Nicola Fano
A proposito di “Avanti, parla"

La bambina bianca

Il nuovo romanzo di Lidia Ravera racconta una donna misteriosa che ha paura del passato come del futuro. Ancora una volta la scrittrice riesce a ritrarre con onestà e fascino la generazione dei "fratelli minori del Sessantotto", giunta ormai al tempo dei bilanci

La narrativa di Lidia Ravera ha sempre (fedelmente) raccontato una generazione nel suo sviluppo storico e nel girotondo delle sue trasformazioni. Al punto che nei suoi romanzi è possibile rintracciare la storia di questo nostro Paese al di fuori della sociologia corrente come della freddezza documentale: i romanzi di Lidia Ravera raccontano i suoi lettori, e viceversa. Di che generazione stiamo parlando? Quella che si è formata subito dopo il Sessantotto (i “fratelli minori”, si disse all’epoca), che ha mescolato sogni e rivoluzione e che voleva trasformare il mondo cambiando i rapporti interpersonali. La generazione che la scrittrice torinese (ma da sempre radicata a Roma) ha narrato fin dal suo esordio con Porci con le ali, il romanzo (generazionale, appunto) che scoppiò come un fuoco d’artificio nel plumbeo mondo dell’intellighenzia di sinistra di allora (1976). E, da lì, Lidia Ravera con rigore e passione ha continuato a inseguire Rocco e Antonia raccontandoli crescere, cambiare, rinunciare per necessità ai sogni; e magari anche ripiegarsi su se stessi.

E, dunque, il nuovo romanzo di Lidia Ravera – Avanti, parla, Bompiani, 345 pagine, 18 Euro – è un ulteriore passo avanti di questa narrazione generazionale: gli adolescenti degli anni Settanta sono invecchiati e fanno molta fatica a guardarsi indietro perché ormai il passato è lastricato non solo di errori ma anche di tutto quel che non è stato fatto e non è stato detto.

L’io narrante si chiama Giovanna: non è romana ma vive a Roma. E ha un passato opaco: «La certezza (speranza?) di appartenere all’avanguardia di un esercito che avrebbe travolto lo stato di cose presente dilagava nella mia vita, condizionava ogni mio comportamento». Ripete d’esser stata operaia, si intuisce che ha lambito il baratro degli anni di piombo, ma oggi è sola, chiusa in se stessa: una storia d’amore alle spalle continuamente negata, la possibilità di aprire una finestra sul futuro sempre allontanata come un incubo ingestibile. E paura, molta paura dell’altro da sé, vinta con una certa falsa superiorità. Insomma: il ritratto perfetto di una generazione che non ha smesso di credere nel paradiso in terra, anche se sa che il paradiso non esiste. Né qui né altrove.

La vita incolore di Giovanna (bianchi sono i suoi lunghi e caratteristici capelli) viene stravolta da una coppia di giovani un po’ scombinati che si sistemano nell’appartamento vicino al suo. Lui è un musicista, Michele, lei è bella e un po’ senza centro, Maria. Hanno due figli: un adolescente silenzioso, Malcolm, e una bimba sperduta, Malvina, alla quale Giovanna si lega in modo improvviso, totalizzante. Ne diventa quasi una vice-madre. Perché quella bambina, così ricca di domande e di certezze al tempo stesso, altro non è che quanto Giovanna non ha avuto né è stata. Il guaio è che Maria ha un padre intraprendente e affascinante, Pietro Saverio, che a tutti i costi vuole cacciare fuori dal suo guscio Giovanna. Non solo: forse ne è un po’ sedotto. O, più probabilmente, gli piace l’idea di riuscire a sedurla; stravolgerla, magari. Tempestandola di domande fino a metterla alle corde: avanti, parla! Ed è così che la già fragile esistenza di Giovanna rischia di perdere ogni possibile equilibrio. Neanche la dedizione alla piccola Malvina può consentirle di richiudere la sua prigione. Prova a scappare dai vicini e, in ultima analisi, dalla vita, ma la verità è un’altra: non si può sfuggire da se stessi per tutta la vita. E, in realtà, non è vero che da vecchi diventiamo indulgenti (soprattutto verso noi stessi): no. La terza età è piena di turbamenti come le altre due. Questo è ciò che viene da pensare chiudendo questo romanzo che ti cattura subito. Raccontare la parabola di una generazione lungo tutto il suo tempo, come fa Lidia Ravera da tempo, significa dire la verità. E la verità è che non basta essere vecchi per acquietarsi: la vita ti bussa sulle spalle a qualunque età.

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