premio Internazionale Ceppo dopo la Pandemia, a sottolineare i due poli entro i quali la scrittura di Conte si muove. Ma la poesia di Conte comincia da L’ultimo aprile bianco (1979) confluito poi ne L’Oceano e il ragazzo, ma da questo distinto, per quel connubio di Apocalisse e Genesi insieme, vero manifesto non codificato di un’intera generazione. E poi quel titolo di una sua poesia, “Dopo Marx, Aprile”, che la dice lunga su quella sua idea di Amore che torna e agisce nella sua scrittura e non elimina l’attraversamento del male e della Storia, memore in questo del suo maestro Walt Whitmann.

Chi vi parla è forse un po’ responsabile del nuovo interesse di Conte per Dante: gli ho infatti commissionato la prefazione, in 10 parole chiave, al Paradiso dantesco (Divina Commedia, Giunti Barbèra 2021). Questo ritrovato interesse per il sommo poeta l’ha poi messo a fuoco con Dante in Love (2021), mirabile leggerezza d’equilibrio tra narrazione e saggio: in questo Conte è davvero l’erede di Italo Calvino, che non a caso fu il primo a riconoscere in lui, suo più giovane conterraneo ligure, tra i primi in Italia e in Europa a ridare dignità conoscitiva al mito universale, dopo decenni in cui era stato cancellato. Ma come si leggerà infine nell’ancora inedito sul moto e la “manutenzionedell’anima” (che, come suo editor, ho potuto leggere in anteprima), è nel rapporto tra il mito e i danteschi “movimenti umani” (Canto XXXIII del Paradiso) che Conte affina la sua visione del mondo, concentrata in particolar modo sulle figure femminili del mito, quasi in un’interrogazione profonda dell’altra metà di sé, per “fare anima” come voleva Hillmann, cui non a caso a dieci anni dalla scomparsa è dedicato il suddetto libro.

È quanto emerge anche nella sua scrittura narrativa, a partire da Primavera incendiata, per quella frattura tra Io e Altro, uomo e donna attraverso la quale avviene, sempre e ogni volta, una riconciliazione che mette però prima, profondamente, a repentaglio sé stesso. Come scrive Beatrice Mencarini, nel lungo saggio dedicato alla sua narrativa (Nomen meum Corinna est, Universitalia 2016), in Conte «assistiamo al paradosso che proprio le donne, coloro che meglio conoscono il mondo dei sentimenti e delle mozioni, il mondo dell’eros, per cui nel corso della storia hanno combattuto e sofferto, sacrificano quei sentimenti e quelle emozioni individuali per comporre una mente universale, l’unica mente in grado di salvare il mondo dall’autodistruzione». Conte percorre ogni volta, attraverso le figure femminili del mito e non (ma riconducibili pur sempre a esso), l’intera gamma delle sue emozioni e dei suoi stati d’animo rinascendo ogni volta diverso per ricostruire quell’altra mente universale, nascosta nelle pieghe della Storia degli uomini, proponendo al disincanto l’incanto, alla realtà il canto. La natura significa perciò per Conte, in primo luogo, come scrive nella “Ceppo Leone Piccioni Lecture 2021”, intitolata La letteratura tra memoria e mito, «ridare voce alla natura ferita, fuori e dentro di noi», ma come se questo non fosse altro che l’esperienza della continua rinascita nel sé di una figura femminile sempre altra, nella sua anima. È quell’affidarsi, da lui stesso riconosciuto, prima al potere di Persefone e poi a quello di Afrodite, lasciandosi quindi guidare da Amore, chi e cosa dà la vita.

* Paolo Fabrizio Iacuzzi, poeta, critico letterario e curatore editoriale, è il presidente del Premio Letterario Internazionale Ceppo

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